Un “Barbiere di Siviglia” molto intelligente al Regio di Parma


Sabato 20 gennaio, pomeriggio ore 5, in scena al Teatro Regio di Parma “Il Barbiere di Siviglia”, opera comique di Gioachino Rossini, andata in scena in Prima assoluta nel 1816, su libretto di Cesare Sterbini dalla commedia omonima di Augustin Caron de Beaumarchais del 1773. Le date già spiegano da sole quale sia il contesto storico dell’opera e da dove derivi la sua comicità: se Beaumarchais scrive 16 anni prima dello scoppio della Rivoluzione francese, invece l’opera rossiniana interviene a valle del Congresso di Vienna, cioè alla fine del durissimo ciclo rivoluzionario/napoleonico che segna ovunque in Europa l’inizio della Restaurazione monarchico/nobiliare.
E dunque?
Una donna, la bella Rosina, è nelle brame pure di un nobile facoltoso e Grande di Spagna, il conte di Almaviva, che ha subito per lei un colpo di fulmine, così come di un ambizioso e spregiudicato borghese di Siviglia, don Bartolo suo tutore, in crisi economica e interessato solo in fondo alla sua ricca dote. Il denaro è un protagonista dell’opera e piace moltissimo, oltre che a don Bartolo, anche al Factotum della città, Figaro ovvero il Barbiere di Siviglia, figura di intrallazzatore che si avvale delle confidenze da barberia per entrare nelle grazie dell’un signore e dell’altro, e a don Basilio che per esso vende il suo ruolo notarile. Il conte di Almaviva invece non ne ha bisogno, suggerendo la disponibilità di immensi capitali in suo possesso. Rosina è interessata all’amore: la dote le potrebbe essere utile ma solo per sposare un uomo non ricco…


Il senso ultimo è che il mondo è ormai mosso dal denaro borghese, ma la nobiltà è sempre elevata (restaurazione, Rossini non vuole grattacapi…), e quindi il Conte lascia il denaro della dote al tutore don Bartolo che a ciò mirava e si prende la bella Rosina. Ella, prima, era caduta innamorata di un giovane senza arte né parte, Lindoro, per sposare il quale avrebbe avuto opportuna disponibilità delle sue fortune, sottraendole al progetto di don Bartolo… Ma Lindoro si verifica essere il Conte sotto mentite spoglie e così, in fondo, vissero tutti felici e contenti, con i soldi a chi interessavano e l’amore a chi invece no.
Questo Barbiere, regia di Pier Luigi Pizzi, lo conoscevo già bene, in quanto visto in Prima registica assoluta nel 2018 al Rossini Opera Festival di Pesaro. Barbiere è una delle opere più divertenti in assoluto e basta lasciarla scorrere che ammalia. Pizzi ha una sua sensibilità particolare e anche suoi gusti, che nel tempo decantano precisi segni riconoscibili come sua firma, e anche in questo caso: le nudità, sebbene non esagerate, la scelta di physique du rôle con canoni di bellezza evidenti nel cast, alcuni accenni intriganti sul piano erotico e certi vezzi ulteriori di leggerezza. Tali elementi nel caso di questo lavoro spostano l’opera-comique rossiniana più verso il grand-guignol e la farsa: non è sbagliato, si tratta di una licenza, un pò estrema, che però cattura le attenzioni di chi è semplice spettatore e il Teatro Regio, pieno in ogni ordine di posti. Infatti, il pubblico non grava di sanzioni pesanti Maxim Mironov per il deficit canoro iniziale. In generale, comunque, voci buone, col tenorino appunto in Almaviva in difficoltà subito (notata con educazione dal pubblico), ma poi una ottima Maria Kataeva, potente soprano rossiniano, l’ottimo baritono Tagliavini nei panni di don Basilio e qualche dubbio (non canoro) per la erre moscia di don Bartolo, che però è etnica a Parma e quindi ha suonato nel contesto come una intelligente trovata farsesca del vezzo vocale parmigiano.
Il nuovo sovrintendente Messi, con il suo stile impeccabile, fatica a riprendere tutto l’affetto del pubblico, ancora infatuato della solare gestione precedente. Ce la farà, ne sono scuro, perché anche in questo caso c’è stato molto divertimento e centro perfetto sul piano impresariale: la ripresa del bel lavoro registico di Pizzi del ROF 2018 ha portato a riempire tutto, senza dovere sostenere i grandi oneri di una nuova produzione. Bravissimi in questo i vertici a decidere con intelligenza anche economica. Si rileva soltanto, per chi ricorda la Prima del Vitrifrigo Arena di Pesaro, un poco di concitazione nell’adeguamento delle scenografie allo spazio più limitato del palcoscenico e alcune altre sfumature, che all’inizio hanno un poco allarmato, ma che si sono dissolte con molta velocità. Poca cosa, vera solo per chi aveva possibilità di confronto.