Letta si diletta ma non alletta?


Con immagine di Igor Belansky.
Un titolo con una doppia rima in “etta” per Letta? Suvvia, cerchiamo di rimanere seri, come la situazione prescrive! Dunque, vestito della sua impeccabile grisaglia, parlando al microfono con un volto funereo, truce così come Igor Belansky lo raffigura, Enrico Letta si diletta in questi giorni a fare il suo mestiere, il segretario del PD, in base ai piani segnati nella sua terrificante agenda. Ma quanto alletta?

Poco. a quanto pare. Si capisce già da quella paura della sconfitta, ormai metabolizzata da gran parte dei suoi esponenti, con cui la sinistra sta rapidamente traslando all’incubo della «vittoria bulgara» degli avversari. Quanta indignazione in questa espressione derivante dalla situazione politica della Bulgaria, quando era il più fedele alleato dell’Unione sovietica, ma anche quello in cui il dibattito interno era inesistente.
Il termine, che spesso denota una forte carica negativa ed è talvolta usato in senso ironico, evidentemente preoccupa ancora un ex DC quale Letta: nuovo pericolo di cosacchi all’ombra del Cupolone? Sicché, poco memore delle antiche simpatie del partito da cui maggiormente discende il suo attuale PD, lancia un latrato alla luna: “Inquietanti legami Salvini-Russia, chiederemo conto al Copasir”.
Ma intensa apprensione, paura o terrore non bastano per sfangarsela. Ci vuole la soluzione che catturi il consenso dei più giovani. L’idea geniale è che l’imposta di successione sui patrimoni plurimilionari possa garantire una dote ai diciottenni attanagliati dalla precarietà. Questo è il senso di generazioni che si aiutano. Ecco quindi che, con un’altra trionfale doppia rima in “etta”, la ricetta di Letta è la paghetta o, più eufemisticamente, il bonus giovani con imposta di successione.
Al di là di questo suo grande obiettivo sociale, una manciata di coriandoli a pioggia ma non vero lavoro per le fasce d’età più imbrigliate dalla disoccupazione, il nostro prode Letta sa che il nodo alleanze va sciolto rapidamente. Non è un compito semplice. In politica riconoscere la propria diversità rispetto agli altri è molto più facile che individuarne le somiglianze. È una sorta di riflesso condizionato che scatta sempre per difendere la propria natura e quindi i propri voti. Per superarlo serve tempo. Ma quando il tempo non c’è, come in questo caso, è indispensabile abbandonare l’istinto e usare la ragione. In particolare se le condizioni del campo di gioco sono eccezionali e non ordinarie. Il costo eventuale da pagare, infatti, non è solo una sconfitta elettorale ma una ulteriore modificazione strutturale del Paese.
Sulla base di questo principio. Cominciando dall’analisi le potenziali “affinità elettive” dei partners, Renzi e Calenda sono nel suo cuore e viceversa? Strana questa congrega di ex fratelli serpenti, presto lo sapremo. Fanno sempre finta di discutere ma si impongono veti incrociati, mentre la sabbia trafila inesorabilmente attraverso la clessidra e i problemi reali restano irrisolti.
La tattica iniziale nei giorni scorsi prevedeva di lasciare aperta la porta per un accordo con Renzi o Calenda, ma di tenerla chiusa all’ipotesi di un’alleanza con il M5S. La ragione categorica: nessuna possibilità di rapporti politico-elettorali con forze politiche responsabili della caduta del governo quel galantuomo di Draghi. E così Conte vada alla conta soltanto con i suoi prodi.
Dopo tanti tira e molla, giri di minuetto attorno a temi astratti, Enrico Letta, Carlo Calenda e Benedetto Della Vedova hanno poi firmato un patto, al termine di una riunione alla Camera durata due ore. Primo risultato: è stata immediatamente necessaria una grande azione di recuperi dem, dato che in virtù dell’intesa, il ministro degli Esteri, novello campione di trasformismo, a nemmeno 24 ore dal lancio del suo nuovo cartello “Impegno Civico”, in asse con Bruno Tabacci, repentina mutazione del precedente “Insieme per il futuro” formato con gli ex M5s giusto prima della caduta di Draghi, non potrebbe essere candidato in un collegio uninominale.
