Orba di tanto spiro


Con la modestia che da sempre mi distingue, per il titolo di questo articolo ho preso a prestito dal Manzoni un verso del Cinque Maggio. Il soggetto della frase, però, non è la spoglia immemore del grande Corso, bensì le spoglie della sinistra italiana, privata di Michela Murgia, “faro illuminante” che si è spento – è proprio il caso di dirlo – la scorsa settimana.
Non avrei voluto scrivere alcunché su di lei, reputandolo un argomento poco interessante, ma date le moltissime voci di ogni colore politico che si sono levate per osannarne la memoria o almeno accondiscendere a un caritatevole postumo compianto, mi è salito un moto di ribellione nei confronti dell’ipocrisia di tanti che, pur avendola sempre criticata in vita, adesso concedono un tardivo riconoscimento alla scrittrice e alle sue idee.
Per parte mia ho sempre osteggiato le dichiarazioni di Michela Murgia, le sue esternazioni spesso scombinate, i suoi progetti politici squinternati e il suo modo di vivere, con la sua “queer family” e la pretesa che diventi un modello per il mondo intero, sottolineando una concezione di nucleo familiare contro stereotipi, convenzioni e leggi. Non una “famiglia allargata”, perché la scrittrice ha accolto nella sua casa romana amiche, colleghi, persone che ha amato e sostenuto; la sua “famiglia queer”, nel corso degli anni, ha visto avvicendarsi tanti “figli dell’anima”, figlie e figli non biologici ma arrivati per altre vie.
Per chi non sapesse cosa sia una “queer family”, riporto una frase della scrittrice: “La queerness familiare è una cosa che esiste e raccontarla è una necessità sempre più politica, con un governo fascista che per le famiglie non riconosce altro modello che il suo”.
Già in queste parole si vede quanto distante sia il suo pensiero dal mio e, credo, da quello di molti lettori: non è che tu ti inventi un modo di vivere tutto tuo e puoi pretendere che diventi lo standard per tutta l’umanità – che a tuo dire è fascista. Sarebbe come guidare l’auto sul lato sinistro della strada e volere che tutto il mondo seguisse il tuo esempio “perché così sarebbe un mondo più sicuro! Grazie tante! Nel frattempo, nonostante Regno Unito, Australia e Giappone continuino a sostenere la tua tesi, un sacco di gente si schianterà per evitare la tua auto finché un bel frontale ti convincerà che il mondo non gira come vorresti tu.
Michela Murgia era così, praticamente da ogni suo scritto e da ogni pensiero traspariva la presunzione di essere sempre dalla parte giusta della barricata e invariabilmente collocava le altre idee nel grande contenitore mentale sul quale aveva apposto l’etichetta “fascisti”.
Piaceva molto alla sinistra, anche perché non aveva paura (questo bisogna riconoscerglielo) di esporsi, di metterci la faccia, permettendo così a molti suoi simpatizzanti di assumere un atteggiamento conigliesco e nascondersi dietro alla sua figura, la cui imponenza fisica era anche uno scudo ideologico per sostenitori che preferivano restare in ombra. Qualcosa del tipo: “Vai avanti tu che a me scappa da ridere”, insomma.
Recentemente un’amica ha riportato una frase della defunta che recita così: “Ho coltivato una speciale diffidenza per chi si compiace di dire sempre quello che pensa. Temo con ogni fibra quel tipo di persona che è pronta a scambiare per pensiero il moto casuale di tutto quello che gli passa per la testa e chiama sincerità l’incapacità di controllarlo.”.
Essendo il mio mestiere quello di esprimere opinioni, la esprimerò anche in questo caso: questo è il tipico ragionamento capzioso di coloro i quali non riescono ad accettare che ci sia qualcuno che la pensa diversamente da loro. Ragione per la quale tendono a bollare come errata qualsiasi tesi che porti a conclusioni diverse dalle loro, dichiarando fuori controllo ciò che non possono omologare alle loro convinzioni.
Qualcuno a questo punto dirà di non sopportare le persone che sputano sentenze e giudizi sugli altri, senza alcuna sensibilità verso il proprio prossimo, che affermano di dire sempre quel che pensano nascondendo dietro a tale affermazione un’aggressività compulsiva, che pensano di avere la verità in tasca, non mettendosi mai in discussione e andando fieri di ferire gli altri scambiando la cattiveria per sincerità.
A tutti loro rispondo che queste definizioni si attagliano anche, purtroppo, alla Murgia: una donna che, con la scusa che il pensiero va rimacinato come la semola, ha sempre criticato – anche pesantemente – chi non si allineava al murgiapensiero, il più delle volte proprio tirando fuori la scusa che chi dice ciò che pensa non è credibile, è pericoloso e – invariabilmente – anche fascista.
Personalmente non mi piace sputare sentenze o esprimere giudizi affrettati, essendo fermamente convinto di essere un qualunque ‘umarèl’ degno forse di passare le giornate a osservare gli operai che lavorano nei cantieri, ma se dire ciò che si pensa diventa un comportamento negativo allora mi rivolto come un serpe. E mordo.
Quelli che credono di avere la verità in tasca sono i Cecchi Paone, i Parenzo, i Vauro, le Cirinnà, i Grillo e tutti i quaqquaraqquà che da una tribuna televisiva (non mancano mai e rendono bene in gettoni di presenza!) giudicano il loro prossimo in termini di coordinate del seggio parlamentare.
Io la Murgia l’ho sempre criticata da viva e non capisco perché da morta dovrei accettare il fatto che poteva pensarla in altro modo, mentre lei, sia nei comizi per le elezioni regionali in Sardegna sia dalle colonne dei giornali e dal su blog ha sempre criticato e offeso impunemente.
Non mi metto certo nel novero di chi la chiamava cesso, boiler con le gambe o scherzo di natura, perché l’insulto – anche se paludato di un velo di verità – è sempre da aborrire, ma non intendo usare due pesi e due misure per la persona viva e per quella morta. Rispetto per il suo cadavere, nulla oltre a ciò. Personalmente e senza false ipocrisie, pur dolendomi umanamente per una vita finita, posso dirmi sollevato che la signora abbia tolto il disturbo contribuendo in tal modo a migliorare il panorama letterario, politico e ideologico italiano. Un premio Darwin alla memoria, in fondo, lo meriterebbe.