Chitarra Classica – Intervista al M° Paolo Lambiase


Paolo Lambiase si è formato presso la Scuola di Chitarra del M° Stefano Aruta a Napoli ed infine, si è diplomato con il massimo dei voti presso il Conservatorio di Salerno. Contemporaneamente ha conseguito la laurea con lode in Filosofia. Ha poi completato la sua formazione musicale con il M° A. Gilardino e inoltre si è perfezionato con Maria Luisa Anido, Manuel Barrueco, Leo Brouwer, Oscar Ghiglia, e con il duo Assad.

Vincitore di concorsi nazionali ed internazionali in qualità di solista (Pompei 1983, 3° premio Lagonegro1984, 1° assoluto a Sorrento 1988) si è dedicato anche all’attività in duo col chitarrista Piero Viti, vincendo il 3° premio al concorso di Mondovì e di Capri, il 1° premio nello stesso anno al concorso di musica da camera “Città di Sorrento”, il 2° premio sia al concorso internazionale di Montelimar in Francia nel 1989 che al concorso nazionale di musica da camera “Città di Mignano Montelungo”. Nel 1991 ha inciso per l’etichetta “Nuova Era” un C.D. con l’opera di J.K.Mertz per duo di chitarra ed ha pubblicato nel 1998 un CD dedicato alle principali opere per duo di chitarre del compositore Mauro Giuliani per l’etichetta discografica “Niccolò”. Nel 2000 la rivista di musica contemporanea Konsequenz incide e pubblica due sue composizioni per chitarra.

Si è esibito in duo con il soprano Gloria Guida Borrelli, in formazione cameristica con il quartetto d’archi “Ludwig” e con il violinista Carlo Dumont, ed è stato invitato in qualità di solista, dalla “Nuova Orchestra Scarlatti” di Napoli. Ha collaborato inoltre con la prestigiosa rivista di musica contemporanea “Konsequenz” e con la famosa rivista italiana di chitarra “Guitart”.

Si è esibito con la pianista Enza De Stefano destando l’attenzione dei compositori della “Nuova Musica di Frontiera” quali Girolamo De Simone, che per questa particolare formazione hanno ideato nuove musiche, puntualmente pubblicate insieme a composizioni personali in un CD edito a cura della stessa rivista nel 2000. Dal 1998 ha iniziato un sodalizio artistico con il chitarrista Mario Fragnito e collabora inoltre con il chitarrista Umberto Casella in un ambito decisamente sperimentale e crossover.

Attualmente è titolare della cattedra di chitarra classica nei corsi ordinari e di I e II livello presso il Conservatorio di Musica “San Pietro a Majella” di Napoli.


W.M.: Grazie di essere qui su WeeklyMagazine, ci racconti dei tuoi inizi musicali?

