La guerra tra Russia e Ucraina entra in una nuova fase, militare, ideologica e geopolitica?


Con un’immagine di Igor Belansky.

La strategia di Mosca in Ucraina segna una svolta. I negoziati sono a un punto morto, l’offensiva militare si concentra su Donbass e sud-est. Il secondo atto della guerra si dimostra ancora più difficile e l’occidente non ha altra opzione che coinvolgersi maggiormente?

La cronaca.

La sciagurata guerra scatenata dalla Russia in Ucraina modifica lo scenario e apre vari interrogativi. Le truppe russe lasciano la periferia di Kiev, si scoprono gli eccidi, le forze militari si predispongono a nuovi scontri all’Est e nella regione meridionale da Mariupol a Odessa. La pausa di riassestamento prelude a ulteriori, sanguinosi combattimenti, passo apparentemente obbligato per Mosca per ridimensionare l’immagine del fallimento dell’attacco in profondità e per sollevare il morale dei suoi militari dopo le pesanti perdite subite, ora ammesse anche dal Cremlino. Almeno le tutto si sta chiarendo. A suo torno, lo scorso 11 aprile, il Cancelliere austriaco Karl Nehammer è andato a Mosca nella speranza che, in rappresentanza di un Paese non membro della NATO, potesse ricavare qualcosa, un cessate il fuoco, forse una concessione, da Vladimir Putin nella sua guerra contro l’Ucraina. Ma nulla tranne: “Non è stata una visita amichevole”, ha ammesso al suo ritorno. Essendosi trovato innanzi un presidente russo “fortemente imbevuto di una logica di guerra” si è dichiarato “piuttosto pessimista”.

Nuova fase militare.

Dopo il fallimento dell’ipotesi iniziale di operazione lampo, mirante a rovesciare il potere a Kiev e prendere il controllo del Paese, Mosca ha cambiato strategia. Le forze russe che avrebbero dovuto prendere Kiev, sconfitte dalla resistenza ucraina, si sono ritirate. Il Cremlino non vuole impantanarsi nella guerriglia su un territorio troppo vasto e ribelle. L’azione ora si concentra nell’Est e nel Sud-Est, più vicini alle basi di partenza russe. Assediata da settimane, Mariupol sta per cedere. L’esercito russo sta preparando un’offensiva su tutto il Donbass; lì affronterà le truppe ucraine più esperte e equipaggiate. Vladimir Putin, spiegano i suoi scherani a Mosca, necessita di una vittoria sicura da proclamare durante la sua parata del 9 maggio, la tradizionale e sontuosa commemorazione della vittoria della “grande guerra patriottica” sui nazisti: un trofeo ucraino della “operazione militare speciale” cascherebbe a fagiolo. Nei giorni scorsi, inoltre, il presidente russo ha ammesso che i negoziati con l’Ucraina sono “a un punto morto”; “L’operazione sarà pertanto terminata”.

Nuova fase ideologica.

La banalizzazione concettuale di Putin quale «nuovo Hitler», malato o impazzito, non consente di riflettere correttamente sulla strategia di allargamento della Nato e sulle ragioni che possono aver spinto Mosca a dispiegare la forza militare. Per Putin è stato un pretesto, per molti osservatori indipendenti anche un errore? Gli interventi di Usa e Nato in Serbia, Libia, Irak, Afghanistan, non sono la giustificazione per l’invasione di un Paese democratico, ma rimangono decisioni che hanno frantumato il diritto internazionale e provocato decine di migliaia di vittime, non messe sul conto di nessun tribunale e quindi destinate a cadere nell’oblio. Perché?
Inoltre, il separatismo del Donbass e l’annessione della Crimea hanno un precedente (o un altro pretesto?) nel Kosovo. Gli accordi di Minsk non sono stati applicati, la conquista dell’autonomia e la riconquista della sovranità hanno provocato in questi anni in quelle aree migliaia di morti. Questi sono argomenti che ci dimostrano che la guerra, fino all’ultimo minuto, poteva essere evitata e che, dopo tanti lutti, si torna daccapo: l’autonomia dei territori contesi, la neutralità dell’Ucraina come base di trattativa.
In ultimo, da Mosca da settimane giungono ​​testi e interviste sempre più infuocati che dettano la narrativa dei motivi dell’operazione russa. Vengono così articolate come una logica conseguenza la guerra georgiana del 2008, l’annessione della Crimea e l’occupazione di Donetsk e Luhansk nel 2014, poi l’attuale invasione dell’Ucraina. Si stabiliscono i presupposti di un modello medievale post-sovietico, che un’ideologia antioccidentale e antidemocratica vorrebbe imporre alla civiltà ortodossa russa un ruolo dominante sull’Europa e sugli Stati Uniti.

Nuova fase geopolitica.

Innanzitutto, così diviso e militarizzato il mondo non è e non sarà più lo stesso. Se immaginiamo il dopoguerra, qualche interrogativo si apre. Al di là delle responsabilità, ci saranno vincitori e vinti. Chi sta vincendo? Quali scenari si stanno delineando sulle macerie e sui massacri? La guerra in Ucraina stravolge gli equilibri e allontana le potenze con i soldati Nato alle porte della Russia, la pace a breve non è al momento più scontata. Volenti o nolenti, c’è però un vantaggio geopolitico portato indiscutibilmente a compimento gli Stati Uniti, dopo la brutta figura in Afghanistan e le tentazioni isolazioniste delle presidenze repubblicane, riprende lo slancio multipolare. Washington ha rilanciato valori occidentali, ricompattato la Nato, spinto gli europei a spendere e spandere in armamenti (di cui gli Usa saranno i maggiori fornitori), incrementando le proprie esportazioni di gas e petrolio (a quale prezzo?).