Chitarra Classica – Intervista al liutaio Mirko Migliorini


L’intervista di oggi è dedicata al bravissimo maestro liutaio: Mirko Migliorini. Mirko Migliorini si diploma nel 2002 presso la prestigiosa “Civica Scuola di Liuteria di Milano”.
Dopo aver frequentato diversi rinomati laboratori di liuteria, iniziò a creare i propri strumenti seguendo la propria filosofia. Immediatamente, i suoi strumenti sono riconosciuti per le loro caratteristiche di design, lo stile raffinato e l’alta qualità.
Nel 2001 Mirko ha vinto il terzo premio al 5° Concorso Internazionale di Liuteria di Baveno. Ha restaurato e sviluppato diversi strumenti storici originali tra cui Guadagnini, Panormo, Pascual, Galan, Gallinotti, Fleta, Romanillos, Monch, ecc.
Per studiarli ha effettuato varie misurazioni dimensionali di importanti strumenti storici, tra cui Torres, Hauser, Bouchet e Fleta.
Ha sempre partecipato ai maggiori Festival Chitarristici, tenendo seminari e convegni su caratteristiche tecniche ed organologiche della chitarra.

WM: Mirko benvenuto e grazie per la tua disponibilità a questa serie di interviste che curo per WeeklyMagazine. Ci racconti dei tuoi inizi al mondo della liuteria e perché la chitarra?

M.M.: Da ragazzino, intorno ai sedici anni, insieme ad alcuni amici, suonavo in un gruppo musicale; componevamo pezzi nostri e suonavamo nei seminterrati di un Centro di Aggregazione Giovanile a Calolziocorte, un piccolo paese in provincia di Lecco, vicino a dove abitavo. Io suonavo principalmente il basso, ma, all’occorrenza, strimpellavo anche la chitarra. Sin da ragazzino sono sempre stato circondato da molti strumenti musicali, anche se in realtà nessuno nella mia famiglia è mai stato un musicista. Ecco come è andata: mia nonna, la madre di mio padre, amava viaggiare e, ogni volta che ritornava da uno dei suoi itinerari in giro per il mondo, aveva l’abitudine, chissà perché, di portarmi in dono uno strumento musicale acquistato sul posto. I miei preferiti erano un basso elettrico russo di marca sconosciuta, un sitar indiano, e una chitarra classica, una Aria giapponese, piuttosto economica, ma perfetta per l’uso che dovevo farne con il mio gruppo. A un certo punto la chitarra mi era caduta e la paletta si era rotta in modo piuttosto grave – non si trattava di una semplice crepa – ed era quindi necessario ricostruirne completamente la testa. Per fortuna mio padre, che è sempre stato un uomo abile e ingegnoso, possedeva diverse macchine e attrezzi per la lavorazione del legno e dunque anch’io normalmente utilizzavo questi strumenti di lavoro, nonostante la mia giovane età; così, avendo anche sempre avuto una buona manualità, mi sono cimentato nel cercare di riparare la mia chitarra. Ho scelto un pezzo di mogano il più possibile simile all’originale e, con fresa, trapano, scalpello, lime e altri attrezzi, ho rimosso la paletta danneggiata, ne ho costruita una nuova identica all’originale e l’ho incollata al manico. Lì per lì non me ne sono reso conto, ma avevo davvero fatto un buon lavoro, assolutamente di non facile realizzazione. Ritornato in sala prove con la mia chitarra sistemata ma non ancora riverniciata, uno degli operatori del centro, visto il lavoro fatto, ha pensato di presentarmi a un suo amico che faceva il liutaio proprio a Calolziocorte, Renato Barone. Sono andato dunque da lui con la mia chitarra riparata e lui, già dalla seconda visita, mi aveva preparato uno dei suoi tavoli da lavoro, dove avrei potuto rifinire la mia paletta. Di lì a poco mi propose di aiutarlo con alcuni pezzi delle sue chitarre, visto che risultavo molto abile. Insomma, senza nemmeno rendermene conto, ero entrato in bottega da Renato, che a quei tempi era uno dei più bravi liutai in Italia e che sarebbe diventato uno straordinario maestro, apertissimo, coinvolgente, capace di farmi appassionare.
L’anno dopo già lo accompagnavo alle mostre di liuteria nei vari festival chitarristici in Italia e in Europa: ricordo addirittura esperienze come Gargnano e la prova acustica degli strumenti esposti fatta da Oscar Ghiglia, o Nurtingen, dove ho potuto osservare da vicino le prime chitarre di Matthias Damman fatte con il nomex.
Un turbinio di situazioni intense e formative, di incontri impensati e sbalorditivi: a sedici anni, inaspettatamente e per buona sorte, avevo già trovato la mia strada, che mi entusiasmava allora come ancora oggi.
Dopo le scuole superiori mi sono iscritto alla Civica Scuola di Liuteria di Milano dove ho studiato per quattro anni materie come restauro, organologia, fisica acustica, chimica e svolto moltissime ore di laboratorio, seguito da insegnanti preparati e capaci, e dopo aver ottenuto il titolo di Maestro Liutaio a pieni voti, ho subito aperto il laboratorio ad Airuno ed è da allora che mi dedico a tempo pieno alla costruzione delle mie chitarre.