P.L.: I miei inizi musicali affondano nei miei ricordi di bambino e nella musica che arrivava dalla radio, dai juke boxe sulla spiaggia o dai dischi di musica classica e non solo che mio padre metteva sul giradischi mentre dipingeva, ricordi pieni di emozione e di nostalgia per un vissuto, attraverso la musica, di sensazioni irripetibili. Ricordo un disco di Segovia ascoltato credo tra il 1965/66 quando appunto avevo 6 anni, che mi lasciò pieno di stupore e di meraviglia, una magia incantevole espressa attraverso un sound unico, mai udito prima, una chitarra che trasmetteva sensazioni appartenenti ad altre epoche lontane nel tempo, quasi in un mito ammaliante. Non potevo credere che a suonare fosse solo un unico strumento dotato di sei corde, per di più suonato da una sola persona, le note che mi arrivavano erano infinite e a questo tendevano e mi conducevano. Credo che da lì iniziò l’interesse per la chitarra classica anche se in cuor mio pensavo che mai e poi mai sarei riuscito ad eseguire quei brani meravigliosi e che così tanto mi emozionavano.
Poi arrivò una inquieta adolescenza e gli albori degli anni “70 fecero si che una chitarra obliata da un parente capitasse tra le mie mani; erano anni che sognavo una chitarra e così iniziai faticosamente a cercare di capirci qualcosa, soprattutto come accordarla e poi un libretto con gli accordi fondamentali che mi ferivano le dita. Ricordo che la feci accordare da qualcuno, tornai a casa e pensai bene di registrarne il suono delle corde a vuoto con il mio piccolo registratore a cassette, quello fu il mio primo riferimento per l’accordatura e tale rimase per diversi mesi. Questo fa capire quanto io possa essere poco incline agli accordatori elettronici oggi, essendomi sottoposto a tale tipo di ear training in quegli anni! Un amico un po’ più grande di me, mi iniziò, dopo poco tempo, al rock di quel periodo e al modo tipico di affrontare quella musica basata sulla reiterazione ostinata dei cosiddetti power cords e nell’improvvisazione partendo da poche note che rientravano nella pentatonica minore e, in effetti, fu veramente l’inizio della mia pratica da autodidatta con la chitarra. A 15 anni, a detta dei miei amici, ero diventato abbastanza capace da poter iniziare a suonare in qualche band assordando malamente i vicini con questo incredibile frastuono di chitarre, tastiere, basso e batteria; devo ammettere che era molto divertente poter sfogare una incredibile dose di esaltazione e rabbia adolescenziale in quel modo, molto appagante, un primo viaggio dal sapore psichedelico, ma senza l’utilizzo di droghe, all’interno di me stesso. A 17 anni, mio padre, vedendo che passavo molte ore al giorno con la chitarra tra le mani, ebbe l’idea di sottopormi ad un’audizione con il compianto M° Mario Rocchi, violinista e docente di musica da camera presso il conservatorio di Napoli e, per l’appunto, suo amico, manifestandomi l’idea che sarebbe stato meglio fare le cose sul serio oppure abbandonare e dedicarmi ad altro. Ricordo che mi presentai con questa chitarra con le corde di metallo, strumento da poche lire e di scarsa qualità a casa del Maestro in compagnia di mio padre e alla richiesta di fargli ascoltare qualcosa partii con un brano degli YES, una rock band di genere progressive che in quegli anni mieteva successi e consensi presso noi ragazzi, un brano per chitarra acustica dal titolo Mood for a Day, scritto da Steve Howe, dal sapore decisamente spagnoleggiante e sicuramente di un certo effetto. Il Maestro non credeva che lo avessi tirato giù da solo dal disco, rimase sinceramente colpito e disse a mio padre, con veemenza, che meritavo una educazione musicale corretta e che necessitavo di un maestro che mi desse le basi della musica e della chitarra. Mi indirizzò così dal M° Luigi Schininà, musicista di straordinario valore, dapprima primo violino presso l’orchestra del Teatro S. Carlo, poi prima viola presso l’orchestra della RAI della Scarlatti, docente di violino presso il conservatorio S. Pietro a Majella di Napoli nonché diplomato oltre che in violino e viola, in pianoforte, organo e composizione! Profondo amatore della chitarra aveva nel corso degli anni, prodotto una incredibile mole di opere per chitarra che andavano dalla didattica alle trascrizioni. Persona serena e pacifica, di indole appagata e innamorato della musica che conosceva sotto molteplici punti di vista, essendo così preparato, aveva una nutrita scuola di violinisti e chitarristi principalmente, che curava con affetto, preoccupandosi anzitutto di trasmettere amore ed entusiasmo per la musica.
