Calcio – Un pasticciaccio azzurro


Non era mai capitato nella storia del calcio italiano un ammutinamento simile. Dopo la partita di Champions League di martedì sera contro il Salisburgo, giocata molto bene eppure finita soltanto 1-1, i giocatori del Napoli hanno deciso di non rispettare il ritiro imposto dal presidente Aurelio De Laurentiis.

Cinque i fautori della rivolta: Callejon, che per 6 anni è stato il giocatore più continuo, serio, forte e professionale del Napoli; Ciro-Mertens che ha deciso decine e decine di partite e che è stato adottato da tutta la città come vero napoletano; Koulibaly, senegalese naturalizzato napoletano che ha fatto suo il desiderio di tutti i tifosi, consacrandosi nei loro cuori con la rete indelebile inflitta ai sabaudi nella loro roccaforte; Allan, il brasiliano che ha fatto ballare la tarantella a centrocampo a tutti gli avversari; ed infine il più napoletano di tutti, novello Masaniello e capitano della rivolta, nonché autore del mitico destro a giro made in Neaples.

Possibile che 4 giorni di ritiro mal tollerati abbiano scaturito tutto questo caos? Non si può avere una reazione così spropositata per un ritiro ed è evidente che le vere ragioni, che forse non sapremo mai, albergano altrove e fanno certamente riferimento a cifre con molti zeri.

Purtroppo però, a farne le spese di questo pasticciaccio azzurro sono l’amore e la passione del popolo napoletano per la sua squadra.

Nel corso della seduta di allenamento di giovedì al San Paolo, aperto al pubblico (solo abbonati) ma non alla stampa, i supporters presenti hanno manifestato il loro dissenso contestando duramente gli ammutinati, accusati di essere mercenari senza alcun rispetto per la maglia.

In questa triste storia non c’è nessuno che si salva. La società ha le sue colpe. In primis lo stesso De Laurentiis che ha deciso il ritiro in piena autonomia senza alcun confronto con Ancelotti, comunicandolo alla squadra attraverso la radio ufficiale, radio Kiss Kiss. D’altra parte il patron del Napoli non è certo noto per essere un maestro di savoir faire ed eleganza.

Tuttavia, aldilà di quanto grandi possano essere le colpe della società, per la loro “bravata” i calciatori sono indifendibili. Contravvenire all’ordine societario abbandonando il San Paolo con le proprie auto per tornare ciascuno a casa propria, nonostante il pullman della società li aspettasse nel parcheggio, può essere considerato grave insubordinazione.

Non si perdono le staffe a quel modo. La maturità richiede raziocinio e calma, elementi fondamentali per affrontare qualunque discussione o chiarimento.

Anche Ancelotti ha la sua parte di torto: dapprima dichiara pubblicamente di non condividere l’idea presidenziale del ritiro, salvo poi rientrare a Castel Volturno da solo con il suo staff la sera di martedì, dopo aver disertato la sala stampa per la consueta conferenza che segue l’incontro di Champions League.

Questo episodio eclatante deve farci riflettere: tanto si può amare la squadra del cuore quanto è sbagliato affezionarsi ai singoli. Unica eccezione l’amore incondizionato verso il più grande campione che abbia mai vestito la maglia azzurra e che, in ogni circostanza, ha sempre dimostrato di avere a cuore gli interessi della squadra e della città (D10S).

All’indomani della “disturbata” la società ha comunicato che “….con riferimento ai comportamenti posti in essere dai calciatori …..procederà a tutelare i propri diritti economici, patrimoniali, di immagine e disciplinari in ogni competente sede…precisando di aver affidato la responsabilità decisionale in ordine alla effettuazione di giornate di ritiro……all’allenatore Carlo Ancelotti.”

Un comunicato che acuisce ancora di più la spaccatura che si è creata tra società, calciatori ed allenatore. Il tecnico rimane in mezzo incapace di mediare e a sua volta bersaglio di critiche.

Le ragioni del malcontento sarebbero innumerevoli e variegatissime: dai contratti in scadenza ai difficili rinnovi, alle posizioni in campo più volte ricercate ma allo stato non ancora trovate. Nelle prime dodici partite ufficiali Ancelotti ha schierato altrettante diverse formazioni, cambiando a volte interi reparti senza individuare un modulo e i giocatori titolari da schierare con continuità.

La lite interna, a tutti i livelli, che il Napoli sta attraversando, è una lite che sta mettendo a rischio la stagione in corso. In campionato infatti dopo 12 giornate il Napoli, considerato in principio una possibile contendente per lo scudetto, è settimo a 12 punti dalla prima in classifica.

Ieri sera nella partita casalinga contro il Genoa, in un clima surreale dove era palpabile uno stato di sofferenza globale che includeva la squadra, l’allenatore, direttivo e tifoseria, gli azzurri avrebbero dovuto fare appello a tutte le loro energie per esprimere una reazione forte, così da dimostrare sul campo di avere ancora la testa a questa stagione e a cuore le sorti del Napoli. Invece, ancora una volta, sono apparsi, spenti, lenti e mal messi in campo tanto da non andare oltre lo 0-0.

La crisi ormai è aperta e conclamata e non serve ricercare i colpevoli, le mancanze e gli errori infatti vanno suddivisi fra tutte le parti in causa. Lo strappo c’è, grande e clamoroso, ma occorre pensare al futuro. Serve resettare per poter ricostruire, un’operazione dolorosa ma necessaria se si vuole andare avanti e raggiungere gli obiettivi ancora alla portata e soprattutto comuni a squadra, società e tifoseria.