WM.: Tu costruisci un unico modello di chitarra da concerto conforme alla tua idea di suono, ci parli del tuo progetto costruttivo?

M.M.: Da sempre cerco di costruire strumenti che abbiano un suono personale e ben riconoscibile, che esaudiscano il mio personale gusto e assecondino la mia sensibilità. Sono solito confrontarmi con musicisti che stimo e apprezzo, ma poi metto sempre le loro opinioni e percezioni al vaglio delle mie personali sensazioni. Ovviamente io non sono un musicista professionista e non pretendo di poter valorizzare le chitarre meglio dei musicisti che le acquisteranno, ma credo di aver sviluppato negli anni, con l’esperienza, alcuni accorgimenti, come il tocco o il peso della mia mano sullo strumento, e una soggettiva sensibilità musicale, capaci di rivelarmi immediatamente se il suono ottenuto corrisponde a quanto avevo in mente e se le eventuali modifiche apportate sono da considerarsi efficaci. Inoltre, durante la fase di messa a punto, dedico molto tempo a suonare i miei strumenti e lo faccio soprattutto quando lo strumento è senza vernice: provo, riprovo, confronto i miei strumenti tra loro, per cercare di capirli bene fino in fondo ed eventualmente produrre delle piccole correzioni su spessori o su alcune parti interne, in modo da ottenere appieno il suono desiderato. È un’operazione che richiede molta concentrazione e molto tempo, anche perché coincide con il primo assestamento dello strumento: in questa fase la chitarra cambia velocemente, acquista la giusta tensione, il corretto setting, l’esatta elasticità e va dunque monitorata per diversi giorni, perché deve essere accompagnata in modo che possa poi esprimersi al meglio. Quando finalmente ha raggiunto il suo punto di equilibrio, il lavoro è pressoché terminato: la sua voce è all’incirca definita e si può procedere alle fasi conclusive di verniciatura e finitura.

WM.: I tuoi strumenti sono caratterizzati da maneggevolezza, facile ed immediata emissione sonora, equilibrio e supporto in tutte le gamme (anche alte) oltre che volume e potenza sonora, consentendo cambi dinamici rapidi ed estesi.

M.M.: Oggi le esigenze musicali di un concertista sono molteplici, come esibirsi in grandi teatri, suonare musica da camera con altri strumenti che producono un volume sostanzialmente maggiore rispetto alla chitarra, eseguire concerti con orchestre: dunque cerco di costruire uno strumento che sia il più completo possibile, cercando di non tralasciare nulla, uno strumento con cui il musicista si trovi a suo agio e su cui possa fare tutto quello che la sua espressività richiede. Mi ha sempre affascinato il rapporto che si instaura tra musicista e strumento musicale: è qualcosa di estremamente complesso e intimo ed è grazie alla profondità di questo rapporto che il musicista riesce a interpretare in modo unico un brano musicale, a trasformare un’idea musicale in suono e poi in musica. Però, per poterlo fare al meglio, il suo strumento non solo deve agevolare questo processo, ma lo deve intensificare, rendendo quelle intenzioni musicali, qualunque esse siano, qualcosa di meraviglioso. Quindi, per attuare questo processo sono fondamentali caratteristiche come maneggevolezza, facilità e immediatezza nell’emissione sonora, equilibrio e supporto in tutti i registri, volume, sustain e potenza sonora per consentire cambi dinamici, rapidi ed estesi dal piano al forte. Insomma, cerco di ottenere dai miei strumenti non solo un suono potente, ma anche tutte quelle caratteristiche che possano far sì che un musicista possa arrivare ai limiti della propria espressività musicale.