Certi puristi si saranno procurati maschere, per mostrare le proprie facce schifate nel vedere Luigi Di Maio viaggiare veloce verso una candidatura tanto sicura quanto inattesa, sotto le insegne di quello che in non lontanissimi i tempi chiamava il partito di Bibbiano. Geniale questa idea del “diritto di tribuna” nel listino proporzionale? Con una faccia di gomma e un cervello che gli rimbalza, Enrico Letta forse spera di ricavare da essa numeri incredibili, oltre i limiti del possibile.
Ma non solo, al Nazareno hanno pensato pure di spalancare la porta delle prossime a tutti i leader di diversi partiti e movimenti politici che entreranno a far parte dell’alleanza elettorale, trovandosi in una posizione analoga a quella del “bibitaro” e quindi altrimenti irrecuperabili. L’assenza di una simile abborracciata modalità di ripescaggio avrebbe lasciato ancora spaesata, in preda a contorcimenti di budella e riflussi gastrica, un’ ampia schiatta di aficionados del cadreghino parlamentare.
Siccome tappata una falla, se ne apre un’altra, dunque sempre più grande è l’ansia che guida le mosse del Pd nel percorso di avvicinamento alle elezioni del 25 settembre. Sul suo cammino Letta incontra demoni, ossia sondaggisti che valutano attorno al 46% la forza dell’alleanza tra Fdi, Lega e Forza Italia. Con malignità paiono ostacolarlo, ricordandogli che in larga misura una sconfitta sarebbe colpa di tutte le divisioni tra il Pd e i partiti con cui lui sognava di allearsi. Le sigle che avrebbero dovuto comporre il «campo largo», la sua Santa Alleanza anti-destra.
Qui giunti, difficile capire se il Nostro sia un angelo precipitato in una brutta storia o abbia qualcosa di più segreto da svelare. Tuttavia, ritenendo inaudito il suo passaggio tra gli spiriti dei segretari PD trombati, assistito dai numi che lo ispirano lungo il tortuoso cammino, lima di qui e lima di là, dovrebbe fare proprio di tutto e di più affinché il leader di Azione terminato il teatrino venga metabolizzato dall’accozzaglia rossa.
La firma dell’alleanza ha subito prodotto un altro smottamento. Forti di un atavico dialogo con il Pd, Sinistra Italiana e Verdi chiedono di verificare se ancora ci siano le condizioni di un’intesa elettorale. Nicola Fratoianni (Si) e Angelo Bonelli (verdi) giudicano l’accordo tra Pd e Azione/+Europa, legittimo ma non vincolante sul tema programmatico, non gradendo il richiamo al governo Draghi, che vedeva Si e Verdi all’opposizione, e diversi passaggi, come quello sul via libera ai rigassificatori.
In questo momento è azzardato prevedere l’esito della difficile partita a scacchi che i due leader stanno giocando con Letta, nel senso fra le mosse e contromosse i giornali lasciano addirittura intendere la possibilità di un disperato accordo con il M5S.
In definitiva, sembra una catabasi in piena regola: in uno strenuo sforzo dialettico con gli altri sparuti cespuglietti progressisti, il povero Letta, ancora in carne e ossa, viaggia in un mondo ferale, siccome gli umori a sinistra tendono al nero: hanno capito che stavolta il pericolo è serio. E ben che vada, con i criteri di selezione adottati, si aggregherà, in pratica, e all’insaputa delle basi militanti, una armata brancaleone, costituita sostanzialmente non da nuova linfa, bensì da salme di trombati e clientes, che non si sa se siano davvero di sinistra.
Dulcis in fundo, la grana con Renzi. Stando alle cronache, i dolori comincerebbero dal fatto che Il leader di Italia Viva sia in prima battuta rimasto escluso dall’accordo che ha ricompattato il centrosinistra e sia caduto il suo appello rivolto a Carlo Calenda di dare vita a un terzo polo riformista.
Difficile affermare se si tratti di casualità o di strane coincidenze, create ad arte per “riemergere antichi rancori” o far tornare “i fantasmi del passato”. A meno di sconvolgimenti dell’ultima ora, si profila una bella partita per il nostro Pisano contro il Fiorentino che gli fece le scarpe, quando era capo del governo nel 2013. Si racconta che i fiorentini sono ciechi e i pisani traditori, ma in questo caso si direbbe valga il contrario. Poco ci cale che sia un detto che deriva dall’astio che Firenze aveva, e ancora ha, con la città di Pisa. Auguri Toscana, auguri Italia.