Un altro Speranza


Ai tempi della pandemia, quella brutta con i morti, le mascherine i vaccini e tutto il resto, ho avuto occasione di conoscere un ex galeotto che lavora, o meglio lavorava, in una cava di marmo in provincia di Carrara. Il suo compito era quello di certificare il corretto brillamento delle cariche esplosive in parete. Se tornava, significava che si era verificato un problema tecnico. Era al suo primo giorno di lavoro, e si era vaccinato per poter essere assunto.
Questo tizio, incontrato alla caffetteria aziendale, mi narrò della brillante carriera di un suo compagno di cella, tale Roberto Speranza. Non quello che sta al governo, ovviamente, un altro.
Roberto si era messo nei guai per via della sua passione per il cinema d’azione. Si era convinto di essere la reincarnazione di Robin Hood. Quindi, dopo aver rubato una calzamaglia verde alla mamma, e  fabbricato un arco con un pezzo di tapparella e l’elastico delle mutande dello zio in carne, si lanciò all’avventura.
Oggi il commerciante medio è un cittadino responsabile, attento alla Legge. Uno che non violerebbe un’ordinanza governativa nemmeno sotto tortura. Gli puoi entrare in negozio e iniziare a derubarlo, sotto i suoi occhi, e lui si limiterebbe ad andare nel retro a telefonare alla polizia. E, dopo avere appreso che non ci sono pattuglie disponibili al momento, tornerebbe in negozio ad assistere impassibile al saccheggio, rimanendo in attesa della prima pattuglia libera. Potresti vomitargli sul registratore di cassa, scrivergli sulle pareti frasi oscene tipo ‘Brunetta eterosessuale’ e lui niente. Naturalmente se il malvivente ha il greenpass, s’intende.
Una volta invece era diverso: i commercianti erano meno coscienziosi. Roberto Speranza, non quello al governo, l’altro, entrava nel negozio prescelto, armato con quella caricatura di arco, strillava ‘Sono Robbin Hood, il principe dei ladri, rubo ai ricchi per dare ai poveri’ e già alla parola ‘Robbin’ fioccavano le legnate.
Nessuno comunque sporse mai denuncia. In fondo a un lavoratore autonomo oppresso dal fisco non dispiace potersi ogni tanto sfogare su qualcuno.
Il problema non erano quindi le rapine finite male. Il problema si rivelò essere la madre. Scoperto che il figlio indossava i suoi collant, lo costrinse ad andare da uno psicologo. Durante la prima seduta, alla domanda ‘Perché indossi i collant verdi di tua mamma?’, Roberto rispose: ‘Perché sono Robbin Hood, il principe dei ladri, rubo ai ricchi per dare ai poveri’. Ma già alla parola ‘Robbin’ si ritrovò circondato dalla polizia e in manette: tre anni senza la condizionale.
In carcere Roberto scoprì quanto fossero pericolose le docce, ma scoprì anche il comunismo. Quasi per caso gli capitò fra le mani una copia del Manifesto del Partito Comunista a fumetti e ne rimase folgorato. In fondo anche i comunisti sono come Robin Hood: rubano ai ricchi per dare ai funzionari di partito, che inizialmente, appunto, sono poveri.
La lettura gli cambiò la vita. Appena scarcerato decise di completare gli studi. S’iscrisse a una università comunista, con un rettore comunista, dove insegnavano solo professori comunisti e, alla fine, si laureò a pieni voti. La commissione di esame, davanti a quella creatura con la barba malfatta e la faccia da topo, piegata dalle legnate subite dai negozianti e dalle saponette raccolte in prigione, chiuse un occhio sui contenuti non esattamente ortodossi della tesi. Titolo: Lo sceriffo di Nottingham, il fratello che avrei sempre voluto.
Completati gli studi, Roberto iniziò a dedicarsi attivamente alla politica. Eletto in parlamento grazie ai voti dei suoi ex compagni di galera, divenne noto per un suo disegno di legge che introduceva l’obbligo della calzamaglia verde per i corazzieri presidenziali. Poi, con un gruppo di compagni, fondò un nuovo partito, dal bizzarro nome di Articolo Due. Il riferimento è chiaramente all’articolo due della costituzione del Botswana, redatta dal famoso statista africano Mb’ombolo Menga (mai entrata in vigore), nota anche come Legge del Menga.
Il sogno di Roberto però era quello di diventare ministro, magari della salute, per vendicarsi delle angherie subite dai commercianti. In che modo, non si sa bene. Scrisse anche un libro, che essendo considerato un plagio degli scritti di Trotzkij fu subito ritirato dal commercio e non gli permise di far conoscere al mondo la sua nobile ideologia. Così continuò a barcamenarsi tra un congresso di partito e una festa dell’Unità, l’unico posto dove riusciva a sentirsi un po’ capito, sperando che il domani non gli riservasse nuove vicende carcerarie ma finalmente quel Potere che oggi può solo sognare e che lo proietterebbe in una società ideale dove il Marxismo è solo la chiave d’ingresso.
Chissà, magari in futuro …