Avrah Ka Dabra, ovvero l’ipocrisia delle parole


Vi siete mai chiesti perché nella Bibbia il primo compito che Dio assegnò ad Adamo fu di dare un nome alle cose? Indipendentemente dal fatto di essere credenti o no, in questo antico mito è racchiusa una grandissima verità. Dio o chi per Lui, non appena ebbe creato l’uomo non gli diede il compito di coltivare la terra, di pregare o prendersi cura del bestiame, ma gli diede un compito ben più importante: dare un nome a tutti gli animali. Ma perché? Perché nel momento stesso in cui Adamo assegna loro un nome le cose iniziano ad esistere. A tutti i popoli antichi era ben noto il concetto che “dire è creare“.Proprio all’inizio della Bibbia troviamo, guarda caso, l’espressione «in principio fu il verbo». Gli antichi aramaici invece dicevano Avrah Ka Dabra, “io creo quello che dico”.
Nella Grecia più arcaica le popolazioni doriche credevano che un uomo potesse acquisire potere su un altro apprendendone il nome. Quando gli antichi romani volevano cancellare la memoria di una persona la prima cosa che facevano non era distruggerne le statue, le effigi, le opere da lui create, ma cancellarne il nome. Lo stesso fecero gli egizi: esempio lampante è la cancellazione da tutti i monumenti del nome di Akenaton, ossia Amenophi IV, il faraone eretico.
Gli aborigeni australiani quando muore qualcuno non possono più pronunciare il suo nome e lo stesso vale in altre zone del pianeta. perché Gli sciamani mongoli non permettevano che la lingua scritta riportasse i nomi dei loro re defunti. Se non fosse stato per Marco Polo e alcuni altri viaggiatori occidentali, il grande impero dei Khan avrebbe rischiato di cadere in breve tempo nell’oblio.
Vi siete mai chiesti perché su alcuni social network gli algoritmi sono programmati in moto tale da scattare quando vengono usate determinate parole? O perché in Cina parole semplici, parole di uso comune come «libertà», «democrazia», «sciopero», «Tibet», «manifestazione» sono proibite? O la stessa parola «guerra» in Russia? Perché se a una cosa non si da un nome, quella non esiste. I limiti del mio linguaggio costituiscono i limiti del mio mondo.
Ecco perché i regimi di ogni epoca e in ogni luogo hanno brigato e tramato in ogni modo tentando di togliere significato alle cose, chiamandole con un altro nome oppure ignorandole del tutto.
Ecco perché le guerre divengono «missioni umanitarie», le armi di distruzione di massa «missili intelligenti», le truffe e le frodi «errori». La più grande forma di resistenza al Potere è proprio incominciare con il riappropriarci delle parole che vorrebbero sottrarci, con il chiamare le cose con il loro nome.
E ricordatevi sempre: ciò che non si può dire è quasi sempre l’unica cosa degna di essere detta.
Soprattutto se Zuckerberg non vuole.