Nuovi orizzonti politici


Inutile negarlo: la democrazia in Occidente ha fallito. Il concetto stesso di democrazia ha subito trasformazioni radicali dai tempi di Pericle ad oggi senza tuttavia divenire un sistema perfetto.
Le prime democrazie storicamente riconosciute furono indubbiamente quella ateniese e quella della Roma repubblicana, ma già qui si può vedere una differenza significativa tra le due forme. Ad Atene veniva nominato un condottiero con poteri speciali solo nel caso in cui la Polis fosse in pericolo (si vedano ad esempio le guerre contro Sparta), mentre l’ordinaria amministrazione era affidata all’assemblea degli uomini (le quote rosa al tempo erano bandite anche dallo sport).
Roma invece eleggeva periodicamente due consoli che in qualche modo assumevano – seppure per un tempo limitato – una posizione dominante che nel corso dei secoli successivi portò stabilità al sistema, ma che condusse anche a diverse lotte interne, fino al triumvirato di Cesare, Pompeo e Crasso che segnò in un certo senso la fine della Repubblica.
Mentre l’Oriente era dominato da forme oligo- o monocratiche più o meno assolute (impero cinese, shogunato in Giappone, vari regni in India, Mongolia e sud-est asiatico, ecc.) nel Medio Evo europeo non si può dire che vi fossero solo forme assolutistiche di potere centrale.
Già nel 742, infatti, a Venezia fu istituito l’arengo (detto “Concio”) che aveva il potere di eleggere il Doge. Ne facevano parte tutti gli uomini liberi, anche privi di nobiltà. Anche in un’altra repubblica marinara, Amalfi, si costituì nel IX secolo un arengo con il potere di eleggere il duca (equivalente del doge); diversamente da Venezia, però, ne facevano parte solo alcune categorie di cittadini.
Anche nei paesi germanici il “thing”, un’assemblea che deteneva il potere legislativo ed esecutivo, venne in uso già in epoca longobarda.
Queste assemblee ebbero forme diverse a seconda delle epoche e dei singoli popoli, ma di solito generalmente erano fortemente influenzate da capi militari (o da personalità riconosciute come “capo” dalla popolazione) che avevano il diritto di portare con sé i loro sostenitori. Le assemblee si svolgevano periodicamente e duravano giorni o settimane in cui oltre che deliberare e programmare le future campagne di conquista si mangiava e si beveva di tutto. In pratica somigliavano un po’ agli odierni raduni di motociclisti!
L’arengo sopravvisse nell’Italia dei Comuni e nel periodo delle signorie fu trasformato in un’assemblea dove solo determinate classi (borghesia, mercanti, clero e raramente i nobili) erano ammesse. Forse la più famosa tra queste assemblee fu il fiorentino Consiglio dei Cinquecento, dove per la prima volta si poté constatare come una democrazia rappresentativa così estesa non era in grado di reggere alla spinta oligarchica delle famiglie dominanti (ad es. i Pazzi e i Medici).
In pratica, la troppa libertà di discussione, seppur lodevole come idea, si rivelò un boomerang già a quel tempo.
C’è da dire che dopo seicento anni non è cambiato molto in quelle terre, visto che ora, estinte le influentissime famiglie di allora, ad esse si sono sostituite famiglie altrettanto dispotiche e legate al commercio (e alle banche) che tendono a raggrupparsi in associazioni a delinquere come la famigerata banda della Finocchiona.
Un tipo diverso di arengo fu istituito nell’anno 1000 nella Repubblica di San Marino: ne facevano parte tutti i capifamiglia e aveva tutti i poteri legislativi, esecutivi e giudiziari, costituendo così una specifica forma di democrazia diretta, sebbene non elettiva.
Ancora nell’alto Medio Evo, e precisamente nel 930, in Islanda nacque l’Althing (Alþingi), un’Assemblea che assunse i connotati di un parlamento democratico. Ancora oggi il parlamento islandese si chiama Althing e le sue regole di funzionamento sono forse le più antiche al mondo.
Ma dall’illuminismo in poi il concetto di democrazia è fortemente cambiato, grazie soprattutto alla spinta contraria delle monarchie più o meno assolute che si andarono ad instaurare in tutta Europa, tutte legate tra loro da vincoli di sangue e – di conseguenza – da regole dinastiche e di governo.
