In attesa delle elezioni: la politica italiana e il Texas


Mi piace l’America. Amo la freschezza, forza e lucidità ancora presente nel grande corpo degli USA, dove il grande organismo federale con i suoi potentissimi muscoli economici, brilla di genio tra i fari di est e di ovest, New York e Los Angeles/San Francisco.
Ho sempre pensato che spazio e pensiero si condizionassero molto a vicenda, che le grandi estensioni di natura e la scarsa densità umana portassero a migliori riflessioni, cosi come le grandi concentrazioni urbane invece genialità e finezza umana.
Tutto vero, infatti. Ed ecco allora un bel confrontò tra queste disgraziate elezioni politiche, dove il popolo italiano è stato letteralmente “giocato” con astuzia istituzionale leonardesca, e la semplicità di un allevatore texano.
Da “Rizzo” alla “Meloni” van tutti bene: quanto a partiti, esistono e son malati, o non esistono che è anche peggio. Le persone contano fino a domattina: nessun genio della lampada può garantire una seria rappresentanza del popolo italiano nell’immane organismo dello Stato, se non ha anche un solido partito organizzato alle spalle. E smettiamola di far finta di non capire. La democrazia è una cosa seria, non una ridicola parata di grotteschi contorsionisti circensi con l’aria da profeti.
Ovviamente io sono extrapartes, con il mio solito approccio sociatrico.
Sembra di fare qualcosa di utile alla sinistra, parlando di organizzazione dei partiti, e del vantaggio competitivo costituito dall’avere o non avere struttura interna ed esterna, ma non è così: si tratta del miglior servizio alla democrazia italiana, e l’unico modo per salvarla, cioè capire che le organizzazioni di partito vengono prima delle persone, le quali, poi, ovviamente, danno loro un specie di anima e se ne avvalgono per il bene dei cittadini, in loro rappresentanza. La figura del politologo extrapartes è difficile e nessuno la interpreta in Italia oggi, ed è la mia sfida, a estrema summa di 1000 casi clinici sociologici, trattati con i metodi della Sociatria Organalitica.
E in questo preciso momento “la scienza” (attenzione alle virgolette…) gioca di certo a favore della sinistra, col tema dell’organizzazione interna e del raccordo coi corpi sociali intermedi, ed è molto utile alla civiltà politica che a destra se ne rendano conto e la smettano di fare quelli che forse no e i geni carismatici del “ghe pensi mi”. Il politologo extrapartes può esprimere un ruolo di certificazione democratica, dalla rappresentanza ai servizi ai cittadini ed elettori.
La situazione attuale, infatti, vede gli Stati scivolare da soggetto sistemico di tipo geopolitico a un ruolo di sindacato dei cittadini, a fronte del veloce incedere del nuovo Feudalesimo economico privato, quello moderno, occidentale e anche cinese, e quello vecchio ma pericolosamente resistente e oscurantista della Russia putiniana.
I partiti sono paradossalmente sempre più importanti per la libertà e la democrazia, e devono prendere le parti NON dell’obiezione alla globalizzazione ma della spinta (sinergica!) del locale sul più grande globale. Cioè, la opposizione non è tra Global e No-global (scemenza oscurantista già 30 anni fa), ma tra GLOCAL (invasione del globale nel locale) e LOBAL (uso da parte del locale delle risorse straordinarie del globale).
Al di là delle deformità, è normale che la gente oggi si senta rappresentata difensivamente da organizzazioni solide e non da tenori e soprani. E questo, cari amici democratici (gli altri non posso proprio considerarli amici…) di destra e di sinistra, è un principio che in Italia oggi premia la sinistra.
Ieri parlavo con un allevatore texano, che mi diceva: “Sì, io sarei anche per Trump, ma la sua insistenza per America First fa sì che il lavoro che io pago in Messico 20 $ al giorno lo debba comprare qui (dalle stesse persone, poi…) a 20 $ all’ora…”.
Misconoscere la dialettica aperta tra globale e locale, che non sono in dialettica ma sinergici, porta a contraddizioni palesi.
Occorre sì logica e teoria, cultura, ma anche molto buon senso e tolleranza, che s’imparano meglio di tutto sul campo, e non solo in biblioteca. E questo è vero soprattutto oggi, in epoca diluviana, dove la trivoluzione, la rivoluzione tripla del Globantropocene mediatizzato in pieno corso con onde giganti, sconvolge tutto, e la storia non è più magistra vitae, se non per pigri intellettuali che scoprono di essere inutili al futuro prossimo e reagiscono con le armi o la spocchia pseudoaccademica che tanto piace ai laureatini accidiosi, e invidiosi di chi muove le terga e, come sempre, ottiene.
Non bastasse, per farla proprio finita con la polvere e la schizofrenia tra mente e corpo, ecco, soggiacente ma ancora per poco, la quarta rivoluzione, la più perturbante e originale mai vista, che muove fortissime correnti sotterranee nel diluvio: una possibile immane mutazione nell’umanità… che vi lascio come curiosità, ma se voleste informarvi, trovate descritta nel mio saggio in forma di romanzo “Gynandromakia”.
Pare chiaro che la politica in democrazia abbia oggi particolare bisogno di calma, serietà, rigore e realismo, sia nei grandi USA sia nella non piccola Italia. Ieri sera ci siamo capiti molti bene con quell’allevatore texano, che, assicuro, qui sarebbe sembrato un… idraulico? Netturbino? Seppellitiore? Talmente scalcinato questo milionario… ma così avveduta, semplice e lucida la sua visione…
Non era D’Alema. E nemmeno la Meloni.