Hubble, lo scopritore di mondi


Immaginate di essere il direttore dell’Hubble Space Telescope, quello che fino all’entrata in funzione del James WebbTelescope era il telescopio più avanzato al mondo, una macchina costata miliardi di dollari il cui tempo di osservazione vale più dell’oro. Immaginate che qualcuno venga a proporvi di usare quel preziosissimo tempo per osservare non un qualche interessantissimo oggetto astronomico, ma una regione di cielo completamente vuota. Con dentro niente. Buio totale. Pensereste che sia un’idea folle, vero? È esattamente quello che è stato fatto. Era il 1995 e Hubble puntò per un totale di dieci giorni una piccolissima regione di cielo nell’Orsa Maggiore. Grazie alle straordinarie ottiche del telescopio e al lunghissimo tempo di esposizione, dal nulla spuntarono qualcosa come tremila galassie, invisibili a qualunque altro strumento. L’Hubble Deep Field aprì così la caverna di Alì Babà.
L’esperimento venne ripetuto a cavallo tra il 2003 e il 2004, con una strumentazione migliorata. Hubble osservò per un totale di 11,4 giorni un minuscolo francobollo di cielo totalmente vuoto nella costellazione della Fornace. E vide quanto raffigurato nell’immagine qui in alto: l’Hubble Ultra Deep Field. Pensate che quasi ogni puntino che vedete è un’intera galassia. In un’area grande quanto un granello di sabbia a un metro di distanza dai vostri occhi, Hubble ha osservato oltre diecimila galassie. Diecimila. Ciascuna con 100 miliardi di stelle, per un totale di un milione di miliardi di stelle. Ciascuna mediamente con due pianeti: 2 milioni di miliardi di pianeti. Tutto in un’area più piccola della capocchia di uno spillo.
Ma sapete qual è la cosa più bizzarra? Quella che più di tutte ci fa uscire di testa? E’ il fatto che posso puntare il telescopio in qualsiasi direzione, a nord a sud, in alto o in basso, in pratica allo zenit in qualsiasi luogo della Terra io mi trovi, e troverò sempre galassie così lontane, che mi appariranno com’erano 13 miliardi di anni fa! Ma allora, siamo noi il centro dell’Universo? Com’è possibile che le galassie più lontane siano tutte intorno in ogni direzione? E come mai più sono lontane e più (per la legge di Hubble) si allontanano velocemente? Una spiegazione semplice non c’è: bisogna affidarsi alla fisica relativistica e alle teorie più moderne. Se volete avere una pur lontana idea di come funzioni la cosa, immaginatevi il Big Bang come un palloncino sgonfio, ridotto ad una masserella di gomma senza nemmeno un briciolo d’aria all’interno. Al momento del Grande Scoppio il palloncino si gonfia (e si sta ancora gonfiando adesso), facendo allontanare le galassie che erano concentrate tutte il quel punto iniziale. Ora le galassie e le stelle che le compongono si trovano sulla superficie del palloncino il quale, continuando a gonfiarsi, le fa distanziare sempre più le une dalle altre. Ma allora, direte voi, all’interno del palloncino non c’è nulla? In realtà ci sono altre galassie che si allontanano appena un po’ più lentamente, come se si trovassero sulla superficie di un palloncino più interno. Non è facile da capire, lo so, in più l’esempio non è perfetto: si avvicina solo alla realtà senza descriverla in toto.
L’Ultra Deep Field visualizza alcune tra le galassie più lontane che si conoscano. In due parole, si può osservare come appariva il cosmo appena 800 milioni di anni dopo il Big Bang, circa 13 miliardi di anni fa, quando cioè era un bimbo in fasce. La luce di quelle galassie ha viaggiato per il 97% dell’età dell’universo, attraversando miliardi e miliardi di anni luce in uno spazio vuoto e desolato per terminare il suo vagabondaggio nel sensore di un piccolo telescopio costruito da una bizzarra specie di primati antropomorfi comparsi su un pianeta che nemmeno esisteva ancora, quando quella luce partì.
Non sappiamo valutare questi numeri, troppo grandi per i nostri piccoli cervelli, ma guardando immagini come questa ci è inevitabile valutare noi stessi. Abbiamo puntato il miglior telescopio mai costruito dalla specie umana verso una regione di cielo assolutamente vuota, per il solo motivo di essere curiosi, di voler sapere che cosa c’è lassù, e invece di trovare il nulla abbiamo scoperto migliaia di galassie, miliardi di stelle. Abbiamo scoperto, se ancora non lo sapevamo, quanto piccoli siamo e quanto è minuscolo il nostro posto nell’Universo.
Einstein ci ha insegnato che due eventi per essere contemporanei devono accadere nello stesso luogo, tuttavia stando all’equazione di Drake (vedere l’articolo già pubblicato in proposito) esiste una fortissima probabilità che su uno dei due milioni di miliardi di pianeti nascosti in questa immagine viva un’altra bizzarra specie di primati in grado di costruire telescopi, che ammira orgogliosa il proprio Ultra Deep Field in cui è immortalata la nostra Via Lattea da bambina, e si domanda se da qualche parte in quell’immagine c’è qualcuno che sta pensando a loro.

Fonti: NASA, ESA, S. Beckwith (STScI) and the HUDF Team