WM.: Nel processo di produzione del suono è di fondamentale importanza conoscere la fisica acustica. Ci parli delle tue ricerche in merito?

M.M.: La fisica acustica applicata alla chitarra classica è uno degli aspetti più interessanti e coinvolgenti della liuteria. Tutte le geometrie dei miei strumenti, gli spessori di tavola, fasce e fondo, le dimensioni e la concentrazione di masse nei vari elementi come manico, paletta, ponticello e zocchetti, sono accuratamente tarati per ottenere un determinato movimento vibratorio ripetibile da chitarra a chitarra. 
Ogni particolare dei miei strumenti è pensato a partire dalle analisi dei modi di vibrazione, dell’accoppiamento delle risonanze di tavola e fondo, dell’intonazione delle risonanze dell’aria all’interno della cassa di risonanza.
 A questo proposito, una delle mie ultime ricerche riguarda una versione “moderna” del tornavoz ideato da Torres, che si basa proprio su concetti di fisica acustica. Si tratta di un accessorio in ottone, facilmente removibile dalla buca, che, una volta applicato, modifica il timbro e l’emissione del suono. 
Il timbro cambia perché il tornavoz permette di abbassare l’Helmholtz (una delle risonanze principali dell’aria all’interno della cassa) a circa 70hz equalizzando lo spettro armonico, mentre l’emissione è diversa dato che il trasferimento di onde sonore verso l’uditore è più efficace. 

Il suono che noi udiamo è trasportato dall’aria, ma il chitarrista non eccita direttamente l’aria, come invece avviene nel caso degli strumenti a fiato, ma mette in vibrazione una o più corde, che, a loro volta, mettono in vibrazione la tavola armonica, la quale agisce sull’aria. È prerogativa dello strumento trasferire l’energia sonora (cioè irraggiarla) all’aria esterna nel modo più vantaggioso possibile, perché possa essere udito alla massima distanza con il minimo dispendio di energia. Ecco, il tornavoz agisce proprio ottimizzando il trasferimento tra aria all’interno della cassa e aria nell’ambiente. 
Cercherò di spiegare in maniera molto semplice come funziona: il tornavoz all’interno della cassa della chitarra divide la massa d’aria della cassa in due, creando un sistema del tutto equivalente al sistema meccanico massa-molla, dove la molla è l’aria all’interno della cassa, in virtù del fatto che è comprimibile – chiusa nella cassa si comprime e si dilata ma rimane fondamentalmente ferma – , mentre la massa è l’aria che si trova all’interno del tornavoz, una massa d’aria “oscillante” e libera di muoversi con una velocità finita come un unico blocco, non comprimibile per via dell’apertura (la buca) e la cui caratteristica principale è l’inerzia, che essa possiede una volta messa in oscillazione.
Chiaramente, per funzionare al meglio tutti gli elementi che entrano in gioco (tavola, fondo, aria, buca, fasce ecc…) devono essere ben tarati.

WM. : Per la costruzione dei tuoi strumenti utilizzi una combinazione di tecniche tradizionali e moderne. Tradizionale applicando rinforzi a ventaglio e articolazione del collo in stile spagnolo, moderno negli innovativi materiali utilizzati nell’assemblaggio composito della tavola armonica (double-top). Ce ne parli?