Fu lui che iniziò ad impartirmi le prime lezioni di solfeggio e chitarra e con lui imparai a leggere la musica e a studiare con un certo metodo anche se comunque, non essendo lui un chitarrista professionista, sorvolava su una serie di aspetti legati al dominio e al controllo tecnico dello strumento e a come produrre il suono in maniera ottimale. Suonavo senza unghie quindi con una non-tecnica assolutamente istintiva ma ciononostante riuscii in circa tre anni a digerire in maniera egregia, oltre al metodo di Carulli per intero e i primi tre volumi di Sagreras, anche tutti gli studi op. 60 di Carcassi, l’op. 50 e 48 di Giuliani, i famosi 20 studi di Sor, i 26 pezzi di Paganini della Zimmermann, alcuni studi di Villa Lobos. Così a questo punto il Maestro accondiscese a che sul mio leggio finisse una sua trascrizione della Ciaccona di Bach da lui trascritta in mi minore. Sempre sulla ondata dell’entusiasmo e della passione, mi spronò a partecipare al mio primo concorso di chitarra e volle accompagnarmi di persona a Stresa per l’appunto dove, confrontandomi con le altre scuole provenienti da ogni parte di Italia, mi resi immediatamente conto di tutti i miei limiti di carattere tecnico strumentale, dalla scarsa presa di suono e, per finire, alla mia non eccessiva impeccabilità. Tra tutti i concorrenti uno in particolare mi colpì profondamente per la sua musicalità e la bellezza, calda e profonda del suo suono, il chitarrista Piero Viti, allora diciottenne, allievo del M° Stefano Aruta e che con lo slancio e la comunicativa tipica della giovinezza, si rese disponibile a farmi conoscere il suo Maestro. Fu così che nel 1980 entrai a far parte di questa scuola. Tra i tanti ricordi legati a quegli anni intensissimi di studi e così pieni e ricchi di entusiasmo uno in particolare ha lasciato una traccia indelebile nel mio animo: la prima lezione!
Il M° Aruta vedendomi motivato a conoscere le modalità di produzione del suono sulla chitarra e che ero desideroso di mettermi alla prova e di cercare di fare del mio meglio, mi aveva raccomandato di farmi crescere le unghie senza toccarle e di ripresentarmi dopo alcune settimane quando poi avrebbe provveduto a spiegarmi i segreti di quello che lui chiamava il “Pianeta Chitarra”. Mi presentai alfine con queste unghie lunghissime e incolte, con un suono ovviamente e decisamente orrendo, sentendomi sinceramente avvilito, ritenendo che mai e poi mai sarei riuscito ad ottenere un suono sia pure lontanamente passabile. 
Si sedette accanto a me e su un piccolo tavolino nel suo studio, armatosi di lima e carte abrasive di varia finitura, iniziò a modellarmi le unghie, non smettendo di guardarmi sott’occhi con aria divertita, alla fine le unghie erano state perfettamente arrotondate e levigate e venne il momento di imbracciare la chitarra.
Sentendomi emozionato e imbarazzato ad un tempo, mi raccomandò di non fare assolutamente nulla con la mano destra, di non opporre resistenza, mi avrebbe guidato lui il dito sulla corda facendomi percepire la pressione e la necessaria cedevolezza occorrenti e…per la prima volta la chitarra suonò come mai prima mi era accaduto, a fronte di milioni di note e tentativi aspri e sgradevoli. Un suono pieno e rotondo, caldo ed espressivo lasciò la mia piccola Di Giorgio Estudiante 18 e si espanse nella stanza. La sensazione di gioia e di gratitudine verso di lui continuo a provarla tutte le volte che inizio a suonare qualcosa. Da qui iniziò il mio percorso con lui. La seconda lezione impartitami fu di umiltà perché mi disse che se volevo realmente migliorare, dovevo riprendere cose che avevo studiato in passato ma da una prospettiva nuova e più consapevole, curando, oltre al suono, l’espressività attraverso il fraseggio, quindi la dinamica e l’articolazione della frase, mi insegnò l’arte del suonare staccato e legato, le possibilità di colori insite nella chitarra e un’escursione dinamica che mi ero sempre sognato in precedenza, in pratica una nuova meravigliosa Chitarra! Mi insegnò infine a comunicare le mie emozioni attraverso le corde mi fece capire quanto sia importante che queste arrivino a chi mi ascolta e lascino dentro di loro una testimonianza di me, una emozione che possa restare.

