Voto contro natura


Salvatore Grita (1828 – 1912) – Scultura in marmo – Firenze, Palazzo Pitti.

Una dedica alquanto insolita scolpita sul basamento, così come è insolita la scultura realizzata intorno il 1860/70 da Salvatore Grita e intitolata “Voto contro natura“, facente parte delle collezioni di Palazzo Pitti di Firenze.
La figura femminile in abiti religiosi in evidente stato di maternità, posta in un angolo come fosse prigioniera, se non fosse per la scritta incisa alla base la sua lettura potrebbe essere alquanto diversa: la dedica è la chiave per comprendere sia l’opera scultorea sia la personalità di questo autore non eccessivamente conosciuto: “Ai protettori e sostenitori del voto contro natura“.
Per dirla con il Pompieri: “… un monito che non lascia dubbi, un urlo contro la consuetudine di rinchiudere in convento le ragazze madri, amplificato dallo squallore dell’ambientazione architettonica che sottolinea una disperazione spirituale” (Conte Arcibaldo Pompieri di Viggiù, “Con ‘sta pioggia, con ‘sto vento, chi è che bussa al mio convento?” – testo apocrifo; Scarmhausen 1992).
Unicamente allo scopo di aggiungere una nota di colore è il caso di riportare quanto ebbe a dire il mi’ cognato Oreste durante una visita a Palazzo Pitti con la moglie Argìa osservando questa scultura. Dopo essersi soffermato meditabondo per alcuni interminabili minuti (la coda alle sue spalle si stava già allungando…) se ne uscì rivolto alla consorte, con un tono di voce buono per lo stadio: “Badalì sposa, o la suorina s’è nascosto un co’omero sotto le vesti oppure Fra’ Mazzo da Velletri è passato per la su’ cella!”.
Tornando all’esegesi dell’opera, con il “Voto contro natura” attualmente a Palazzo Pitti, lo scultore siciliano creò un capolavoro assoluto. Per inciso, questa struggente opera meriterebbe una sistemazione migliore: come ben chiosa il Vila Doria “… il suo messaggio, se ben percepito è di quelli che vengono viene espressi con una tale irruenza da lasciare il segno: egli volle scolpire nel marmo il suo disprezzo e il suo dolore contro la sconvolgente usanza del suo tempo di internare in convento le ragazze madri. Lui stesso, figlio di giovanissima madre, da bambino crebbe in un orfanotrofio, affidato alle suore di clausura che, evidentemente, non gli devono aver lasciato un buon ricordo, abilissime nell’aggirare i precetti di quel Dio d’Amore che tanto andavano pregando (Claudio Villa Doria Pamphili, ordinario di Battitura dei Tappeti Isfahan alla Scuola Normale di Pisa, in “Metafisica della scultura sacro-profana ai tempi in cui il dominio temporale dei papi era alla canna del gas”, Metaponto, 2015).
Molti sono stati, in verità, i figli di N.N. strappati alle giovani madri il cui unico peccato era stato un atto d’amore. E furono battezzati Giuseppe, Salvatore, Angelo, Benedetto e tanti altri nomi dall’etimo immanentemente religioso, ma con cognomi vergognosi quali Diotallevi, Degli Esposti Diotiguardi, Sperandio, Trovati, Incerti, e via vaneggiando.
Anche Grita ebbe probabilmente in origine uno di questi cognomi. Solamente più tardi il padre naturale, il falegname Giovanni Grita che lo riconobbe nel 1854 (quando Salvatore aveva oramai 26 anni), e sua moglie Marianna Noto lo presero con loro. Ma a Salvatore quel passato di paure, preghiere e punizioni lasciò un carattere fortemente anticlericale, posizione condivisa peraltro da molti intellettuali nel periodo storico in cui visse l’autore: gli anni del Risorgimento, che portarono nel 1870 alla breccia di Porta Pia e alla definitiva demolizione del potere temporale della Chiesa.
Forte di una preparazione accademica, le sue opere sono imperniate sul realismo con rimandi alla scultura toscana del quattrocento, ma non si distaccò dall’ideale di un’arte destinata all’educazione civile della nazione: avverso ai generi premiati dal mercato privato, privilegiò gli incarichi e le commissioni pubbliche dallo Stato.
Le sue sculture hanno la costante dell’impegno sociale, finalizzato a stimolare la riflessione del pubblico, impegno che portava avanti, sebbene a volte poteva essere non eccessivamente gradito dal mercato delle opere d’arte.