Il bevitore


Olio su tela – Giambattista de Curtis (Napoli, 20 luglio 1860 – 15 gennaio 1926).

Appartenente alla nobile famiglia napoletana dei de Curtis, che diede i natali anche al grande Totò, Giambattista fu il primogenito del pittore e affreschista Giuseppe e di Elisabetta Minnon. Apprese la pittura dal padre e perfezionò la sua tecnica fino a raggiungere risultati tanto eccellenti da essere definito dai suoi contemporanei il Salvator Rosa contemporaneo. Espresse il suo estro principalmente nella pittura, arte appresa dal padre, che perfezionò fino
L’amore per la canzone napoletana gli fu forse trasmesso dal musicista Vincenzo Valente, suo inquilino nel palazzo di proprietà della famiglia de Curtis in corso Garibaldi. Fu infatti Valente a musicargli nel 1889 la sua prima canzone dal titolo ‘A Pacchianella e, negli anni successivi, Muglierema come fa?, ‘I Pazziava, Ninuccia e Tiempe Felice. Giambattista non smise mai di scrivere canzoni e poesie, ma probabilmente esse rappresentarono per lui solo un gradevole passatempo.
Egli amò molto Sorrento, dove trascorreva circa sei mesi all’anno presso il Grand Hotel del commendator Guglielmo Tramontano, sindaco della città. Lì, nel 1892, Giambattista incontrò colei che gli ispirò la sua prima celebre canzone, Duorme Carme’. Si trattava di una prosperosa contadinotta che si recò in albergo con un cesto di frutta. Il poeta le chiese: “Come ti chiami?” “Carmela Maione” rispose la ragazza, “Cosa fai qui?” domandò ancora de Curtis, “sono la figlia di un colono del commendatore e abito a Fuorimura”, il poeta non ancora soddisfatto: “Cosa fai di solito?” “Dormo!”, rispose la giovane. E fu così che Giambattista de Curtis, rinunciando ad un’avventura amorosa, compose l’immortale canzone Duorme Carme’ in cui è detto: “Duorme Carme’, che ‘o cchiu bello da vita è ‘o durmì”.
Tra Guglielmo Tramontano e Giambattista de Curtis vi fu un rapporto di amicizia e stima reciproca, l’artista fu l’istitutore di tutti i figli e i nipoti del sindaco e, sotto il suo mecenatismo, affrescò saloni dell’hotel, dipinse tele e compose poesie e canzoni. Tra queste la celeberrima Torna a Surriento, scritta con il fratello Ernesto.
Ma Giambattista fu un artista completo, compose poesie, testi teatrali e versi per canzoni e fu anche scultore. Il suo dipinto più famoso fu senz’altro quello comunemente conosciuto col titolo de Il bevitore.
Misteriosamente, questo dipinto fu riprodotto e venduto moltissimo negli anni ’60 del secolo scorso, finendo in moltissime case italiane. Lo si trovava dappertutto: osterie, bar, alberghi, case private. Era un classico quadro fatto in serie di cui nessuno sapeva chi era l’autore ma lo si trovava quasi ovunque. Il quadro ha raggiunto l’apice del successo grazie ad Ezio Greggio che in una trasmissione degli anni 80 tentava di spacciarlo come opera d’arte del grande Teomondo Scròfalo in una fantomatica “Asta tosta”. Il pezzo forte della serata era sempre lo stesso quadro, che Greggio definiva scherzosamente in più modi come una natura morta, una ballerina di danza classica, un autoritratto: ecco come tutti in un modo o nell’altro hanno fatto conoscenza di questo fantomatico autore.
L’opera rappresenta un vecchio seduto al tavolo con un cappello in testa e un bicchiere di vino in mano. Come bene asserisce il Cafiero “L’espressività del sorriso sornione, delle gote rubizze di chi è dedito al nobile sport dell’alzata del gomito e l’azzeccatissima cromìa dell’insieme hanno dato fama all’autore” (Pasquale Cafiero, Atti e misfatti della scuola napoletana, Portici, 1976), benché oggi tutti lo conoscano come Teomondo Scròfalo anziché col suo vero nome.
Lo Schwanz ricorda come: “…a partire dagli anni Sessanta il vecchietto ammiccante con il bicchiere in mano divenne la bandiera di molte trattorie della penisola. Il suo volto rassicurante che ammiccava sopra i tavolini con la tovaglia a quadretti erano, o forse sono ancora, una garanzia della bontà e della tipicità di quell’osteria, magari dalle poche pretese ma – ci si immaginava – dai sapori di una volta. E non importa che il pollo ai ferri, spacciato per ruspante, arrivasse da anonimi allevamenti intensivi e che il vinello, “come quello che faceva nonno”, fosse in realtà un dozzinale piscione: bastava la fisionomia del “Bevitore” per rassicurare gli avventori.” (Bruno Sehr-Kurzer Schwanz, Die schlimmsten neapolitanischen Krusten, Lubecca, 1958).
Fa parte ormai dei ricordi del passato la scena del mi’ cognato Oreste che, rientrato ubriaco per l’ennesima volta dall’osteria, venne accolto dalla consorte Argìa che gli sfasciò in capo un ritratto del nonno bersagliere cui il poveretto teneva moltissimo. La scena fu ripresa col telefonino dal figlio Mario, il quale il giorno successivo mostrò la foto alla madre la quale, combattuta tra il rimorso e la voglia di dare una lezione al marito, quando fu al mercato trovò una copia del quadro di De Curtis e lo regalò al marito a memoria di quanto accaduto, sicché lui per non dargliela vinta senza battere ciglio lo appese al posto della foto dell’antenato.