L’incredibile vita di Camillo Di Rudio


È scampato alla ghigliottina, alla febbre gialla ed al massacro di Little Big Horn. Qualcuno lo ha definito “l’uomo più fortunato del mondo”, e in effetti come si può dargli torto?.
Il conte Carlo Camillo di Rudio (Belluno, 26 agosto 1832 – Pasadena, 1º novembre 1910), entrò con il fratello al collegio militare austriaco di San Luca a Milano quando aveva solo 13 anni. Tre anni dopo, durante i tumulti del 1848, fu coinvolto nei moti lombardi delle cinque giornate di Milano e uccise, sempre con il fratello, un soldato austriaco croato responsabile di uno stupro e del conseguente assassinio di due donne. Trasferito a Graz, gettò la divisa austroungarica alle ortiche e ritornò clandestinamente a Belluno, accompagnato dal fratello Achille. Abbracciando gli ideali mazziniani, accorse alla difesa di Venezia, dove Achille trovò la morte a causa di una infezione colerica. Carlo di Rudio combatté per Venezia agli ordini di Pier Fortunato Calvi e a fianco di Felice Orsini. L’anno dopo, sfuggito alla polizia austriaca, riparò a Roma dove si arruolò nei garibaldini impegnati nella difesa della Repubblica Romana. Qui conobbe Mazzini, Garibaldi, i fratelli Emilio e Enrico Dandolo, Aurelio Saffi, Goffredo Mameli e Nino Bixio. Fu arrestato dai francesi ma riuscì a fuggire imbarcandosi con destinazione New York. Ma evidentemente non era ancora il momento di raggiungere gli Stati Uniti perché il destino decise diversamente. A seguito di una tempesta la nave dovette riparare a Cartagena da dove egli, travestito da sacerdote, raggiunse prima Marsiglia, poi Parigi, dove – incapace di stare fuori dai guai – si schierò coi Giacobini che si opponevano al colpo di stato di Napoleone III. Intercettato e condannato dalla polizia di Napoleone III, riuscì a dileguarsi ed a farsi passare per cittadino inglese riparando così in Svizzera. Ma anche qui venne fermato ed espulso riuscendo a raggiungere infine Londra dove Giuseppe Mazzini gli trovò una provvisoria sistemazione come giardiniere al servizio di Luigi Pinciani, un noto filantropo amico di Victor Hugo e costantemente in contatto con Mazzini.. Fu qui che conobbe e sposò la quindicenne Eliza Booth.
Subito dopo partecipò all’insurrezione mazziniana del Cadore: lo stesso padre Ercole Placido e la sorella maggiore Luigia furono arrestati e incarcerati a Mantova.
Nel gennaio 1858 era a nuovamente a Parigi, dove con Felice Orsini e altri cospiratori tramò per attentare alla vita di Napoleone III ritenuto colpevole del fallimento dei moti italiani del 1848-49. Il 14 gennaio 1858, alle 8 e mezza di sera, in rue Lepelletier, nei pressi del teatro dell’Opéra national de Paris, tre bombe furono lanciate contro il corteo imperiale che lasciarono però completamente illeso Napoleone III (a parte una piccola ferita alla guancia) e l’imperatrice Eugenia, ma causarono invece otto morti e ben 156 feriti tra la folla assiepata ai bordi della strada.. Dopo il fallimento dell’impresa, venne arrestato e condannato alla ghigliottina. All’ultimo momento, per l’intercessione del suocero e della giovane moglie presso la regina Vittoria, la pena capitale fu commutata nella dura prigionia alla Cayenna, sull’Isola del Diavolo. Ma anche qui non si dette per vinto. Scampato ad una epidemia di febbre gialla che provocò oltre 600 morti tra i detenuti, dopo un anno con un gruppo di carcerati riuscì ad evadere (al secondo tentativo) e a raggiungere in modo avventuroso la Guyana Britannica. Nel febbraio 1864 approdò finalmente a New York dove trasformò il suo nome in Charles C. DeRudio cominciando una nuova vita. Lo ritroviamo arruolato tra le file nordiste dove, dopo un iniziale diffidenza, fu molto apprezzato tanto che con il grado di sottotenente approdò al mitico 7º Cavalleria del tenente colonnello George Armstrong Custer.

Era presente al massacro di Little Bighorn, in quel tragico 25 giugno 1876, ma la fortuna ancora una volta fu dalla sua parte perché Custer, che non aveva molta simpatia per lui, lo aveva dirottato nel reparto del Maggiore Marcus Reno che riuscì in parte a scampare al massacro. Per due giorni rimase nascosto nella vegetazione finché non riuscì a ricongiungersi con i compagni. Finito davanti alla corte marziale con l’accusa di diserzione, fu completamente scagionato e rimase nel 7º Cavalleria fino al 1896.
Detto per inciso, al Little Big Horn erano presenti altri “italiani” del 7º Cavalleggeri: il trombettiere Giovanni Martini, giovane recluta, salvatosi solo perché Custer lo mandò a chiedere rinforzi, il capo della banda del reggimento Felice Vinatieri, l’altro musicista Francesco (Frank) Lombardi, Agostino Luigi Devoto, Giovanni Casella, e ancora Alessandro Stella, Giuseppe Tulo, e Francesco Lambertini, probabilmente insieme ad altri di cui oggi si è persa memoria.
Trasferito ad altri incarichi logistici, di Rudio fu assegnato nelle terre del Nord-Ovest dove partecipò nel 1877 alle guerre indiane che si conclusero con l’inseguimento a Capo Giuseppe (il nativo Nez Percé) che era riuscito a tenere in scacco l’esercito americano con i suoi pochi guerrieri e la sua disperata fuga verso il Canada. Nella tranquilla guarnigione di frontiera l’ormai anziano soldato italiano riuscì a conoscere anche il grande Geronimo degli Apache Chirichaua e nel 1896, arrivato all’età di 64 anni, di Rudio andò in pensione con il grado di Maggiore della Riserva. Nel 1908 ai giornalisti che lo intervistarono nel cinquantenario dell’attentato di Parigi rivelò una notizia sensazionale anche se molti storici restano scettici anche per via di alcuni dettagli da lui raccontati che non trovano riscontri: uno dei tre attentatori che lanciarono ordigni contro Napoleone III (gli altri due erano lo stesso di Rudio e Gomez) era nientemeno che Francesco Crispi, il futuro capo del governo italiano, che ricevette una delle tre bombe dalle mani di Orsini. Di Rudio sosteneva quindi che Orsini non fu tra gli esecutori materiali dell’attentato al corteo imperiale. In effetti, incrociando il racconto con altri, sembra che la notizia possa effettivamente corrispondere a verità, sebbene prove definitive non ve ne siano.
Carlo Camillo di Rudio morì a Los Angeles il 1º novembre 1910 per un problema cardiaco assistito dalla moglie Eliza, dal primogenito Hercules e dalle tre figlie Italia, Roma e America, in un letto sovrastato dai ritratti dei suoi tanto amati compagni d’avventura: Pier Fortunato Calvi e Giuseppe Mazzini. Venne sepolto nel National Cemetery di San Francisco dove oggi campeggia una lapide con una semplice scritta: Charles C. DeRudio, Major, 7° Cavalry – 1 nov. 1910. La sua incredibile storia è stata ricostruita dall’italo-americano Cesare Marino nel libro ”Dal Piave al Little Big Horn” (Tarantola, Belluno, 2010).
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Fonti:
Cesare Marino: ”Dal Piave al Little Big Horn”
wikipedia.it