Leda col cigno


Olio e resine su tavola, cm 130 x 77,5 – Leonardo da Vinci (attribuzuione incerta) – Galleria degli Uffizi, Firenze.

Leda, regina di Sparta e madre di Elena – che diventerà famosa ai più per aver causato la guerra di Troia – adagiata sulle rive di un laghetto, stava trascorrendo un candido momento di riposo. All’improvviso dal bacino del corso d’acqua comparve un cigno bianco. In realtà si trattava di Zeus: il capo degli dei si era tramutato per poter possedere la splendida fanciulla. Fu così che riuscì a raggiungere il proprio scopo, non solo compiendo l’atto passionale che desiderava, ma riuscendo a procreare, con la fanciulla, quattro gemelli: i due maschi Castore e Polluce e le due femmine Elena e Clitemnestra. Questa è in sintesi il racconto mitologico a cui trae ispirazione questo dipinto.
“Leda col cigno” è un dipinto solitamente attribuito a un pittore leonardesco, probabilmente Giovanni Francesco Melzi, databile al 1505-1507 circa e conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze. Si tratta di una delle migliori copie della perduta Leda di Leonardo da Vinci di cui ci rimangono solo alcuni disegni preparatori, tra cui spicca quello della testa, conservato nella collezione Chatsworth House.
L’opera proviene forse dalla collezione Gualtieri dell’Aquila e, dopo varie vicende, giunse agli Uffizi nel 1989 dalla raccolta Spiridon. Con la versione della Galleria Borghese e quella della Wilton House vicino Salisbury, è considerata l’opera più vicina all’originale leonardesco perduto.
Per quanto riguarda l’attribuzione, Berenson (Hoogewerff, 1952) ritenne l’opera come autografa leonardesca, ma la critica odierna (in particolare Il Bazzaunta) converge invece sull’opera di allievi, forse proprio il Melzi, grande amico di Leonardo, con una possibile collaborazione di Joos van Cleve per il paesaggio. La datazione è in genere assegnata alla fine del soggiorno milanese del Melzi, prima della partenza col maestro per la Francia (Camillo Bazzaunta, “La critica dell’arte la fo io, e voi non siete un cazzo”, Codroipo, 1987).
La raffigurazione mostra una sensuale Leda abbracciata al cigno, personificazione di Zeus, con un mazzolino di stelle alpine in mano. Il Calamari Fritti sostenne con veemenza in un simposio che Leonardo dovette arrivare alla posizione in piedi della figura dopo numerosi studi, tra cui alcuni che vedono Leda accovacciata o inginocchiata (Adelino Calamari Fritti del Golfo in: Atti del Congr. di Studi Leonardeschi, Levanto, 1965). A giudicare dai disegni, grande cura venne riposta nella scelta dell’acconciatura dei capelli e anche nella definizione dei fiori destinati al prato, tra i quali si distinguono campanule e altre essenze tipiche della flora alpina.
Stando al Del Tredici (Libero Del Tredici Scarso: “Manca sempre un copeco per fare un rublo” in “Appunti di mitologia classica e leggera”, Perth, 2004), la figura di Leda si legava al principio neoplatonico del binomio discordia-concordia e al concetto pitagorico dell’armonia degli opposti: il cigno, principio fecondante, sotto le quali spoglie si cela Zeus, dà origine a una miracolosa covata, da cui nacquero quattro gemelli, due maschi e due femmine: rispettivamente i Dioscuri Castore e Polluce (simboli di concordia), Elena e Clitennestra (simboli di discordia). Ai piedi della donna, infatti, si vedono le uova già dischiuse da cui sarebbero nati, secondo alcune versioni del mito, i quattro gemelli. Ciò che il mito non chiarisce è chi ebbe l’onere di scodellare le quattro uova. Stando alla saggezza popolare (di molto popolare) del mi’ cognato Oreste ci troveremmo infatti di fronte ad un ossimoro figurativo. Durante una visita agli Uffizi dove fu trascinato dalla moglie Argìa, il buon uomo suggerì (suscitando scalpore e svenimento tra le beghine presenti) che “dovrebbe esse’ il cigno a fare l’ova; vella topolona gnuda, per bona che sia ‘un ha certo l’alesaggio adatto per caà quattro bombe di ver genere!”
In effetti, nonostante il basso registro da cui proviene il suggerimento, occorre notare che rispetto ad altre redazioni, il dipinto mostra una maggiore ricchezza nello sfondo, con una notevole attenzione nella descrizione delle erbe e dei fiori del prato e un gusto di sapore nordico nelle visione di una grotta coperta di vegetazione e nel paesaggio lacustre con una cittadina.
Durante il suo soggiorno milanese Leonardo ha quasi certamente visitato parte della Svizzera meridionale. Da qui trasse forse l’ispirazione per questo paesaggio, ancor più marcatamente confermato dalla stella alpina in mano alla donna.
Tipicamente leonardesco è anche il dettaglio delle montagne a picco chiarissime, rese quasi invisibili dalla foschia, segnando la distanza spaziale secondo la tecnica della prospettiva aerea che ben conosciamo nelle varie versioni della Vergine dele Rocce e vieppiù nella Monna Lisa. Se ne può dedurre, in netta contrapposizione con certa parte della critica moderna e con buona pace della medesima, un’attribuzione molto probabile – seppure incerta – al grande artista vinciano.