W.M.: Successivamente la tua formazione è proseguita con il compianto maestro Angelo Gilardino, come ha ulteriormente arricchito la tua preparazione?

P.L.: Non è facile ripensare alla mia lunga frequentazione con Angelo Gilardino, articolatasi per più di un decennio attraverso la mia partecipazione ai suoi ormai mitici corsi di Trivero e Lagonegro, anche perché il vuoto lasciato dalla sua scomparsa e quindi la sua assenza fisica è ancora molto, troppo avvertita. Posso dire che la sua natura, profondamente analitica e legata ad una attenta e severa nonché implacabile introspezione, sortì su di me un grande effetto e un grande desiderio di approcciarmi alla musica pensando a questa e alla complessità delle sue strutture, nel tentativo di decodificarne gli archetipi e i simboli arcani, sempre presenti oltre la realtà del pentagramma. Personalità dotata di un grande carisma e di una profonda spiritualità, di una cultura musicale, non solo chitarristica, veramente impressionante, univa a questa una curiosità insaziabile per l’avventura umana e per le molteplici forme che questa prende attraverso le pieghe della Storia. Era possibile con lui discutere di filosofia o di astrofisica, così come di pittura e di letteratura, forme d’arte che adorava particolarmente, così come anche di sport o di qualsiasi cosa e lui, sereno e riflessivo, additava percorsi e tentativi di dare senso a ciò che a volte sembra imperscrutabile ed insondabile. Mi ha aiutato molto ad avere un rapporto serio e pacato nei confronti della pratica musicale, mi ha additato mondi sonori legati alla contemporaneità della letteratura chitarristica e dato gli strumenti per poterla comprendere ed eseguire. Ritengo di esser stato davvero fortunato ad avere avuto una formazione ad ampio spettro, dapprima con il M° Aruta, così istintivo ed estroverso, caldo, generoso ed anticonvenzionale nel suo approccio alla chitarra e alla didattica, poi con il M° Gilardino, introverso, analitico e razionale, ma solo in superficie, ribollente di autentica, straordinaria passione in profondità: entrambi mi hanno aiutato a trovare, in gran parte, la misura di me stesso. Solo adesso comprendo che entrambi, apparentemente così dissimili, in realtà sono facce opposte e contrarie della stessa luminosa medaglia.

W.M.: Parallelamente al percorso classico degli studi musicali, hai maturato altre esperienze in campo musicale?

P.L.: Come ho narrato prima ho avuto inizi non accademici e da autodidatta e poi studi classici. I primi non li ho mai rinnegati e continuo a coltivarli per lo più in privato attraverso la sperimentazione con gli strumenti virtuali oltre che con la chitarra elettrica. Direi che è stato molto importante l’incontro con il chitarrista casertano Umberto Casella che iniziò un percorso di studi di chitarra classica con me, desiderando imparare il nostro repertorio poi culminato nel suo diploma accademico. Avendo lui studiato chitarra jazz con Pietro Condorelli, le nostre strade si sono incrociate sulla via dell’improvvisazione musicale e abbiamo tenuto dei concerti decisamente crossover dove mi sono alternato dalla chitarra classica all’elettrica, passando alla chitarra acustica, avvalendoci spesso delle tecniche di campionamento e di stratificazione sonora. Talvolta le nostre digressioni partivano da qualche stralcio di brano per chitarra classica che veniva poi completamente stravolto e modificato, ci sono testimonianze di questi nostri intenti sul mio canale Youtube. 

W.M.: Ci parli della tua attività professionale?

P.L.: Sono una persona abbastanza introversa e poco incline alle public relations cosa che per un musicista in realtà è veramente fondamentale e questo spiega perché sono poco presente sul palcoscenico del mondo della chitarra. Diciamo che non amo programmare o progettare e che seguo piuttosto l’istinto e l’umore del mio sentire la qual cosa mi porta a che, quando percepisco di avere qualcosa dentro di me desiderosa di esprimersi, legata alle intuizioni raggiunte nel mio percorso personale e all’esplorazione del repertorio musicale, beh a quel punto cerco effettivamente di realizzare un concerto o una registrazione. Credo che quel che oggi stia uccidendo la percezione dell’evento musicale sia piuttosto l’esatto contrario e cioè la ricerca enciclopedica e spasmodica di realizzare programmi monografici eseguiti in maniera impeccabile e con grande sfoggio di tecnica digitale ma senza una genuina e profonda adesione alla pagina, senza cioè viverla con quello slancio emotivo che da sempre ha fatto la differenza e di cui sono stati capaci i grandi maestri del passato. Non penso perciò solo alla realtà della chitarra, ma ai grandi geni del pianoforte e del violino, latori di una testimonianza umana e artistica che oggi manca per lo più in maniera sensibile.
Per fortuna noto che, da alcuni segnali procedenti in senso opposto, (penso alle giovani e giovanissime generazioni che si stanno affacciando alla ribalta), stia avvenendo un recupero di un pensare e sentire la musica più profondo e direi più umano, meno incantato dall’affabulazione virtuosistica spesso fine a se stessa; nel frattempo questa inversione di tendenza e di recupero potrebbe occupare decenni. Resto speranzoso!

