Shopper “doc” è pasticcio ministeriale


Gli italiani che il 2 gennaio sono andati a fare la spesa in un supermercato hanno trovato la sgradevole sorpresa di vedersi addebitare uno o più centesimi per ogni sacchetto utilizzato nel reparto ortofrutta.
Già eravamo soliti pagare (10 o 15 centesimi, a seconda della catena) per gli shopper di spessore 50 micron in cui normalmente ritiriamo la spesa, e ciò da quando – devo dire con notevole senso civico – si è passati ai sacchetti biodegradabili, che tutto sommato sono utili per la raccolta differenziata della frazione umida.
I sacchetti in polietilene da 15 micron che venivano comunemente fatti pagare spalmandone il pur bassissimo costo sul prezzo dei prodotti ortofrutticoli è ora esposto sullo scontrino fiscale che riceviamo alla cassa. Non è chiaro se in tutti i supermercati questo costo viene caricato automaticamente inserendo il codice a barre del prodotto (e quindi anche se il sacchetto non c’è perché abbiamo prezzato direttamente il pompelmo o la verza) ma sicuramente ciò si verifica in alcune catene, fatto che già di per sé evidenzia un abuso.
Mettiamo subito in chiaro una cosa: non si tratta di fare le pulci su un costo veramente irrisorio: su cento sacchetti che una persona può usare nel corso di un anno stiamo parlando di uno o due euro, a fronte di una maggiore tutela dell’ambiente, e questo è indubbiamente positivo. Quello che invece fa imbestialire il suddito di questo strano Paese è la protervia e l’arroganza con cui è stata decretata la nuova modalità di confezionamento, senza permettere alternative.
Infatti, mentre l’articolo 9 bis del decreto legge 9 giugno 2017 n. 91, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 188 del 12 agosto 2017 dice semplicemente che dal 1° gennaio 2018 è consentita unicamente la vendita dei nuovi sacchetti, anche in ossequio a una direttiva europea disattesa che ci è costata una procedura d’infrazione, una circolare ministeriale ha sparigliato le carte gettando nel panico tutta l’Italia.
E’ bene che questo sia chiaro da subito: le castronerie che leggerete nelle prossime righe NON sono previste dalla legge ma da questa circolare che qualche solerte capo di gabinetto si è sentito in dovere di caricare sulla schiena dei soliti somari di contribuenti.
Dunque, secondo questa circolare non sono ammessi riutilizzi dei biosacchetti forniti, che quindi devono intendersi monouso. Inoltre essa chiarisce che non sono ammessi altri tipi di insacchettamento, leggi: non pensiate minimamente di portarvi da casa altri shopper o buste di carta, perché non sono permesse. Inoltre, se anche ve li dovessero accettare, nei punti vendita dove l’addebito del sacchetto è automatico, finireste lo stesso di pagarlo anche senza averlo preso: cornuti e mazziati!
Occorre a questo punto fare alcune considerazioni. La prima riguarda la circolare stessa: perché è stata applicata alla cieca senza chiedere interpretazioni più autorevoli, ad esempio al TAR del Lazio o al Consiglio di Stato? La risposta ci porta alla seconda considerazione, che concerne le specifiche definite per i nuovi sacchetti, i quali dovranno avere una percentuale di materia prima rinnovabile che andrà a crescere nel corso dei prossimi anni. Ebbene: è stato accertato che l’unica azienda in Italia in grado di fornire sacchetti conformi alle specifiche volute dal decreto è la Novamont, un’azienda indubbiamente seria e all’avanguardia, specializzata in prodotti innovativi ed ecosostenibili, la quale ha come amministratore delegato la signora Catia Bastioli, amica di Matteo Renzi nonché oratrice alla seconda Leopolda. Per inciso la signora Bastioli è anche presidente di Terna, a dimostrazione ancora una volta che il cumulo di cariche pubbliche è un vizio che si tarda a cancellare.
Non credo di fare eccessivi voli pindarici nel collegare una persona certamente vicina al segretario del PD con un guadagno facile – stimato in oltre mezzo miliardo di euro l’anno – per la Novamont, la quale si è vista spianare la strada da specifiche che sembrano fatte ad hoc (badate, c’è scritto ‘sembrano’!).