M.M.: Ho iniziato ad usare il nomex nel 2004 e da allora mi sono innamorato di questo fantastico materiale. I primi che ne hanno fatto uso sono stati due liutai tedeschi alla fine degli anni ’90, Gernot Wagner e Matthias Dammann e il suo utilizzo si è poi diffuso negli anni successivi, dando vita ad una tecnica di costruzione moderna della tavola armonica, chiamata double top, nota anche come “tavola composita”. 
In realtà la tavola è composta da tre strati, due dei quali, esterni, fatti di legno e uno, interno, costruito con questo materiale speciale; l’anima interna può essere anche di balsa o altri materiali. 
Il nomex, che da allora non ho mai smesso di utilizzare, è costituito da fibre aramidiche impregnate di resina fenolica e ha una struttura esagonale a nido d’ape – ma esistono anche altre strutture non esagonali–; era stato ideato originariamente dall’azienda DuPont per l’industria aereo spaziale, ma non bisogna fraintendere, non c’entra nulla con la fibra di carbonio. Si tratta di un materiale completamente differente: è estremamente leggero, resistente e flessibile e offre prestazioni meccaniche ottimali per la tavola armonica. 
Chiaramente il risultato nelle chitarre dipende dall’idea di suono che si vuole realizzare e dalla successiva attuazione in termini di scelta dello spessore, tecnica di incollaggio, grammatura eccetera: è questo che fa veramente la differenza. Può sembrare paradossale, ma io uso il nomex con un’idea costruttiva assolutamente in linea con la tradizione. Cerco di spiegarmi meglio: la qualità del suono di una chitarra dipende particolarmente dall’incatenatura a raggiera utilizzata sotto la tavola armonica. I primi esempi di sottili listelli di legno a sostegno del ponticello incollati all’interno della tavola armonica sono apparsi verso la fine del 1700 nelle chitarre di Sanguino, che applicava solo tre raggi; in seguito, il loro numero è aumentato progressivamente nei modelli di Benedict, Pagés, Munoa e Panormo, fino ad arrivare, verso il 1850, al culmine e completamento del progetto con lo strumento di Torres, che presenta la raggiera a ventaglio a sette listelli che tutti noi conosciamo. I vantaggi dell’utilizzo di questa incatenatura sono sorprendenti: consente di avere infatti una tavola armonica spessa meno di 2 mm e dal peso dimezzato, mantenendo però la stessa flessibilità e resistenza di una tavola armonica di 5 mm di spessore incatenata con solo tre raggi. Questa leggerezza aiuta la spontaneità e la vivacità nell’emissione delle note e consente una miglior definizione dei suoni. Dal punto di vista fisico, il cambiamento dal progetto di Sanguino a quello di Torres consiste nell’avere una tavola con un adattamento di impedenza migliore tra i due oscillatori accoppiati (corde e corpo della chitarra). Le corde della chitarra classica hanno una massa piuttosto bassa, la forza dell’impulso applicato con il tocco dal chitarrista non è poi così forte ed è di breve durata – a differenza degli strumenti ad arco, che hanno un impulso continuativo -, quindi è necessario avere una tavola armonica che abbia una minor impedenza possibile. Io utilizzo il nomex nel lobo inferiore delle tavole armoniche delle mie chitarre applicando questo concetto, dato che mi consente di diminuire considerevolmente gli spessori e ne aumenta la flessibilità non a scapito della resilienza: questo miglior adattamento di impedenza fornisce un trasferimento di energia più efficace, con questa tavola più leggera e flessibile consente di ottenere una migliore modulazione del volume con una gamma dinamica più ampia. È più facile indurre vibrazioni anche con forza molto bassa; quindi, è possibile ottenere un pianissimo migliore e anche suonare ad alto volume, quando necessario.
Ovviamente è necessario dare importanza non soltanto alla tavola armonica, ma anche a fasce, fondo, manico e a tutti gli elementi che compongono la chitarra. Ti faccio un semplice esempio: immagina di essere al ristorante seduto ad un tavolo con me per cena e che improvvisamente io, per attirare l’attenzione, dia un pugno secco e deciso sul tavolo. Tutti sentiranno un suono, e questo suono sarà chiaramente riconoscibile da tutti come il suono di un pugno sul tavolo, ma, in realtà, è il risultato della vibrazione di vari elementi messi in risonanza dal mio impulso: vibrano il pianale e le gambe del tavolo, vibrano i piatti, i bicchieri e le posate che stanno sul tavolo e, seppur in maniera minima, vibra anche il pavimento sul quale il tavolo è appoggiato. Quindi, il suono che noi udiamo non è altro che la somma di tanti suoni emessi da vibrazioni contemporanee di vari elementi. Inoltre, il timbro, cioè il tipo di suono che scaturisce da tutte queste vibrazioni, dipende da diversi fattori, tra cui la forma e il materiale del tavolo, la composizione di piatti e bicchieri e da come sono stati disposti gli oggetti sul tavolo.
Veniamo ora alla nostra chitarra classica. Si tratta di uno strumento costituito da diverse parti: corde, manico, paletta e tastiera, cassa armonica eccetera. Seguendo l’istinto, potremmo pensare che il suono sia unicamente provocato dalla vibrazione delle corde e che sia poi amplificato grazie alla cassa armonica, ma, in realtà, anche la cassa armonica produce un suono, il manico e la paletta fanno altrettanto, e così tutti gli altri componenti dello strumento. Insomma, tutte le parti legnose della chitarra vibrano, perché le corde trasmettono loro le vibrazioni tramite il capotasto e l’ossoponte e ognuna di queste parti emette una vibrazione che, giungendo alle nostre orecchie insieme al suono fondamentale della corda vibrante, crea il timbro particolare della nostra chitarra. Diventano quindi evidentemente fondamentali non solo la scelta dei materiali, ma anche la perfetta coesione tra questi elementi e, tra tutti, l’incollaggio manico/cassa; è per questo che uso la tecnica tradizionale “alla spagnola”, con il piede interno nella cassa in un pezzo unico con il manico e le fasce che si incastrano nel tacco, perché questo garantisce una coesione perfetta ed estremamente sicura, stabile e efficiente dal punto di vista vibrazionale, in quanto garantisce il passaggio delle vibrazioni tra corde il manico e la cassa di risonanza, dato che, più questi elementi sono coesi e ben tarati tra di loro, meglio sarà arricchito il suono finale.

