Il ritorno del soldato ferito


Domenico Induno, (1815 – 1878) – (1854) – olio su tela, cm 42 x 53 – Milano, Gallerie di piazza della Scala.


Abbiamo già incontrato Domenico Induno, pittore manierista italiano. Di lui dobbiamo ancora dire che fu un fervente patriota, come il fratello Gerolamo. Per sfuggire alle repressioni austriache, dopo aver partecipato ai moti milanesi del 1848, con il fratello ripara prima in Svizzera ad Astano, dove sposa Emilia Trezzini, sorella del pittore Angelo, e poi nel 1850 a Firenze.
Tornato a Milano, espone a Brera opere dalle quali traspaiono il pietoso amore per la vita e i sentimenti degli umili.
Vale, a questo proposito, ricordare il dipinto Pane e lagrime, acquistato dallo stesso Hayez e premiato nel 1855 all’Esposizione Nazionale di Parigi.
La partecipazione a numerose occasioni espositive e alle importanti commissioni come Arrivo del Bollettino della pace di Villafranca, dipinto nel 1861 per i Savoia, (Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna), accrebbero la sua fama. Come ci fa intelligentemente notare il Rigatoni, il pittore in questo quadro volle “raggiungere l’impressione che fece nel popolo e non già l’atto ufficiale” (Eleuterio Rigatoni Freddi, “Eh, che maniere! – Storia della pittura manierista nel Lombardo Veneto prima della polmonite di Francesco Giuseppe”, Montebello, 1914).
Dello stesso periodo è l’opera qui descritta, che si colloca ancora nel filone manieristico ma risuona di note familiari, richiamando (come bene ci illustra il Porta) i trascorsi del fratello Girolamo, ferito gravemente durante la difesa della Repubblica Romana, dove aveva partecipato alla difesa della città assediata dai francesi di Napoleone III nel 1849, riparato a Milano grazie a una fuga rocambolesca con l’aiuto del conte Giulio Litta.
Nel dipinto l’autore trasferisce sulla tela, oltre alle sensazioni che ben sa suscitare nell’osservatore, il ricordo delle traversie del fratello, il quale durante il viaggio di ritorno trovò rifugio presso contadini che lo aiutarono durante il pericoloso viaggio, fornendogli anche un minimo di assistenza medica (cfr. Eusebio Porta di Servizio: “Fughe nella Storia, da Giuseppe in Egitto a Bartali sul Galibier” in “Manuale teorico-pratico dell’annodatore di lenzuola”, Poggioreale, 2001).
Venendo all’esegesi vera e propria, nel quadro possiamo vedere, di primo acchito, il giovane ferito che indossa una giubba da garibaldino e cerca riposo su di una sedia, mentre accanto a lui una giovane malata lo osserva dal suo letto e una bimba – presumibilmente la figlia o la sorellina – le sta accanto con aria afflitta. Alla finestra retrostante un’altra donna osserva ciò che accade al di fuori della povera magione. Sopra il letto un crocefisso e alcuni fogli appesi alle pareti, da cui piovono anche ragnatele e pezzi d’intonaco che vanno a lordare un pavimento che non vede il cencio da parecchi mesi per la gioia di ratti e scolopendre.
Il braccio del militare è stato evidentemente medicato, ma le bende son già nuovamente intrise di sangue, talché la povera donna dovrà nuovamente medicarlo, strappando un altro pezzo della sottoveste, avendo da tempo finito le fasce pulite. Lo sguardo corrucciato del giovane soldato è forse dovuto a questa situazione di igiene incerta (riuscirà a salvare il braccio o la cancrena lo divorerà portandolo ad un’amputazione che potrebbe anche preludere a una setticemia fulminante) o sono altri i motivi delle sue preoccupazioni?
Ci viene in aiuto il Cacopardo, che con provvidenziale sagacia e inusitato acume analizza l’opera dal punto di vista semantico – anafestico, fornendoci la giusta chiave di lettura. In realtà il ferito teme anche l’arrivo dei nemici che lo stanno inseguendo, tra cui vi è un capitano la cui figlia era stata sedotta e abbandonata dal fuggiasco, il quale è quindi doppiamente preoccupato per la sua condizione sanitaria e per il timore di non riuscire a farla franca. Egli infatti ha ricevuto tre pallettoni nell’avambraccio durante il maldestro tentativo di rubare un cavallo per velocizzare la sua fuga: la guardia delle scuderie lo ha sorpreso sparandogli una fucilata prima di chiamare aiuto. Il giovane è riuscito a fuggire a cavallo, dopo poche miglia questi si è azzoppato non lasciandogli altra scelta che proseguire a piedi. Rifugiatosi in un vicino casolare, egli ha mostrato un lasciapassare (che ancora stringe nella mano destra) e si è fatto medicare alla bell’e meglio, chiedendo alle due donne di nasconderlo nel caso arrivassero i suoi inseguitori, almeno finché non facesse buio. Nell’attesa di poter ripartire il giovane (che oltre ad essere un bel ragazzo era anche un goliardo navigato) si era ripassato le leggi fondamentali della goliardia milanese, ed in particolare la legge della maniglia, ingroppandosi a turno prima la madre e poi la figlia la quale, proprio a seguito di questo spasmodico fricche-fracche, aveva avuto un malore (Agilulfo Giovancarlo Cacopardo di Treblinka, detto “il Leopardo con la Diarrea”, titolare della cattedra di Sputi Controvento e Saltimbocca alla Siciliana, in: “Vita intima di un rovina famiglie a spasso per l’Italia”, Ragusa, 2016).
La scena fissata sulla tela racconta ciò che accadeva un istante prima che la donna alla finestra scorgesse non gli inseguitori, ma il cornu marito che tornava dai campi con il barroccio carico di fieno. Sarò proprio in quel carro che il giovane sarà nascosto sperando di poter finalmente far ritorno a casa, se non fosse che la sua rinite allergica lo farà starnutire proprio in prossimità del posto di blocco dei soldati nemici. Immediatamente dopo accaddero i seguenti fatti: avendo i militi pensato che a starnutire fosse il carrettiere gli gridarono “salute!” e lo lasciarono proseguire tra le risate, mentre per la paura al fuggitivo venne un attacco di angina pectoris e al guidatore uno strizzone intestinale che gli riempì le mutande, esattament quanto accadde al mi’ cognato Oreste quella volta che tornò da Calafuria sulla spider di un’amico con una vistosa bionda sul sedile accanto. Giunto al bar Civili dove avrebbe voluto offrire un ponce a vela alla su’ ganza, restò impietrito sentendo l’inconfondibile voce stridula della suocera che lo chiamava dal marciapiede di fronte, lasciando un’indelebile macchia puteolente sul sedile in alcantara color panna che provocò l’immediato abbandono da arte della suddetta bionda e il successivo fracassamento di svariate ossa da parte dell’ex-amico.