La Rivoluzione Francese non cambiò di molto le cose: un regime assolutista ma civile fu sostituito da un regime totalitario del tutto barbaro, che ebbe sicuramente il pregio di scuotere le coscienze e di cambiare il mondo in maniera inappellabile, ma fece arretrare la civiltà del popolo francese di parecchi secoli, tanto che nemmeno un nuovo monarca assoluto, Napoleone, riuscì a riportare del tutto i francesi sul binario del vivere civile. Prova ne siano i danni che il suo esercito riuscì a fare in tutti i territori conquistati. Ricordiamo solo le cannonate sparate alla Sfinge di Giza e – permettetemi un po’ di sano campanilismo – quelle alle torri campanarie delle città piemontesi (vedere ad esempio Sant’Agnese a Vercelli).
La nascente nazione americana fu forse il primo tentativo serio di instaurare una democrazia funzionante. I Padri Fondatori si accorsero, infatti, che non sarebbe stato opportuno estendere la rappresentanza a tutti in modo indistinto. Ai tempi di George Washington e di Thomas Jefferson ciò era dettato sicuramente da ragioni legate alle condizioni di allora e difficilmente riproducibili oggi. A tal proposito andatevi a leggere il secondo emendamento della costituzione degli Stati Uniti: capirete meglio ciò che sto dicendo. Tuttavia, sebbene tali ragioni possano essere mutate, i principi continuano a valere, grazie al fatto che tutto il meccanismo gira intorno a un perno – chiamato Presidente – i cui poteri, anche se limitati dal Congresso – trascendono quelli di ogni altro capo di stato in una democrazia occidentale, escludendo solamente la Russia, che ormai merita a pieno diritto tale appellativo.
Purtroppo anche il sistema nordamericano non è scevro da lacune pesanti, quali ad esempio una pressoché totale mancanza di controllo da parte del popolo sulle malefatte dei potenti.
Ecco il sostegno alle rivoluzioni dei piccoli stati del Centro e del Sud America per spodestare dittatori invisi a Washington sostituendolo con altri anche più sanguinari ma accondiscendenti con lo zio Sam. Ecco allora il Watergate, i quaderni del Pentagono e molti altri scandali che solo il cosiddetto “quarto potere”, ossia la stampa libera, ha permesso di svelare.
Il potere della stampa allora e più in generale dei media di oggi è forse l’unico ostacolo che le finte democrazie e le vere dittature trovano sul loro cammino, con la differenza che le prime non riescono quasi mai a zittire i giornali mentre le altre sopprimono fisicamente le loro sedi e gli stessi giornalisti, e buonanotte al secchio.
Per ultimare questa rapida carrellata occorre citare quella che a mio avviso è la migliore forma di democrazia oggi esistente: il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord.
Il popolo inglese avrà mille difetti, ma dai tempi di William Wallace e di Cromwell ha sempre anteposto la propria libertà a tutti gli interessi di parte, rovesciando i sovrani, all’occorrenza, e pagando prezzi elevatissimi pur di vedere trionfare la libertà sull’oppressione, e ciò ancora in tempi recenti (si veda l’impegno di Churchill contro il nazismo o lo stesso referendum sulla Brexit, esempi contrastanti ma altrettanto fulgidi di applicazione della filosofia democratica).
Le recenti democrazie occidentali nate dopo il 1945 hanno implementato i propri sistemi inserendo la separazione dei poteri, il suffragio universale, il primato della costituzione e la separazione dei poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario), rafforzando le basi della democrazia rappresentativa.
Tuttavia nessuno degli esempi forniti né quelli che potremmo ancora fare forniscono esempi di puri e niente affatto fallaci di “governo del popolo”, quale la vera democrazia dovrebbe essere stando all’etimologia. Ovviamente neanche il comunismo, che pure lo proclamava, non ha mai mandato il popolo a governare: se ne è sempre servito per gli scopo più turpi prendendolo in giro dall’ottobre del 1917 fino alla morte di Castro. E nemmeno la Cina di oggi vede il popolo al governo, talché non ha più nulla di comunista e l’apparato del partito, come già accadde alla caduta dell’URSS non divenne altro che un vuoto a perdere, con riduzione della propria immagine a un involucro floscio, scarna immagine ed esangue fantasma della prisca maestà.
