Colpa… di chi?


Il Procuratore della Repubblica di Terni Alberto Liguori, a proposito della morte dei due giovani  per aver assunto metadone comprato da un pusher, ha rilasciato un’intervista al quotidiano La Repubblica, sottolineando la “responsabilità collettiva” dei decessi di Gianluca e Flavio.
“Io per primo faccio mea culpa. Ho fatto mille indagini sulla droga, ma dovevo fare di più” ha ammesso il magistrato, il quale ha poi aggiunto che i due ragazzi “sono vittime di tutti noi”.
Pur ammettendo la sincerità del suo “mea culpa” non mi sento di condividere la socializzazione delle colpe. In primo luogo perché questo tragico fatto dimostra, semmai, come l’intero impianto della giustizia italiana (e non solo!) in materia di lotta alla droga sia del tutto inefficiente, e poi perché a mio avviso non esistono, nella vita quotidiana come nello sport, responsabilità oggettive.
Piuttosto sono da cercare le responsabilità soggettive di coloro che – pur avendo leve e strumenti per prevenire – non hanno fatto nulla per toppo tempo. Non solo la magistratura, ma prima di tutto la scuola e la famiglia. Quella famiglia in cui un tempo se tornavi da scuola con un occhio nero la mamma ti dava il resto, mentre ora i genitori non esitano a malmenare gli insegnanti.
Colpa del ’68? Anche, indubbiamente. Colpa di una progenie di professori usciti da voti politici, da esami di gruppo e da amori di gruppo dei loro genitori (sottile metafora per mettere in dubbio alcune paternità). Ma anche colpa di una politica dissennata che ha sempre preferito l’appiattimento dei valori verso il basso all’emersione delle eccellenze, cosa questa che ha dato i suoi frutti più marci nell’ultimo decennio con la fuga in massa dei cervelli e di tutti coloro che solo in altri Paese possono sentirsi riconoscere i propri meriti.
Infine, certo, è colpa di magistrati che troppo spesso lasciano liberi i pusher ben sapendo che faranno ancora danni, ma soprattutto che non indagano quasi mai a livelli più alti, vuoi per pigrizia, vuoi per carriera: perché indagare su ciò che potrebbe portare a scoprire qualche altarino di troppo, a qualche coinvolgimento “speciale”, non fa certo bene per le future promozioni.
Vi siete mai chiesti perché le reiterate richieste di analisi del capello sui parlamentari siano sempre state lasciate cadere nel vuoto? Beh, qualche domanda fatevela ogni tanto…
Tornado ai fatti di Terni, potrei rispondere al dottor Liguori che quei ragazzi sono vittime di un sistema corrotto del quale il popolo italiano è purtroppo prigioniero da che la sua secolare supremazia morale e civile è stata trasformata ad arte nel crogiolo di tutte le ignoranze.
Ma c’è un aspetto che mi rattrista ancor più, in quanto travalica le vicende personali dei protagonisti e diventa simbolo di una debordante consuetudine. Vengo e mi spiego: il procuratore della Repubblica al termine della sua inchiesta trasmetterà gli atti al magistrato giudicante che dovrà istruire il processo. Al momento l’unico imputato sembra essere il pusher reo confesso, il quale potrebbe beneficiare di uno sconto di pena se nella mente del giudice si facesse strada il tarlo della condivisione di responsabilità dello spacciatore, addirittura con “tutti noi”!
Un magistrato – proprio a causa del suo ruolo pubblico e ‘super partes’ non si deve permettere in alcun modo di esprimere giudizi che, anche solo di sfuggita, possano minare il castello dei convincimenti su cui un suo collega andrà a costruire una sentenza. È già grave che i magistrati commentino le sentenze, ma che ne traccino il percorso di formazione nella mente di un giudice lo trovo intollerabile.
Tutto ciò, naturalmente, è indipendente dal tipo di giudizio espresso: non si fa e basta.
Ci sono – è vero – i giustizialisti e i giustizieri, per i quali un cittadino è colpevole a priori (quasi fosse un peccato originale di stampo biblico) e quindi ogni giudizio, che dico, ogni tavanata è ammessa, tanto il colpevole pagherà il fio delle sue colpe. Ma dovrebbe comunque essere un giudice imparziale a stabilirlo.
E poi, caro dottor Liguori, ci sono quelli che approvano gli uni e gli altri, sicuri che il cosiddetto establishment ”debba” comunque avere ragione, essere nel giusto, e quindi non se ne curano: continuano a votare i soliti casi umani, continuano a portare la mascherina perché la tv dice che faccio bene, continuano a credere che solo chi oggi comanda sappia cosa sia bene per tutti noi e continuano a pensare che – in fondo – la colpa di questa Malaitalia è un po’ di tutti.
Quelli come lei, insomma.
Non si offenda, e si ricordi che Einstein diceva che è salutare pensare almeno un quarto d’ora al giorno in modo differente.


.
Fonti:
Corriere della Sera
Il Fatto Quotidiano