La scultura impossibile


Giuliano Finelli (Carrara, 1601 – Roma, 1653) è stato uno scultore italiano barocco, probabilmente il migliore allievo di Gian Lorenzo Bernini. Nato a Massa fra il 1602 e il 1603, figlio di un mercante di Marmi, Giuliano si trasferì giovanissimo a Napoli, dove fu allievo di uno scultore fiorentino di nome Naccherino. Verso il 1622 si trasferì a Roma, dove lavorò alla scultura per una tomba nella Basilica di Santa Maria sopra Minerva. Qui venne notato da Pietro Bernini, padre del famoso Gian Lorenzo, che lo volle come apprendista presso la sua bottega.
Nel frattempo, nel 1623 era diventato papa Maffeo Barberini, col nome di Urbano VIII, che commissionò a Gian Lorenzo Bernini una serie di ritratti di famiglia postumi, tra cui quello della nipote Maria Barberini (1599-1621), morta di parto all’età di 22 anni dopo essere andata in sposa nel 1618 al nobile bolognese Tolomeo Buglioli. Essendo il grande scultore napoletano impegnato in numerose commissioni, egli diede da eseguire il busto della giovane come in “subappalto” al suo collaboratore di maggior talento, Giuliano Finelli, con la promessa (cui non tenne fede) di un’udienza papale per futuri incarichi. All’epoca, il fatto venne tenuto nascosto e l’opera fu attribuita al Bernini, anche se probabilmente egli eseguì soltanto il delicato sfumato intorno agli occhi e il naso.
Il busto marmoreo fu terminato nel 1626; è alto 69 centimetri ed è, ovviamente, delicatissimo. La prima cosa che colpisce in quest’opera è la straordinaria lavorazione del colletto di pizzo, tanto realistica da sembrare in tessuto e non scolpita nel marmo. Il merletto che decora la veste è di una finezza tale che per proteggerlo venne creata una gabbia di filo di ferro, poi sostituita da una di tartaruga e vetri, dentro la quale fu posta la scultura. Risulta visibile anche la minuscola corda che lega le perle della collana e l’ape, il simbolo araldico della famiglia Barberini, divenuto una spilla. La ragazza ritratta è qui come sposa felice. La ricchezza dei pizzi e dei ricami denotano una bravura quasi miracolosa, oltre a una pazienza infinita nell’esecuzione, e formano un felice contrasto con la bellezza del volto, la freschezza della pelle, il sorriso quasi da bambina e i riccioli morbidi in cui è nascosto un incredibile bouquet di fiori d’arancio (o di melangolo, come si sarebbe detto nel Seicento), malinconico richiamo a una vita di sposa che non ci fu.
Il busto ebbe poi una storia strana. Fu esportato illegalmente dall’Italia alla fine dell’800, quando furono gli stessi eredi Barberini a cominciare a vendere a pezzi la sterminata collezione di famiglia. L’opera esce dall’Italia verso il 1890 e se ne perdono le tracce. Dopo la fine della seconda guerra mondiale riappare misteriosamente in Francia e viene assegnato al Louvre. Ma al grande museo parigino nessuno capisce di cosa si tratta, tanto che nel 1994 viene dato in prestito a lungo termine al museo del Pizzo a Calais, nel nord della Francia, perché sembrava che l’unica cosa interessante fosse proprio il costume. Si era completamente persa la memoria di un’opera importantissima attestata dalle fonti, concepita dal Bernini e scolpita in larga parte dal suo migliore allievo: Giuliano Finelli.
Il ritratto scultoreo di Maria Duglioli Barberini è oggi nuovamente esposto al Museo del Louvre.