Ebbene, vi chiederete: che cosa sto cercando di dire? Nulla di trascendentale: semplicemente che la democrazia perfetta non funziona né potrà mai funzionare per il semplice fatto che non esiste.
E non esisterà mai, perché essendo l’uomo un lupo per i suoi simili, come ben sapeva Hobbes, cercherà sempre di sopraffarli imponendo la propria autorità per raggiungere i propri fini, che solo raramente potranno coincidere con i desiderata del popolo.
Ma allora, perché il popolo non dovrebbe cercare di rivolgere a proprio vantaggio questa ineluttabile tendenza? E in che modo potrebbe farlo? Logicamente sfruttando la pulsione del comando ed eleggendo un dittatore!
Sì, avete letto bene: si sta ragionando di una forma nuova, mai sperimentata in tempi recenti ma che nel passato dell’antica Grecia e di Roma repubblicana funzionò egregiamente, solo con piccole correzioni di assetto che ne permettano il funzionamento nel XXI secolo: la dittatura democratica.
Non è un ossimoro, pur se a prima vista potrebbe apparire tale. Si tratta semplicemente dell’elezione non più di un’assemblea ma di un unico “capo”, che si candiderà fra i tanti e verrà eletto a maggioranza semplice, restando in carico per un tempo limitato (a mio avviso non più di tre anni) e al termine del mandato verrà giudicato dal popolo stesso che potrà rieleggerlo o no, attraverso un giudizio che – se negativo – potrebbe portare anche alla punizione del dittatore che non abbia agito per il bene del popolo.
Mi rendo conto che il concetto non può essere sviluppato in un semplice articolo e che molti dettagli significativo saranno in questa sede trascurati per ragioni di spazio e di noia del lettore, tuttavia consideriamo i benefici:
L’elezione di un parlamento, di un’assemblea o di un areopago porta con sé la pluralità delle voci in esso contenute, le quali però saranno anche ostacolo al funzionamento dell’assemblea stessa.
I sardi hanno un detto: Kentu concas, kentu berrittas, ossia cento teste cento cappelli. Come dire: tante teste tante idee. Ciò è certo un bene finché la discussione rimane sul piano preliminare, ma all’atto della decisione finale, sia esse una legge o una scelta morale o economica, il pluralismo ha sempre generato confusione, e dalla confusione difficilmente emerge l’idea giusta. Emerge solitamente l’idea che la burocrazia lascia emergere, a suo unico vantaggio.
Se invece un dittatore, eventualmente consigliato da una cerchia di “saggi” pluralisticamente eletti, prendesse una decisione in autonomia, essa sarebbe immediatamente esecutiva, salvo casi di estrema gravità comunque stabiliti in modo chiaro (una guerra, il lancio di un missile nucleare, tanto per fare degli esempi) dove un’autorità esterna e indipendente abbia il potere di veto.
Altro enorme vantaggio: il fatto di sapere che alla fine egli sarà giudicato non permetterà al dittatore di comportarsi in modo da inimicarsi il popolo, il cui livello di benessere sarà la prima arma in suo potere quando dovrà giudicarlo.
Non dimentichiamoci poi del fattore economico: consideriamo anche solo i miliardi risparmiati per far funzionare una macchina legislativa ed esecutiva così scarna.
Anche il potere giudiziario dovrebbe essere in parte consegnato nelle mani di quest’uomo, salvo naturalmente quegli strumenti che garantiscano l’autonomia della magistratura, la quale non deve essere mai in discussione, mentre si potrà e anzi si dovrà discutere del comportamento irregolare dei giudici.
Ma un’altra autonomia suggellerebbe questo sistema: quella dell’informazione, la quale non dovrebbe mai essere messa in gabbia né pilotata dagli altri poteri. E’ forse questo il tassello più difficile da inserire nel mosaico, ma è altresì necessario che un’informazione libera e pluralistica regoli e governi qualsiasi sistema politico, anche quello più utopistico.