Malastoria dell’Italia ai tempi di Draghi e delle occasioni mancate


Crisi di governo: tanto si parla di politica in questi giorni. Ebbene, come cambia lo sguardo su di essa leggendo fra la diversità delle opinioni? Così Igor Belansky, da cittadino comune, ancora una volta dice la sua.

Di Antonio Rossello, con riflessione di Igor Belansky.

Nella sua infinita creatività, la vita politica italiana stata è capace di generare uno scenario andato ben oltre quelle che già in partenza erano apparse ardite fantasticherie da parte di improvvisati commentatori. In questa (dis)onorata categoria, ovunque ben rappresentata, nell’anno e mezzo dell’era “dragheide” (mi sia data licenza d’uso gratuito del termine…), ha spiccato chi dapprima si è lanciato in lodi sperticate, per poi ripiegare su toni via via più distaccati, nei confronti di Supermario.

Non si è trattato tanto della mancanza di un partito che si rifacesse a Draghi (il quale tra l’altro non ha mai dichiarato di volerne uno tutto per sé…), quanto di giochi politici contrapposti, le cui logiche si possono comprendere soltanto nell’imminenza del turno elettorale, a meno di non voler pensare di peggio, visto lo scenario mondiale: si sa pecunia non olet.

Non basterebbe dunque una ordinaria riforma dei partiti, basata sui presupposti di trasparenza sull’uso del finanziamento pubblico, selezione delle candidature ( non ricordate il tanto magnificato o vituperato partito manageriale?), democrazia interna e quant’altro, se non accompagnata da ulteriori sostanziali ritocchi costituzionali, ad arginare una situazione, come quella in atto, controversa a tal punto che nessuna possibilità, pure la più nebulosa, può essere esclusa a prima vista.

E’ sconcertante che siamo giunti fin qui nonostante gli appelli alla responsabilità pervenuti da più parti della società civile nazionale, i moniti di categorie professionali ed economiche: di sicuro ora i mercati internazionali temono un ritorno del rischio italiano. La partenza del presidente del Consiglio, Mario Draghi, potrebbe indebolire l’eurozona, sull’orlo della recessione, e complicare l’azione della Banca centrale europea. Il tumulto della vita politica italiana farà precipitare ancora una volta l’Unione Europea in una crisi esistenziale? Non ci siamo ancora, ma, a Bruxelles, lo scenario è nella mente di tutti. Mosca, Washington e Pechino stanno intanto a guardare in attesa di sviluppi.

Economia e finanza risultano pertanto il fattore critico, che assume ancora maggiore rilievo, in un caso del genere. Non mi stupisco dunque se Igor Belansky, dal lato di cittadino comune pensante cui ha dimostrato di tenere, mi ha pregato di presentare una sua riflessione che enfatizza questi ultimi aspetti relativamente alle intricate vicende romane.

Non abbiamo letto o provato a leggere, arenandoci sullo stile comunicativo complicato, molteplici scritti da parte di ha (pensa di avere o pensa che il prossimo possa credere che abbia) chissà quali titoli, cultura ed esperienza, senza aver dato ancora prova di saperci azzeccare? Sulla base di questa premessa, che alla fine abbia torto o ragione, perché allora non leggere il testo semplice e conciso del nostro illustratore prestato alla prosa?

“CONCORRENZA

Ogni volta che un governo cerca di promuovere la concorrenza in economia immancabilmente cade.

Le forze corporative sono troppo forti.

La Destra italiana rappresenta le forze corporative.

E’ per questo che, secondo me, vogliono fare cadere il governo Draghi.

In Italia non c’è posto per il libero mercato.

A rimetterci sono i consumatori che spendono di più.

Non essendoci concorrenza i prezzi restano alti.

Secondo me il governo Draghi ha sbagliato a cercare di fare approvare una legge sulla concorrenza, perché non c’è una maggioranza che la voti.

Il capitalismo corporativo penso che sarà la rovina del Paese, che sarà sempre più isolato dal resto dell’Europa.

Igor Belansky”

Sarà forse stata soltanto una concausa, tuttavia è noto che sul Ddl concorrenza, riguardante anche “i taxi” e le concessioni balneari”, che per via di prescrizioni comunitarie dovrebbe essere approvato entro l’estate, se mai lo sarà, già a fine maggio Draghi aveva gelato tutti: “Mio governo finisce qui”. Comunque, se ripercorriamo le cronache da allora, ecco il dipanarsi della crisi di governo, con quella drammaturgia che obbedisce a una liturgia abbastanza immutabile.

Tutto inizia con un periodo di latenza, durante il quale si forma l’opposizione tra due forze politiche che costituiscono la maggioranza. Poi il conflitto si fossilizza su un tema, talora aneddotico – nel caso di specie, le modalità di un decreto contenente un certo numero di misure anti-crisi, in particolare la costruzione di un inceneritore di rifiuti nella periferia di Roma. Ben presto, questo argomento determina recrudescenze e minacce di rottura, più o meno credibili o strumentali. Questo è il momento in cui i due campi mostrano i muscoli a vicenda. Infine l’intensificazione è rapidissima, fino al momento dell’esito, che può avvenire in due modi: con le dimissioni del capo del governo o con l’improvvisa scomparsa, dopo trattative dietro le quinte, del problema iniziale.

Il resto è storia di questi giorni. Ma questa è anche malastoria, un affondo e un affronto nell’Italia del nostro tempo: dalle speranze di libertà e progresso coltivate nei primi anni della democrazia repubblicana fino al Paese attuale, un Paese a involuzione politica avvenuta. Un Paese a sovranità limitata, sul quale si agita forse lo spettro di un nuovo Potere. Un Paese in cui tutto ormai diventa origine di conflitto, senza diventare una possibilità di costruzione comune. In quest’ottica, non meravigliamoci dello stupore e del rammarico di Belansky.