Artemisia Gentileschi, un caso di arte al femminile mai abbastanza studiato e divulgato


Dalla bella mostra di Palazzo Ducale a Genova allo spettacolo teatrale di Maria Antonietta Centoducati al Ruggeri di Guastalla.


Genova, mercoledì 15 novembre 2023: la fontana di Piazza De Ferrari sembra zampillare diamanti, tanta è la luce di questa giornata dal clima primaverile nel bel mezzo dell’autunno. Palazzo Ducale anche brilla di un’importante esposizione che celebra dopo 20 anni e quasi 20 mostre la figura delle ormai celeberrima “pittora” Artemisia Gentileschi, caso importante dell’arte umana, sul suo versante femminile, crocevia d’ispirazione, scuola e fatti personali che ne hanno condizionato l’opera.
Artemisia Gentileschi, figlia del grande Orazio dalla grande mano e dal cattivo carattere… Artemisia Gentileschi, violentata dal pittore ben conosciuto all’epoca Agostino Tassi amico e collaboratore di Orazio come anche ad esempio del Guercino. Una donna che sopporta la condizione femminile dell’epoca, in un patriarcato cristiano molto costrittivo, anche se diverso da quello radicalmente giuridico dell’Islam sempre presente sulle coste italiane e nei territori mediterranei del sud della Penisola. Artemisia eredita la tecnica paterna, ma riveste i suoi personaggi di un intenso pathos tutto suo, espresso in volute modernamente seicentesche e vagamente ma significativamente caravaggesche. Questa è una grande differenza rispetto a ciò che accade nell’arte di Orazio suo padre, ove risalta di più l’imprinting rinascimentale cinquecentesco tra cui la maestria del disegno di Raffaello, ad esempio, che è in sua buona compagnia nella chiesa romana di Santa Maria della Pace, adiacente al famoso Chiostro del Bramante, due passi da Piazza Navona.


Ciò che si percepisce in Artemisia è una eccitazione che si manifesta in espressioni, costruzioni di relazionalità tra i personaggi delle sue opere e movimenti dei corpi raffigurati. È frequente trovare gli arti superiori occupare spazi importanti della tela, come in gesti allarmati e aggressivi, rilevare negli sguardi creati dalla “pittora” intenzioni ferme e vendicative, ma senza l’enfasi di Caravaggio, così maschile… Le vendette evocate dalla Gentileschi sono come mosse da un’istanza di giustizia, una determinazione secca e da una forma di azione concertata con altre donne, che non ha il senso della complicità ma quella dell’azione opportuna.
La mostra di Genova presenta diversi pregi che la rendono davvero interessante, malgrado l’artista romana sia sugli scudi Occidentali già da tanti anni, con mostre in Italia (ad esempio a Roma, Napoli, Bologna, Milano) e all’estero (Londra, Amsterdam): il primo pregio riguarda l’ottimo inquadramento nel panorama artistico generale dell’epoca; il secondo l’inquadramento in particolare nel contesto genovese, in cui il seicento ha germogliato con grande dovizia, pensiamo soltanto al ruolo che ebbe Rubens presso la Superba in quei decenni; il terzo l’uso maturo e ben integrato del multimediale, con ricostruzioni digitali proiettate e ottimi intrattenimenti tematici on going.


Un Vittorio Sgarbi in ottima forma imposta una conferenza che, come di consueto, sommerge gli interventi di tutti gli altri, del Presidente di Palazzo Ducale Costa, dei curatori Costantino D’Orazio (in primis, quello diciamo così “generale”) e Anna Orlando (dedicata ai legami con l’arte genovese), e di altri relatori in rappresentanza di enti e sponsor, della presidente di Arthemisia Group Iole Siena, che racconta di questa sua quasi omonimia (c’è una H in più) non voluta con la sua azienda di organizzazione e gestione mostre di alto livello. Sono ormai tutti nel mondo alla ricerca di eventi gentileschiani, e nei prossimi mesi negli USA sono in cartellone ben dieci esposizioni in diverse città sul lavoro della “pittora”.
Si sta creando, anche a buon titolo, una mitologia artemisiana, per cui anche solo il nome desta brani di catarsi indotta dalla Gentileschi. Un caso quello del libro con il lavoro di Carlo Goldoni sulla Regina Artemisia di Caria, presente al bookshop della mostra di Palazzo Ducale per qualche onomatofilo che poi rimarrà deluso, pensando, chissà, che il padre veneziano del teatro nel XVIII secolo, avesse pensato di dare respiro drammaturgico alle gesta della grande pittrice. Ebbene, no.


Non lui, non Carlo Goldoni. Ci ha pensato Maria Antonietta Centoducati, con una bellissima drammaturgia che fa rivivere, nei panni da lei stessa indossati come attrice, le drammatiche vicende della vita di Artemisia Gentileschi. Rigore storico, ottima formula scenografica minimalista e iconologica, contributi artistici d’alto livello (l’arpa di Carla They e la voce di soprano di Annalisa Ferrarini) faranno dello spettacolo (mercoledì 22 novembre, Teatro Ruggeri di Guastalla) l’ennesima replica di un grande successo. Dunque, un’occasione imperdibile per conoscere “dal vivo” un personaggio che è divenuto emblematico per la strategia dell’emersione del femminile nell’era ginecoforica, che è caratterizzata, come l’arte di Artemisia Gentileschi, dallo stesso istinto determinato e lucido. E forte di condizioni mai esistite prima nell’umanità, quali soprattutto quelle filogenetiche, con la possibilità di fecondare un ovulo femminile con il DNA proveniente da un altro ovulo. Uomini, in guardia: è il momento di cambiare, se non si vuole fare la fine di… Oloferne.