Con Giorgia Meloni, un vero manifesto del “politico conservatore”?


Segnando una discontinuità nella vita politica dell’Italia moderna, dal Regno d’Italia a oggi, per la prima volta al governo una donna e una maggioranza che si fonda su un partito che si autodefinisce conservatore.

Illustrazione in calce di Igor Belansky.

A prima vista non parrebbe, come talora ci è capitato subito di scorgere, soltanto il titolo del solito manifesto di intenzioni da sbandierare con faciloneria, per poi presto essere dimenticate.
Potremmo dire che questa volta il politico conservatore, o meglio un campo politico conservatore, in base al voto popolare ha davvero assunto le redini del governo. Piaccia o non piaccia, quali che siano i risultati finali, avviene per la prima volta, con novità nella novità: una donna quale premier.
Se il conservatorismo è un orientamento rilevante nei Paesi anglosassoni, in verità la sua fortuna è stata poca in Europa e pressoché nulla nella nostra penisola. Venutosi a definirsi durante la Rivoluzione francese e nei decenni successivi, articolandosi soprattutto attorno ad alcuni principi contrastanti con lo spirito rivoluzionario, ad esso si attribuisce fondamentalmente la valenza di atteggiamento soggettivo di ostilità verso il cambiamento, rappresentando così una tendenza che può essere riscontrata in ogni tempo e in ogni luogo, ossia in qualsiasi situazione storica.
Se gli attribuiamo, invece, il senso di filosofia ben definita, che si basa su un’esplicita teoria dell’uomo e della società, su quei principi irrinunciabili solitamente connessi alla tradizionale triade Dio, patria e famiglia, quindi nell’idea che ogni civiltà, per essere tale, debba riferirsi a valori trascendenti, ossia alla sfera spirituale, al senso di bene per tutta la comunità, ad avere la famiglia come cellula base, intendendola come il fondamento della vita pubblica e non, semplicemente, come nucleo degli affetti, il conservatorismo si colloca al centro di un dibattito assai contrastato con o contro altre visioni emerse nel corso del tempo.
Di fatto, anche in questo caso non esistendo un termine fino in fondo condiviso, volendosi spogliare di accezioni negative o  stereotipi, potremmo tuttavia pensare che il politico conservatore innanzi a ogni cambiamento, sovente utile a favorire lo sviluppo della società, voglia che la trasformazione avvenga possibilmente non in forma repentina, senza tradire alcuni principi di base. Dunque, non v’è per forza nostalgia, semmai la constatazione che in altri tempi vi fosse maggior rispettato di questi principi. E non v’è contrarietà al progresso, anzi la convinzione che la continuità nell’alveo della buona tradizione sia premessa del vero progresso. Un progresso mai costruito su rivoluzioni, sulle fallaci concezioni dell’«uomo nuovo», di società che rinneghino le proprie radici storiche.
Ma ora c’è di più, molto di più. Tra passato e presenti, molteplici, non citabili tutte qui per brevità, sono le figure a cui Giorgia Meloni si è appellata più volte dal palco o dallo schermo, ed ancora nei recenti di discorsi di insediamento in Parlamento, per illustrare il suo manifesto conservatore. Un manifesto da lei stessa definito “underdog”, un vocabolo inglese che sta ad indicare un atleta, oppure una squadra, dato per sfavorito dai pronostici nell’ambito di una gara sportiva.
Un salto in avanti notevole. All’attuale Presidente del Consiglio va certo riconosciuto il pregio di essersi saputa muovere lungo l’ultimo tratto di una strada che, dal Novecento agli ultimi decenni, non si è rivelata una linea retta, ma una serie di curve, per tenere insieme l’identità della destra italiana con la necessità di gettare il cuore oltre l’ostacolo.
Da parte sua, dunque non discorsi, ma un manifesto politico. Una svolta culturale. Con un manifesto liberale e demo conservatore, distante quanto basta da determinati balbettii destrorsi di qualche tempo fa, fondato sul valore della libertà, speriamo che anche grazie a lei si affermi un patrimonio assiologico determinante a fare in modo che l’Italia esca dalla crisi, anzitutto culturale e morale, nella quale versa, ormai, da generazioni.
Di uno strumento potente per combattere ogni oppressione, politica, culturale, sociale, economica, fiscale e militare abbiamo bisogno, con buona pace dei parolai, degli imbonitori, e di tutti quanti ai fatti preferiscono i libri dei sogni, i manifesti programmatici destinati a rimanere lettera morta, che vivono di etichette stampate su contenitori senza contenuti.