Dossieraggio, ombre sulla politica


Un presunto cartello delle informazioni accomunerebbe parlamentari, inquirenti ed esponenti delle FF.OO., imprenditori, giornalisti, forse addirittura la criminalità organizzata, al fine di demolire parti politiche sgradite.
Un sistema, quello delle inchieste ad orologeria, che in passato (anche recente) aveva già destato sospetti e perplessità in ordine ai modi e ai tempi con cui erano ordite.
Veleni e mezze verità, forze ancora mezze bugie, su una modalità definita “da regime” dalla Premier Giorgia Meloni.
Un caso politico che potrebbe diventare uno scandalo suscitando un terremoto giudiziario dalla portata ancora incerta.


La vicenda dei dossieraggi aperta dalla denuncia del procuratore capo di Perugia, Raffaele Cantone, ascoltato in commissione Antimafia questa settimana apre un capitolo oscuro della storia della politica italiana dal secondo dopoguerra a oggi. Intervistata alla trasmissione Dritto e Rovescio Giorgia Meloni ha fatto alcun e ipotesi circa i retroscena di questa vicenda. Tra queste spicca quello di De Benedetti, tessera n. 1 del PD ed eminenza grigia di tanti affari politici in passato, in quanto proprietario del quotidiano «Domani». Queste le sue testuali parole:

“Alcuni funzionari dello Stato – ha commentato Giorgia Meloni intervistata da Paolo Del Debbio – accedono a banche dati con dati sensibili, che servono per combattere la mafia, ma sono state utilizzate per mandare dossier ai giornali, come a quello di De Benedetti, per lanciare campagne di fango su politici ritenuti avversari… Sono metodi che si usano nei regimi, è una cosa gravissima, penso più ampia di quanto stiamo vedendo. Dobbiamo per quali interessi sia stato fatto. Si deve andare fino in fondo, serve di capire chi sono i mandanti, conoscerne nome e cognome. Sorprende che qualcuno difenda quanto è accaduto trincerandosi dietro la libertà di stampa”

