Un appello di civiltà per Giuseppina Ghersi


Alcuni mesi fa da queste pagine (NDR: 24/09/2017 “Il volto della vergogna” di Vittorio Bobba) portammo a conoscenza dei lettori il caso di una povera fanciulla, Giuseppina Ghersi, violentata e uccisa dalle squadracce partigiane che in quel fosco periodo (NDR: la giovane Ghersi fu trucidata il 30/04/1945) imperversavano nel Savonese, come del resto in buona parte d’Italia.
Come ricorderete non erano bastati settant’anni di democrazia a cancellare l’odio di uomini vigliacchi, la cui infamità si era spinta a commettere atti atroci che, purtuttavia, i loro discendenti politici non hanno nessuna intenzione di rinnegare.
Posso dire con orgoglio che l’articolo in questione ebbe un notevole seguito e molti furono coloro che espressero un sincero apprezzamento per quanto pubblicato, anche in considerazione del fatto che l’articolo era dettato da un normale senso di umanità che travalica ogni ideologia.
Era obiettivamente orribile l’apprendere che il locale segretario di un’associazione di morti e moribondi, uno che non ha mai nemmeno visto da lontano quella guerra di cui la sua associazione intende difendere i miglior valori – quasi che in una guerra ce ne possano essere! – sostenesse che fosse un atto giusto quello di mandare a morte una ragazzina che girava armata (e chi non girava armato in quei momenti?) la cui unica colpa era stata vincere un concorso scolastico e ricevere una lettera di congratulazioni dalla segreteria di Mussolini.
Secondo questo campione d’infamità non c’era nulla di strano che la poveretta fosse stata picchiata e violentata per tre giorni e poi uccisa a colpi di mitra in una piazza. Era tempo di guerra, e in guerra accadono anche queste cose: questa è stata la sua giustificazione!
Peccato che la tredicenne fosse stata immolata sull’altare della ferocia comunista dopo il 25 aprile, quindi a guerra finita, quando ciò che fino a poco prima era stato lecito era ormai divenuto crimine. Ma per costoro non c’era nulla di strano.
E nemmeno un cippo alla memoria per un martirio inutile avrebbero voluto concedere questi animali, come invece chiedeva la maggioranza del consiglio comunale e della popolazione, che lo scorso 30 settembre vide infine realizzato quel piccolo simbolo riparatore.
Non intendo tornare sulla cronaca dei fatti. Chiunque abbia figli può capire come ci si sente a parlare di cose così, quando subito ti viene in mente che avrebbe potuto, in altri tempi e in altre situazioni, essere tua figlia. E tu avresti dovuto andare su quella piazza, coperto di vergogna e di paura, a raccogliere il corpicino muto, sanguinante, magari chiuderle gli occhi che avrebbero voluto ancora meravigliarsi a lungo davanti al mondo. E avresti dovuto lavarle via il sangue dalle ferite, dal viso, dalle gambe, e seppellirla in segreto con una croce di legno in un campo di patate, perché i “guardiani della libertà” ti avrebbero vietato l’ingresso al cimitero, perché a loro i morti fanno più paura dei vivi.
Il mio intento con queste poche righe è un altro, semplice e terribile: destare le coscienze di chi allora fu testimone di quest’atto ignobile e cercare di riparare, almeno in parte e certo tardivamente, a un delitto mai punito da un regime troppo accondiscendente con le belve rosse che in seguito vestirono i panni di agnelli democratici.
Ebbene, nella foto pubblicata con questo articolo si vedono molti uomini con lo sguardo fiero, spavaldo, alcuni addirittura sfoggiano sorrisi di scherno mentre portano la povera Pinuccia sul luogo dell’esecuzione.
Quello che chiedo a tutti, nostri lettori e no, è: ce ne sarà ancora qualcuno vivo? E ci sarà qualcuno in grado di riconoscerli e di farci i nomi?
Perché questi, signore e signori, sono criminali! Questa è gente che ha ammazzato almeno un essere umano come si ammazzerebbe un cappone, e merita di essere punito per ciò che ha fatto.
Come Simon Wiesenthal ha cercato per tutta la vita i criminali nazisti, ora noi chiediamo di ricercare e trovare i criminali che hanno ucciso una bambina commettendo un crimine. E un crimine comune, non un atto di guerra, perché la guerra era già finita. L’omicidio volontario di un minore è un reato che in paesi più civili del nostro è punito con la pena di morte.
Non chiediamo tanto, chiediamo solo che qualcuno si faccia avanti con coraggio e onestà nei confronti di Giuseppina Ghersi e ne denunci gli aguzzini.
Chi sa parli, o scriva. Mandi una mail o una lettera (non anonima, per favore) alla redazione di Weekly Magazine: sarà nostra cura fare un esposto alla Procura della Repubblica in modo che la Giustizia, quella vera, possa finalmente fare il suo corso.
Non è molto, e soprattutto non potrà riportare in vita Giuseppina, ma credo fermamente che tutti noi glielo dobbiamo per il fatto di aver chiuso gli occhi troppo a lungo e aver troppo a lungo voltato la testa dall’altra parte per non guardare ciò che era giusto fare già molto tempo fa, affinché lei possa finalmente riposare in pace. Grazie a chi ci aiuterà.
Anche da parte sua.