Stresa, il frutto dell’irresponsabilità


Non avremmo mai voluto scrivere questo articolo. La pena che si prova è indicibile. Tuttavia, come è dovere del cronista raccontare i fatti, è dovere dell’opinionista approfondire le cause e le conseguenze dei fatti stessi. Mi accingo quindi a riepilogare la triste vicenda della funivia del Mottarone con animo tutt’altro che sereno e distaccato, non me ne vogliate.

I fatti sono noti: un vagone della funivia che porta i turisti da Stresa alla cima del Mottarone si è staccato dalla fune traente ed è sceso scivolando sulla fune portante fino a sfracellarsi a causa della manomissione volontaria dei freni di emergenza. Un addetto che aveva riscontrato anomalie di funzionamento dell’impianto ha deciso di agire in quel modo per non avere intralci proprio nei giorni della riapertura, sapendo che i turisti avrebbero preso d’assalto la funivia e non volendo perdere una così lucrosa occasione, che sarebbe sfumata se si fosse dovuto fermare l’impianto per una manutenzione straordinaria di durata incognita. Risultato: 14 vittime e un bimbo gravemente ferito che non potrà più riabbracciare la sua famiglia.
Il responsabile ha confessato coinvolgendo anche il titolare della concessione e un altro dipendente. Ora ci penserà la giustizia a decretare le pene, che tutti speriamo essere severe.
Purtroppo ci sarà una diatriba giudiziaria che probabilmente allungherà i tempi del processo. Si tratta infatti di stabilire di chi sia la proprietà dell’impianto, che la Regione Piemonte dice di aver ceduto al comune di Stresa anni fa ma mancherebbe la registrazione di tale cessione, così gli avvocati faranno un’orgia di carte bollate su questo argomento a detrimento dei tempi processuali.
Al di là del facile sdegno e della voglia di giustizia che ci pervade tutti dopo un fatto simile, proviamo a vedere l’accaduto sotto una luce diversa, scevra dalla facile commozione. Dobbiamo dire che il fatto non è affatto nuovo: anzi, accade assidi frequente nel nostro Paese.
Solo che di solito ne muore uno solo, per cui, non potendosi parlare di strage, la notizia viene presto archiviata tra i fatti di cronaca nera e si tende a dimenticarla in breve tempo.
Vi ricordate di Luana, la giovane mamma 22enne morta in provincia di Prato lo scorso 3 maggio? Anche nel suo caso erano state rimosse le sicurezze dal telaio che l’ha stritolata. E quanti altri morti sul lavoro per lo stesso motivo? Per lavorare più velocemente, per guadagnare di più, per ridurre i costi… insomma sempre per il maledetto denaro!
Anche Stresa hanno rimosso le sicurezze. E’ esattamente la stessa cosa e le povere vittime vanno annoverate anch’esse tra i caduti sul lavoro, senza se e senza ma!
Questo modo insensato di comportarsi sui luoghi di lavoro è tipico della mentalità italiana. Sono innumerevoli le attività lavorative che prevedono l’utilizzo di macchine, meccaniche o meno, che possono arrecare danno al lavoratore. Da anni esistono barriere sia fisiche che elettroniche imposte dalle leggi sulla sicurezza, dal DL 626 al Decreto 81 e a tutte le leggi e leggine di contorno. Eppure, regolarmente, qualcuno decide di rimuovere i dispositivi di protezione per poter lavorare più speditamente. Talvolta i criminali sono gli stessi datori di lavoro, altre volte sono i capireparto o gli stessi operai. Nel lontano 1985, durante il mio primo anno di lavoro in un’azienda metalmeccanica conobbi un operai addetto alla tranciopressa, in pratica una macchina che trancia una lamiera per ottenere delle forme piane o curve per le successive lavorazioni. A quell’uomo (tra l’altro delegato sindacale della CGIL!) mancavano tre dita della mano sinistra, perse proprio perché aveva tardato un attimo a togliere la mano prima che la pressa tranciasse sulla lamiera. Per poter comandare la macchina occorreva schiacciare due pulsanti con entrambi i pollici. Così facendo si aveva la certezza di non aver le mani sotto la pressa, Si seppe invece che lui aveva volontariamente rimosso la sicurezza infilando uno stuzzicadenti in uno dei due pulsanti per bloccarlo e poter così cambiare lamiera più velocemente. Dopo alcuni mesi accadde di nuovo: lo stesso operaio si tranciò le stesse dita della mano destra, in ossequio alle leggi della simmetria e dell’idiozia.
In tanti anni a contatto con aziende manifatturiere di ogni tipo mi è capitato spesso di rilevare non conformità di tale genere, spesso deliberatamente provocate dagli stessi lavoratori. In una miniera in Sardegna era una consuetudine eliminare le sicurezze della fresa o di altri macchinari per scavare più velocemente il carbone. Anche in questo caso erano gli stessi minatori a farlo, nonostante divieti e punizioni della Direzione. Talvolta il fatto era giustificato da una funzionalità inadeguata di macchine magari adatte a scopi non previsti in fase di progettazione. Tuttavia sempre di operazioni rischiose si tratta, che non dovrebbero mai essere attuate.
Anche a Stresa, quindi, ha imperversato la stessa mentalità che da almeno quarant’anni sta minando la sicurezza di fabbriche, impianti e cantieri a causa di una scellerata sottovalutazione del pericolo. La sottovalutazione del rischio è un fatto nazionale. Provate ad andare in Fracia, Germania, Inghilterra o Stati Uniti (per citarne solo alcuni) e poi mi saprete dire. Le condanne penali in quei Paesi sono pesantissime per questi reati. Si aggiunga il fatto che la certezza della pena è assoluta e che il livello di coscienza civica dei lavoratori è elevatissimo, e si potrà capire come mai siamo i primi per morti sul lavoro tra i Paesi occidentali.
“Tanto cosa vuoi che succeda?” è la scusa più frequente, seguita da: “Ma non dovrà mica capitare proprio adesso, no?”
Nel caso in questione il responsabile (o i responsabili) avrà pensato: “se anche metto i forchettoni per disattivare i freni non vorrai mica che ceda la fune traente, collaudata solo un anno fa?”
Invece proprio la giunzione dei due capi della fune traente si è rotta nonostante i controlli eseguiti da poco. L’azienda Leitner, responsabile della manutenzione dell’impianto Stresa-Mottarone, ha infatti detto che l’ultimo controllo alle centraline idrauliche del sistema frenante è stato effettuato il 3 maggio scorso. “i controlli non distruttivi su tutti i componenti meccanici di sicurezza dell’impianto previsti dalla revisione quinquennale, in scadenza ad agosto 2021 sono stati anticipati dal 29 marzo all’1 aprile 2021; il 18 marzo 2021 prove di funzionamento dell’intero sistema d’azionamento; il 4 e 5 marzo lubrificazione e controlli dei rulli e delle pulegge delle stazioni; l’1 dicembre 2020 ‘finti tagli’ (prova che prevede una simulazione della rottura della fune traente e conseguente attivazione del freno d’emergenza); il 5 novembre 2020 controllo periodico magnetoinduttivo delle funi traenti e di tutte le funi dell’impianto con esito positivo”. Come si vede, la fune era stata controllata sei mesi fa, e ciò ha probabilmente rassicurato chi ha piazzato i forchettoni sui due freni.
Ma se la fortuna è cieca, la sfiga ci vede benissimo e a volte prende anche la mira.


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Fonti:
www.il giorno.it
www.corriere.it
www.today.it