Quella notte ad Alessandria


“Come va Bianchi?”
“Bene Comandante.”
“Hai paura Bianchi?”
“Si Comandante…”
“Anche io. Bene, andiamo…”

Questo emozionante scambio di battute, avvenuto tra il Tenente di Vascello Luigi Durand de La Penne ed il Capo Palombaro Emilio Bianchi, precedeva di poche ore l’epica impresa della notte tra il 18 ed il 19 dicembre 1941, che scrisse indelebilmente una delle pagine più clamorose, riferite ad un’azione di assalto portata da una unità di forze speciali di ogni tempo.
Si trovavano, insieme con le altre due coppie di sabotatori, nei meandri dell’angusta pancia del sommergibile avvicinatore “Scirè”, adagiato, in attesa, sui bassi fondali dinnanzi ad Alessandria d’Egitto; dopo pochissimo, i temerari palombari sarebbero fuoriusciti nelle buie e gelide acque, per cavalcare i 3 Siluri a Lenta Corsa, non prima di aver richiesto ed ottenuto dal Comandante Junio Valerio Borghese il solito calcio propiziatorio sulle terga.
La mattina dopo, la notizia del temerario e devastante assalto, giungeva a migliaia di chilometri e Sir Winston Churchill, ricevuto con massima urgenza il Capo di Stato Maggiore della Royal Navy, lo ascoltava trafelato ed annichilito asserire: «Il fiore all’occhiello della Royal Navy, il 1st Battle Squadron della Mediterranean Fleet, non esiste più! »

Tra gli sguardi sbigottiti dei presenti, aggiungeva: «La HMS Queen Elisabeth e la HMS Valiant, insieme con lo Jervis, sono state affondate all’alba di questa mattina da 6 temerari palombari Italiani. »
Lo stesso Churchill ebbe poi modo di aggiungere: «…sei italiani equipaggiati con materiali di costo irrisorio hanno fatto vacillare l’equilibrio militare in Mediterraneo a vantaggio dell’Asse…»
La storia ebbe inizio la notte del 3 dicembre. Il sommergibile Sciré comandato dal tenente di vascello Junio Valerio Borghese lasciò La Spezia per la missione G.A.3. Dopo uno scalo a Lero, nell’Egeo, per imbarcare gli operatori dei mezzi d’assalto giunti sul posto dopo il trasferimento aereo dall’Italia, il 14 dicembre il sommergibile si diresse verso la costa egiziana per l’attacco previsto nella notte del 17. Una violenta mareggiata però fece ritardare l’azione di un giorno. La notte del 18 le condizioni del mare erano ottimali: approfittando dell’arrivo di tre cacciatorpediniere che obbligarono i britannici ad aprire un varco nelle difese del porto, in cui si infiltrarono i tre SLC (Siluro a Lenta Corsa) – i famosi “maiali”. Questi mezzi d’attacco erano stati un’invenzione voluta da Teseo Tesei e perfezionata dalla medesima Medaglia d’Oro al V.M. con la collaborazione di Giorgini e Birindelli. Al tempo rappresentavano una minaccia mortale per le flotte nemiche: pilotati ciascuno da due uomini-rana (un ufficiale capo equipaggio ed il suo sezionario), questi sommergibili tascabili venivano pilotati a pochi metri di profondità e posizionati sotto le carene delle navi nemiche, dove una spoletta temporizzata faceva esplodere la grossa carica di esplosivi contenuta nella testa.

I tre maiali penetrarono quindi nella base per dirigersi verso i loro obiettivi. Gli incursori dovevano giungere sotto la chiglia del proprio bersaglio, piazzare la carica d’esplosivo e successivamente abbandonare la zona dirigendosi a terra e autonomamente cercare di raggiungere il sommergibile Zaffiro che li avrebbe attesi qualche giorno dopo al largo di Rosetta.

L’equipaggio Durand de la Penne – Bianchi sull’SLC nº 221 puntò verso la nave da battaglia Valiant. Senza la collaborazione del secondo, colpito da un malore a causa di malfunzionamento al respiratore, de la Penne trascinò sul fondo il proprio mezzo, riuscendo a posizionarne la carica esplosiva sotto la carena della nave da battaglia prima di affiorare, essere avvistato, catturato e portato proprio sulla corazzata. Dopo poco, gli inglesi catturarono anche Bianchi, che era risalito alla superficie e si era aggrappato ad una boa di ormeggio della corazzata, e lo rinchiusero nello stesso compartimento sotto la linea di galleggiamento nel quale avevano portato Durand de la Penne, nella speranza di convincerli a rivelare il posizionamento delle cariche. Alle 05:30, a mezz’ora dallo scoppio, egli chiamò il personale di sorveglianza per farsi condurre dal comandante della nave Morgan ed informarlo del rischio corso dall’equipaggio; ciò nonostante questi fece riportare l’ufficiale italiano dov’era. All’ora prevista l’esplosione squarciò la carena della corazzata provocando l’allagamento di diversi compartimenti mentre molti altri venivano invasi dal fumo; anche il compartimento che ospitava gli italiani venne interessato dall’esplosione e una catena smossa dall’esplosione ferì alla testa Durand de La Penne; ma i due italiani riuscirono ad uscire dal locale e ad andare in coperta da dove vennero evacuati insieme al resto dell’equipaggio.

Martellotta e Mario Marino, sull’SLC nº 222, costretti a navigare in superficie a causa di un malore del primo, condussero il loro attacco alla petroliera Sagona. Questa nave era un obiettivo assegnato dal comandante Borghese in subordine, se constatata l’assenza in porto della portaerei in forza alla Mediterranean Fleet. Dopo aver preso terra vennero anch’essi catturati dagli egiziani. Intorno alle sei del mattino successivo ebbero luogo le esplosioni. Quattro navi furono gravemente danneggiate nell’impresa: oltre alle tre citate anche il cacciatorpediniere HMS Jervis, ormeggiato a fianco della Sagona, fu infatti vittima delle cariche posate dagli assaltatori italiani.

Antonio Marceglia e Spartaco Schergat sull’SLC nº 223, in una «missione perfetta», «da manuale» rispetto a quelle degli altri operatori, attaccarono invece la Queen Elizabeth, alla quale agganciarono la testata esplosiva del loro maiale, quindi raggiunsero terra e riuscirono ad allontanarsi da Alessandria, per essere catturati il giorno successivo, a causa dell’approssimazione con la quale il servizio segreto militare italiano, il SIM, aveva preparato la fuga: vennero date ai palombari banconote che non avevano più corso legale in Egitto e per cercare di cambiare le quali l’equipaggio perse tempo. Nonostante il tentativo degli italiani di spacciarsi per marinai francesi appartenenti all’equipaggio di una delle navi internate in rada, vennero riconosciuti e catturati..

Sebbene l’azione fosse stata un successo, le navi si adagiarono sul fondo, e non fu immediatamente possibile avere la certezza che non fossero in grado di riprendere il mare. Nonostante tutto, le perdite di vite umane furono molto contenute: solo 8 marinai persero la vita.
L’azione italiana costò agli inglesi, in termini di naviglio pesante messo fuori uso, come una battaglia navale perduta e fu tenuta per lungo tempo nascosta anche a causa della cattura degli equipaggi italiani che avevano effettuato la missione.

E’ interessante ricordare chi il comandante Durand de la Penne nel marzo 1945 venne decorato a Taranto con la medaglia d’oro al valor militare appuntata, in segno di particolare onore, dal commodoro Sir Charles Morgan, ex comandante della HMS Valiant.
Questa è la storia… a è anche un po’ poesia.

HMS Valiant

HMS Queen Elizabeth