Ascesa e caduta della città di … Mosca


Tra Vladimir Putin e Kurt Weill/ Bertolt Brecht

“Ascesa e caduta della città di Mahagonny” di Bertolt Brecht/Kurt Weill, grande capolavoro operistico novecentesco in coraggiosa scena in questi giorni al Teatro Regio di Parma, diretto con gran classe, vero talento manageriale e valida visione imprenditoriale di prodotto-mercato da Anna Maria Meo, è utile guida per alcune riflessioni sul senso del benessere e della ricchezza al giorno d’oggi, e anche sul senso del grave conflitto in corso in Europa.
Riprendo in queste righe alcuni concetti già esposti in altri articoli riguardo alla guerra tra Russia e Ucraina, che sta avvenendo ai confini tra il mondo di produttori di valore secondario, cioè di trasformazione industriale, l’Occidente e la sua NATO, e quello di un Paese rimasto semplice enclave di estrattori di materie prime o di risorse naturali.
In realtà, esistono altri enormi bacini geopolitici di materie prime ed estrattive: Africa (e Paesi arabi), Sudamerica e Canada, con tre profili socioeconomici profondamente diversi, sul piano dell’integrazione verticale nel ciclo di produzione del valore economico e su quelli della sovranità sostanziale. Infatti possiamo dire che i tre bacini sopra sono, nell’ordine, da minore a maggiore integrazione nel ciclo economico globale e da minore a maggiore livello di autonomia politica.
La Russia invece presenta un basso grado di integrazione (la sua non è quasi un’economia secondaria) e un alto grado di autonomia. In ciò assomiglia ai Paesi islamici, che vedono immense fortune dovute a risorse naturali, soprattutto il petrolio, concentrate nelle mani di pochi, ma che mostrano anche una relativa quiete sociale, dovuta ad altri fattori equilibranti.
Ci sono sicuramente importanti interessi geopolitici che intervengono sul senso economico del conflitto nell’est Europa. La Russia post-sovietica ha avuto ben 30 anni per creare un sistema economico più fruttuoso dell’attuale per la sua comunità popolare di oltre 140 milioni, cioè una classe media proattiva e integrata, capace di essere non solo vettore di consumi ma anche di civiltà societaria e di organizzazione statale antropologicamente moderna. Non basta il reddito a creare un elemento di questo tipo: lo vediamo bene nel mondo islamico, ove la rivoluzione industriale non ha mai attecchito e che ha continuato a vivere sulla economia (oligarchica!) del petrolio appunto, mutatis mutandis, come nell’era pre-industriale, soltanto cambiando oggetti di consumo e fonti di approvvigionamento.
Anche la Cina ha una storia di resistenza all’industria. Però la grandezza del suo mercato interno, dopo la profonda e sanguinosa rivoluzione culturale, ha creato le condizioni per una vertiginosa mutazione, con l’acquisizione intensa del modello industriale. Ciò è avvenuto anche con la innovazione, grandiosa per il modello comunista del vecchio capitalismo di Stato leninista e sovietico, del riconoscimento dell’iniziativa individuale e del ruolo dell’imprenditore, pur fortemente connesso allo Stato.
Insomma, OcCinente è l’umanità del secondario, antropologicamente evoluto, anche se pieno di difetti. E l’Islussia la civiltà del primario, soprattutto estrattivo.
Tra i due “blocchi” socioeconomici c’è differenza sia di entità che di qualità della classe media. Da mezza a un decimo l’entità, ed è estremamente rilevante, anche se la Russia post Eltsin è cresciuta abbastanza, arrivando appunto a conclamare una classe di reddito pari a circa la metà delle equivalenti classi medie di Paesi simili sul piano del PIL. Ma il vero problema antropologico non è questo: il vero problema antropologico è la funzione civile di quella classe media, come detto mezza rispetto all’ OcCinente. Quella russa è sociologicamente finta. Quasi come quella islamica, non è incardinata in un dispositivo economico dinamico e sistemico-organico: si tratta di super-consumatori, non di una forza attiva che progredisce e fa progredire, come invece è, ad esempio, il management OcCinentale.
Va detto, peraltro, che l’intera organizzazione neo-feudale è un prodotto della globalizzazione, ma è diverso che sia secondaria (industriale, di trasformazione) o primaria (estrattiva o agricola). Questa seconda ha due enormi problemi: 1. scarsa organizzazione a supporto del business; 2. la disarticolazione rispetto ai meccanismi ormai definitivamente globali di produzione del valore.
Difendere il suo anacronismo e la sua disfunzionalità sociale è possibile solo con uno spaesamento provocato dalla violenza, cosicché molte persone e anche intellettuali e commentatori, con la mente offuscata dal fumo delle bombe e delle distruzioni, perdono di vista il vero tema che agita la guerra: da una parte, il tentativo di salvare con le armi interessi anacronistici di piccolo gruppo (i 21 oligarchi primari russi); dall’altra parte di rendere disponibili a migliori condizioni economiche l’immenso bacino delle risorse naturali presenti nei territori della Federazione Russa.
Con la possibilità di farla diventare come il bellissimo, moderno e pacifico Canada, anziché come un arretrata Arabia Saudita, guidata da altro tipo di oligarchi, gli sceicchi.
Ecco perché la suggestione di Brecht-Weill sulla ascesa e caduta di una città di Mahagonny, fondata sul semplice denaro e non sulla sua funzione d’investimento e organizzazione sociale, si presta come metafora per capire quale potrebbe essere il destino della città di Mosca con Putin. Infatti, l’economia industriale, intrinsecamente capitalista, non è semplice e volgare denaro: è organizzazione societaria, civiltà e cultura. Quella primaria ed estrattiva è invece veicolo di primitivismo antropologico. È vero che non è tutto bianco e tutto nero, ma i due poli sono riferimenti di luce e di buio sociale.
Quindi, se avete modo, andate al Regio di Parma a scoprire come l’arte può aiutare a capire il mondo. E se non riuscite al Regio in questi giorni, presto lo stesso spettacolo sarà al Teatro Romolo Valli di Reggio Emilia.