WM.: Nel 2001 hai vinto il terzo premio al 5° Concorso Internazionale di Liuteria di Baveno. Hai restaurato e sviluppato diversi strumenti storici originali tra cui Guadagnini, Panormo, Pascual, Galan, Gallinotti, Fleta, Romanillos, Monch…Hai rilevato varie misurazioni dimensionali di importanti strumenti storici, tra cui Torres, Hauser, Bouchet, Fleta …. Partecipi costantemente ai maggiori festival chitarristici, tenendo seminari e conferenze sulle caratteristiche tecniche e organologiche della chitarra. Il tuo obiettivo è produrre chitarre di alta qualità, sia dal punto di vista acustico che estetico, strumenti che comunichino eleganza, raffinatezza e armonia acustica, in uno stile moderno unico e nel rispetto della migliore tradizione. Insomma non ti fai mancare nulla…

M.M.: Beh, e non è mica tutto… L’anno scorso ho ricevuto un importantissimo riconoscimento, la Chitarra d’oro 2021 al 26° Convegno Internazionale di Chitarra, il premio più ambito nel nostro settore. 
Sono sempre stato mosso da una irrefrenabile passione per questo lavoro che mi ha attanagliato a sedici anni e non mi ha più lasciato e ancora oggi, a quarantacinque anni, ho la stessa spinta emotiva di allora. Anzi, negli ultimi anni è ancora meglio! Grazie all’esperienza ho saputo migliorare diversi aspetti, le mie chitarre hanno raggiunto una maturità progettuale che mi soddisfa appieno, tanti bravissimi musicisti suonano sulle mie chitarre, le soddisfazioni personali sono sempre maggiori e ho diversi progetti in mente per il prossimo futuro.

WM.: Tra l’abete ed il cedro quali sono le differenze? Cosa ne pensi dell’utilizzo di entrambi i legni per il piano armonico? Punti di vista…