W.M.: Parliamo adesso della tua attività didattica, come consideri gli attuali programmi ministeriali, sono in linea con quelli degli altri paesi europei?

P.L.: Sono sempre stato molto attratto e motivato dalla didattica, insegnare mi è sempre piaciuto molto e ho fatto ciò con grande passione ed entusiasmo. Cerco sempre di creare una relazione a livello empatico con gli allievi e faccio del mio meglio per coinvolgerli ed interessarli emotivamente. Mi sforzo di rappresentare al meglio le idee musicali che desidero comunicare attraverso esempi pratici, strumento alla mano, di conseguenza suono molto anche io durante la lezione. Questo approccio mi viene naturale e mi ha sempre dato ottimi riscontri: i neuroni a specchio funzionano! Cerco di evitare di suonare però simultaneamente all’allievo e cerco di lasciarlo libero di suonare il pezzo per intero il più possibile, magari annotandomi mentalmente le osservazioni che poi faccio alla fine del brano o della sezione analizzata. Parlo parecchio e spesso mi ritrovo a spaziare anche al di là della partitura per esemplificare al meglio, con esempi figurati o dal forte contenuto simbolico e che per analogia possono poi essere ricondotti al discorso musicale. Ovviamente questo riguarda gli aspetti legati ad un livello avanzato di studi dove cioè si è maggiormente coinvolti dalle problematiche interpretative inerenti al brano. Insegno in conservatorio dal 1994 e sino ad oggi ho avuto l’opportunità di formare e condurre al diploma decine di allievi, alcuni dei quali veramente con risultati di assoluta eccellenza e che adesso sono lanciati in splendide carriere concertistiche, vorrei menzionare, tra questi, i miei carissimi allievi Andrea Curiale e Carmine Catalano formatisi con me presso il Conservatorio di Benevento, dove ho insegnato per ben 21 anni. Inoltre in seguito al mio trasferimento al San Pietro a Majella di Napoli, anni devo segnalare la formazione e la crescita di allievi estremamente capaci e meritevoli che percorreranno, ne sono certo, attività degne di nota, tra questi Davide Checchia, Alessandro Giordano e Antonio Senese che si stanno distinguendo nei concorsi e nell’attività concertistica.
Per quanto riguarda la riforma dei conservatori io credo che si sia voluto tentare una sorta di integrazione con quelle che sono state le direttive europee in tal senso, ma ho l’impressione che queste purtroppo abbiano sortito un poco piacevole pastrocchio tipicamente italiano. Se prima il conservatorio era deputato alla formazione completa, dal livello base sino all’avanzato, dando quindi una solida formazione professionale, adesso risulta essere collocato solo nella fascia elevata degli studi dove si presupporrebbe debba avvenire il culmine del processo di formazione. Purtroppo devo constatare che nonostante gli sforzi prodotti dalle scuole medie ad indirizzo musicale nonché dai licei musicali, proprio per come queste sono articolate, non riescono generalmente a produrre le necessarie competenze necessarie ad affrontare quella che dovrebbe essere l’università della musica, ovvero il conservatorio. Questo avviene perché spesso le dirigenze delle SMIM e dei Licei Musicali, considerano tali scuole come una sorta di avviamento generico all’ indirizzo musicale, appunto non come una vera qualificazione artistico-professionale, per cui le materie musicali sono considerate come una mera integrazione ai normali percorsi di studio extra-musicali cosa che invece, a parer mio, dovrebbe essere assolutamente caratterizzante e qualificante. Si è calcolato che per riuscire ad avere una formazione di natura professionale si dovrebbero avere decine di migliaia di ore di studio e di disciplina sullo strumento prescelto, purtroppo per come sono articolati i piani di studio delle suddette scuole questo è un miraggio e una chimera al tempo stesso. 

W.M.: Come sai, alcune domande che rivolgo riguardano gli strumenti utilizzati, quali preferisci? Quelli di fattura tradizionale o quelli moderni tipo double top etc.?

