Un ricordo di Fabrizio De André


Il 18 febbraio del 1940 nasceva a Genova il grande Fabrizio De André.
Per noi che negli anni ’60 eravamo liceali quasi un fratello maggiore.


Già notissimo allora in città, lo si incontrava da Giavotto, il locale vicino a piazza De Ferrari, dove bevevamo la Malvasia.
Giovanissimo si ispirò a Brassens e a Brel ma seppe ben presto intraprendere una strada tutta sua, caratterizzata da ballate e canzoni ad alto contenuto sociale dalla immediata presa suggestiva. Sue composizioni storiche di quel momento rimangono La Canzone di Marinella e soprattutto La guerra di Piero in cui descrive drammaticamente gli scrupoli di un soldato che paga con la vita il proprio sentimento umano nei confronti del nemico. Un tema, quello dell’abbandono, ripreso poi in altre bellissime interpretazioni come Fila la lana e Jordie.
In diverse occasioni De André dipinse quadretti di vita sociale carichi di benevola ironia come in Via del Campo, Il Testamento, Bocca di Rosa. Immagini a volte volutamente opache a volte coloratissime della realtà di Genova, luogo dai mille aspetti spesso velati di malinconia, contraddistinti dai piccoli eroismi quotidiani e dalle debolezze degli animi di ognuno. Episodi rintanati fra i carruggi della città vecchia, fonte comune di identità della popolazione locale. Oppure nella variopinta vivacità del paesino di Sant’Ilario, dove autorità locali e popolo fanno risalto per connotazioni liricamente scandite.
Assai significativa peraltro anche la canzone d’amore di cui rimane emblematica la Canzone dell’Amore Perduto nella quale si descrive l’avvicendarsi di esperienze sentimentali con le radiose illusioni iniziali e le conclusioni inevitabilmente prosaiche.
Storia a sé quella dell’incontro tra il pescatore e l’assassino, uno scambio di gesti, di beni e di calore fra due persone, al di là dei ruoli ufficialmente riconosciuti.
Più tardi De André conobbe una ispirazione fortemente polemica verso soggetti e pratiche di vita che denunciò nella raccolta, molto drammatica, intitolata Tutti morimmo a stento.
Trovata poi la propria pace sentimentale nell’incontro con Dori Ghezzi ed eletta una fattoria della Sardegna interna come abituale dimora, tornò a toni più pacati alternativamente ironico, come in Ciccirinella, altre volte ancora di aspra denuncia come in Sand Creek, la storia del massacro in un campo di inerme gente pellerossa, qualche nostalgia della vecchia Genova nelle splendide Creuza de ma e A Cimma. Non senza avvertire qualche ricordo della vita nella city in Quello che non ho.
Una esperienza dedicata alla musica impegnata come impegnato era il suo animo contro le ingiustizie e le bassezze della sopraffazione e del sopruso da parte del più forte. Vivissima in lui, non credente, la ammirazione per la figura di Gesù Cristo, considerato un uomo straordinario. Ma anche a raccontare la vita spicciola dandole significati profondi e sorprendenti. Un mondo che è cassa di risonanza per le individualità ed il collettivo.
Oggi un Museo ricorda in via del Campo a Genova i tanti motivi pregnatamente significativi della vita di Fabrizio, entrato nella storia della migliore Musica ma anche in quella vastamente nobile della grande Umanità.