M.M.: Certamente ci sono diverse differenze tra il suono prodotto dal cedro e quello prodotto dall’abete: il cedro tendenzialmente dà un suono scuro, caldo e pieno, invece l’abete più chiaro, nitido e definito. Il suono del cedro è più pastoso e avvolgente, mentre quello dell’abete è pulito e limpido. Durante un concerto il cedro ha la capacità di colmare la sala e soprattutto il musicista, che si sente appagato da questa quantità di suono, se ne sente protetto, soprattutto se è solista, mentre l’abete ha la tendenza a proiettare il suono fino in fondo alla sala, è meno avvolgente, ma è più diretto, “buca” meglio, grazie al suo timbro denso e compatto. Il cedro dà un suono più sfumato, ha tanti armonici che lo rendono ampio, meno definito, le voci spesso si fondono in un mélange armonico che riempie la sala, mentre l’abete, con una separazione più netta delle voci, risulta più sofisticato. Il cedro generalmente è più facile da suonare, è più immediato, più reattivo, ha un transitorio d’attacco più rapido a causa della sua leggerezza e porosità, ma corre il rischio di essere percussivo se non è stato lavorato correttamente; alcuni insegnanti lo consigliano ai propri allievi perché immediatezza e corposità possono all’occorrenza coprire molti difetti di un tocco scadente, che porterebbe a un suono disordinato. Insomma, il cedro perdona la tecnica dello studente; non dico che sia di qualità inferiore, ma che le chitarre in abete richiedono che un allievo suoni con più precisione per ottenere il suono desiderato. Entrambi sono fantastici nelle mani dei professionisti, ma in quelle di uno studente non è sempre così. Queste però sono delle generalizzazioni, dato che molte di queste caratteristiche possono essere modificate a seconda dello stile costruttivo o dell’incatenatura utilizzata. Appunto, io amo le caratteristiche di entrambi i legni e nelle mie chitarre cerco di far convivere entrambe le caratteristiche contemporaneamente; lo stile costruttivo che ho scelto me lo consente e mi permette di avere un suono riconoscibile a prescindere dal materiale utilizzato. Dunque, le differenze tra le mie chitarre con tavola armonica in abete e quelle in cedro sono certamente presenti, ma non sono poi così marcate.

WM.: Mediamente quali sono i tempi di attesa di un tuo strumento? Per chi volesse provarne qualcuno hai strumenti disponibili al momento?

M.M.: Il periodo che intercorre tra la prenotazione dello strumento e la consegna è piuttosto breve, di circa un anno; negli ultimi anni ho riorganizzato tutte le fasi costruttive in modo da essere più celere nei tempi di consegna.
Ho quasi sempre in laboratorio uno o due strumenti da far provare prima che vengano consegnati.
Periodicamente costruisco anche qualche strumento fuori lista d’attesa per mostre o eventi che poi rendo disponibili in pronta consegna.

WM.: So che sei anche coinvolto in un progetto che riguarda chitarre da studio, le MAURO GIULIANI. Credo che siano strumenti adatti a chi comincia a studiare in modo serio, giusto? Ci puoi raccontare qualcosa?

M.M.: Le Chitarre Mauro Giuliani sono nate dalla collaborazione con la Guitarreria Camps, fondata nel 1949 a Girona, vicino a Barcellona, da Juan Camps, in accordo con il Centro Studi Mauro Giuliani di Bisceglie. 
Si tratta di una piccola chitarreria artigianale a conduzione familiare, gestita ora dai due figli di Juan, Jordi e Javier. La Guitarreria Camps si occupa dell’assemblaggio e il mio compito all’interno di questa collaborazione è stato inizialmente quello di definire il progetto e di occuparmi della messa a punto dei modi di vibrazione di tavola e fondo per il giusto accoppiamento; poi, nel mio laboratorio in provincia di Lecco, vengono fatte la messa a punto delle frequenze di risonanza, la verniciatura a gommalacca della tavola armonica e il setup finale. Sono strumenti con un ottimo rapporto qualità/prezzo ed è per questo che sono particolarmente adatti per chi inizia lo studio della chitarra classica: infatti il loro punto di forza consiste nell’avere tutte le caratteristiche di una chitarra di media liuteria, ma permettendo all’allievo di spendere molto meno, in modo che possa risparmiare e acquistare uno strumento di alta liuteria quando avrà una maggior preparazione e la giusta consapevolezza per sceglierlo al meglio. Con le chitarre Mauro Giuliani abbiamo fatto felici diversi studenti e i loro maestri, e anche i genitori.

W.M.: Siamo giunti al termine di questa intervista e personalmente sono rimasto molto colpito da una tua chitarra provata a Roma, messami gentilmente a disposizione da un amico chitarrista e collezionista.
Ci sto facendo un pensiero…
Grazie Mirko.