U mégiu che ‘n cá gh’émmu?


Commento ad immagine di Igor Belansky.

Il dialetto genovese è talora spietato nel trovare calembour, o giochi di parole, che, pur essendo scritti nello stesso modo, risultano veramente distanti come senso. E, da buon genovese, Igor Belansky questa volta si diverte a descrivere graficamente questi aspetti.
“U mégiu che ‘n cá gh’émmu” nella sua prima forma significa “Il meglio (o migliore) che in casa abbiamo”. Ebbene, quante volte in un dato ambiente, in una casa, un paese, o persino in una redazione giornalistica, c’è qualcuno che crede di essere il migliore ed allora ritiene o spera di essere ascoltato e creduto, quando parla o scrive.
Non sempre però certe sue affermazioni sono davvero primizie, perle di saggezza, esempi di avvedutezza… e si capisce a prima vista.
Ecco, dunque, fa capolino l’altro significato di: “U mégiu che ‘n cá gh’émmu”, ossia “Il meglio che noi…” . Omettiamo il verbo perché troppo triviale, ma chiaramente intuibile è
la sua traduzione in italiano.
Infine, aggiungiamo soltanto che il sapientone dell’immagine non medita esclusivamente, mentre è seduto sul vaso. Si, proprio dentro quel vaso, sta racchiuso il meglio dei suoi pensieri.