P.L.: Cerco di apprezzare e di godere di entrambe le tipologie di strumento che hai indicato. Ritengo che uno strumento, soprattutto se di qualità, abbia un suo carattere, un suo suono, una sua natura e una sua anima e che questa rifletta il sentire di colui che l’ha progettata e pazientemente costruita. Sono consapevole dei progressi raggiunti dalla liuteria contemporanea e che questi siano ineludibili. In particolare credo che i risultati più interessanti saranno quelli che riusciranno a coniugare potenza e proiezione sonora con la qualità di questa. Purtroppo la liuteria contemporanea ha spesso sacrificato proprio la qualità del suono a favore della potenza e dell’impatto sonoro, producendo strumenti che hanno la propensione ad urlare, un timbro spesso acido e metallico e una scarsa resa nel range che va dal mezzoforte al pianissimo con un decadimento assai pronunciato della nota appena emessa. Ovviamente questo tipo di strumenti che alcuni hanno giustamente definito “bionici” perché in pratica palestrati e dopati, condizionano inesorabilmente il modo di suonare da parte degli esecutori i quali sono spinti a suonare sempre più forte o in maniera uniforme e senza sfumature, in una sorta di circolo vizioso. Auguro che le grandi innovazioni introdotte dalla liuteria moderna siano messe al servizio anche della qualità e della bellezza del suono e non più come in molti casi avviene, solo della potenza di quest’ultimo.
Inutile dire che adoro la liuteria tradizionale, personalmente utilizzo una bellissima chitarra ispirata ai dettami di Antonio De Torres, costruitami dal liutaio napoletano Gianni Battelli, a questa affianco una chitarra del liutaio Luis Arban, sempre ispirata alla lezione dei grandi maestri del passato come Simplicio ma ho avuto anche per circa 16 anni uno strumento assai potente e performante, costruitomi dal liutaio napoletano Alessandro Marseglia, adattissimo oltre che per un certo repertorio contemporaneo anche per l’utilizzo con altri strumenti come ad esempio il violino o il pianoforte, proprio per le sue notevoli qualità di volume sonoro.
Ultimamente ho avuto l’opportunità di tenere con me, per gli ultimi miei concerti uno strumento del famoso liutaio Andrea Tacchi, strumento dotato di una qualità di suono e di una escursione dinamica veramente particolari, gentilmente imprestatomi dalla mia cara amica e collega Clara Campese che colgo qui l’occasione per salutare e ringraziare ancora della splendida esperienza concessami nel suonare la sua meravigliosa chitarra.

W.M.: Cosa consiglieresti ad un giovane talento che volesse intraprendere l’attività concertistica?

P.L.: Di ascoltare, di assorbire, di vivere la musica a 360° di non mettersi i paraocchi o meglio i paraorecchie e di lasciarsi sedurre ed incantare da quel che produce emozioni nel profondo del suo cuore, di non essere ossessionato dall’idea di dover dimostrare quanto possa essere diventato bravo e veloce ma dell’effetto che la sua musica eventualmente produce in profondità nelle persone che ha davanti, che sia quindi instancabile e innamorato del repertorio che esegue, che la musica riesca a fluire dalla sua interiorità con lo scopo primo e ultimo di testimoniare la verità della suo sentire, della sua visione del mondo. Tutto il resto è vano e sterile esercizio e con l’Arte non ha poco o nulla in comune, semmai con un artigianato, più o meno di qualità. Credo che nel momento in cui si riesca a realizzare questo, dall’esterno la cosa venga percepita ed apprezzata e che ciò crei risonanza e attenzione, interesse tale che tutta la sua attività ne gioverà in positivo. Invece purtroppo i normali canali deputati alla selezione delle eccellenze, penso soprattutto alle realtà collegate ai concorsi musicali, spesso e volentieri premiano chi va nella direzione opposta e questo non ha fatto e non farà mai bene alla Musica.

W.M.: Siamo giunti alla fine di questo incontro, grazie ancora per il tuo contributo a questo spazio.

P.L.: Ringrazio te e la Rivista per avermi dato l’occasione e l’opportunità di raccontarmi!