Oggi a tutto ciò si aggiungono fatti nuovi che non depongono di certo a favore di De Benedetti e del suo entourage giornalistico.
Per la Procura di Perugina il quotidiano “Domani” o meglio il suo «team investigativo» inviava gli articoli al capo dell’Antimafia Antonio Laudati e al luogotenente delle Fiamme Gialle Pasquale Striano, i quali erano anche le fonti segrete degli articoli stessi che poi utilizzavano, una volta pubblicati sul quotidiano di Carlo De Benedetti, per aprire le indagini che volevano: questa la tesi sostenuta dal procuratore capo Cantone e dalla sostituta Laura Reale.
Una tesi della Procura, per quanto seria e fondata possa essere, non è certo una condanna, pertanto ci manterremo fino al termine del procedimento giudiziario più garantisti dell’avvocato di Al Capone.
Stando sempre alla Procura e a quanto confermato dal Capo della Direzione nazionale antimafia Giovanni Melillo, Laudati e Striano prima giravano i “pezzi” al «Domani», poi facevano partire le inchieste. L’addebito è contenuto nell’invito a comparire per Antonio Laudati, ex capo della Dna laddove Striano è invece indicato come «comandante del Gruppo S.O.S. nella formazione della proposta di attivazione di un dossier». Per inciso, i S.O.S. sono le Segnalazioni di operazioni sospette che vengono incluse in uno speciale archivio dalla Banca d’Italia Ecco lo schema ipotizzato da Cantone: attorno al 31 maggio 2021 Laudati commissiona a Striano degli accertamenti su alcune vicende che lo toccano da vicino (fatti delittuosi a Santa Severa, cittadina sul litorale romano dove lui ha una casa) fino a quando il dossier viene passato al cronista Federico Marconi del «Domani» (indagato assieme al colleghi del «team investigativo») e una bozza dell’articolo di Marconi, non ancora pubblicato, viene passata in data 9 ottobre 2021 prima a Striano e poi da quest’ultimo a Laudati. I due lo rileggono e lasciano pubblicare l’articolo il 26 ottobre successivo. Lo stesso giorno lo utilizzano, assieme a un altro articolo uscito sul Messaggero online, per far partire un «atto di impulso» (protocollo 4024/2022/PN) all’attenzione del procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho. In tal modo, asserisce Raffaele Cantone, Laudati si è procurato «un ingiusto vantaggio patrimoniale» essendo proprietario di un immobile situato nella zona «ove si evidenziavano, con il predetto dossier, infiltrazioni della criminalità organizzata». Si legge negli atti: «La pubblicazione dell’articolo del 26 ottobre 2021 era stata caldeggiata dallo stesso Laudati attraverso Striano tramite i contatti di quest’ultimo con il giornalista Marconi; lo Striano stesso, difatti, il 9 ottobre 2021, aveva anticipato una bozza dell’articolo». Quindi, ricapitolando, il team di «Domani» di cui faceva parte Marconi dopo aver mostrato una bozza del citato articolo a chi glielo aveva sostanzialmente costruito e commissionato (Laudati e Striano) finalmente lo pubblica il 26 ottobre, dopodichè il procuratore e l’ufficiale «provvedevano a formulare una richiesta apertura dossier pre-investigativo» il giorno stesso, in cui «attestavano falsamente che l’origine degli approfondimenti era da individuarsi nell’uscita di due articoli di stampa pubblicati» sul Messaggero e soprattutto, riveduto e corretto, sul «Domani».
Adesso la domanda sorge spontanea: cui prodest? A chi giova, ma soprattutto chi sono i mandanti? Perché così come il finanziere non può avere tutto da solo effettuato 33 mila accessi alle banche dati riservate dell’Antimafia, è altrettanto certo che dietro q questo “sistema” ci deve essere qualcuno che ha richiesto le informazioni per trarne un beneficio.
Se il mandante o i mandanti fossero da ricercare solo in un ambito giornalistico sarebbe già abbastanza grave, perché vorrebbe dire che di giornalismo pulito ne è rimasto davvero pochino. Se invece le indagini approdassero ad ambienti diversi allora la cosa farebbe ancor più paura. Perché come Melillo stesso ha ammesso essere questo un fatto di una gravità estrema e come Cantone ha parlato di un verminaio di cui non si vede ancora la fine perché a quanto pare il mercato delle S.O.S. non si è mai fermato, così appaiono evidenti – in quanto ne derivano per logica – alcuni fatti. Prima di tutto Striano era probabilmente (lo afferma Cantone) a capo di un team perché da solo non sarebbe stato in grado di recuperare una tale mole di dati. Poi occorrer scoprire dove tutti quei dati sono finiti, perché non c’è traccia di comunicazione a qualcuno. Com’è possibile. Possiamo fare due ipotesi: o i funzionari infedeli non erano proprio stupidi e trasmettevano i dati non per via informatica ma servendosi di supporti fisici, come CD Rom o chiavette USB, ad esempio. Oppure erano molto stupidi e rischiando grosso stampavano tutto su fogli di carta che poi consegnavano a qualcuno. Come si può vedere, c’è sempre un mezzo se uno sa cercare.
Ricordiamo che questa vicenda è partita da una segnalazione del ministro Crosetto il quale il 31 ottobre di due anni fa presentò una denuncia ai carabinieri relativa a una fuga di notizie sul suo patrimonio. Non è dato sapere come Crosetto ne ebbe notizia, ma immaginiamo che il ministro della Difesa sia in possesso di fonti e mezzi di cui un comune mortale non sa nulla.
La cosa più preoccupante di tutto questo marciume è il fatto che i dati rubati possono tranquillamente essere andati a qualche potenza straniera senza che nessuno ne abbia mai avuto il minimo sospetto. E questo fa davvero tremare i polsi.
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Fonti:
liberoquotidiano.it
repubblica.it
open.online
ansa.it
lavocedelpatriota.it