A suscitare ulteriori perplessità il 15 novembre scorso Renzi ha fatto tappa con il treno del PD proprio alla Novamont. Dopo aver incontrato i dirigenti a porte chiuse, all’uscita ai giornalisti ha detto: “Dovremmo fare ulteriori sforzi per valorizzare questa eccellenza italiana”.
Ritengo che fosse doveroso rendere pubblico in modo chiaro quanto qui sopra scritto, in modo che non possano sorgere dubbi circa la volontarietà nel promulgare una norma che è sì la sanatoria di una situazione anomala nei confronti della CEE, ma che sicuramente nessuno in Europa ci ha chiesto di scrivere così.
Veniamo ora al problema più spinoso, ossia i contenuti deliranti della suddetta circolare.
In primo luogo si trova scritto che i sacchetti non possono essere riutilizzati. Non è vero: la legge non lo specifica.
Vi è scritto anche, come ricordato poc’anzi, che non sono ammessi imballi primari diversi dal sacchetto compostabile. Non è vero nemmeno questo: la legge non vieta specificatamente soluzioni alternative. Quindi posso tranquillamente portarmi da casa reticelle, sacchetti di carta o quant’altro.
D’altro canto l’articolo 9 bis del decreto legge dice espressamente di voler mettere in atto misure di tutela ambienta, “Favorendo, fra l’altro, livelli sostenuti di riduzione dell’utilizzo di borse di plastica”. Quindi è lampante che la circolare contraddice lo spirito della legge: ma come, vogliono diminuirne la diffusione e poi non ne consentono il riutilizzo? La cosa non si spiega. O meglio, non si spiegherebbe se non ci fosse qualcuno che trae vantaggio da una continua vendita di prodotti ecocompatibili.
Che poi, a ben vedere, ecocompatibile non vuol dire che ne posso fare un uso smodato! Bisognerebbe anche qui ottenere un parere illuminato da un giureconsulto più autorevole dello stesso Legislatore: qual è il limite che mi devo porre come obiettivo? E soprattutto: come fare per scendere sempre più al di sotto di tale livello?
Da ultimo, la famigerata circolare specifica che i sacchetti non possono essere distribuiti a titolo gratuito. Questo purtroppo è vero: il decreto stabilisce che il loro prezzo debba essere esposto sullo scontrino fiscale, ma d’altro canto non pensiate che i vecchi sacchetti in polietilene fossero gratuiti: il loro prezzo era semplicemente annegato in quello dei prodotti che essi contenevano, infatti, non essendo prevista la tara nella pesatura di un oggetto così leggero, essi venivano in realtà venduti al prezzo delle banane o dei finocchi.
E qui sta il nuovo siluro per il contribuente: infatti, non essendo cambiato il metodo di pesatura, il sacchetto ci verrà fatto pagare due volte: nello scontrino come voce separata e poi di nuovo al prezzo di banane o finocchi, esattamente come prima!
Avete capito come ce l’hanno spinto sotto la linea di galleggiamento? E tu vatti a fidare del Legislatore.
Come vedete la situazione è estremamente confusa, ad esempio non è affatto chiaro se la normativa si applica anche al banchetto che vende la frutta per strada. Sembra invece certo che si potrà continuare ad utilizzare le sporte con manici in cui molti già oggi ritirano la spesa invece di utilizzare gli shopper in plastica compostabile.
Dovranno in ogni caso essere apportate correzioni di rotta anche pesanti alla legge, per evitare che la confusione sfoci nell’anarchia. Nel frattempo, per ricapitolare la situazione allo stato attuale possiamo chiosare in questo modo: se vado dal fruttivendolo a comprare i pomidoro li prendo con le mani nude dalla cassetta e il negoziante me li mette in un sacchetto di carta (che non pago) e poi dentro a un sacchetto di plastica inquinante (che non pago), mentre se vado al supermercato devo pagare un sacchetto ecologico (che prima inquinava e non pagavo) e usare un guanto di plastica (che continua ad inquinare e che non pago) per toccare dei pomidoro che un negro ha raccolto a mani nude.
E’ evidente che vivo nel mondo sbagliato.