Chitarra Classica – L’intervista a Gianvito Pulzone


L’ intervista di oggi è dedicata a Gianvito Pulzone – chitarrista classico, docente di Chitarra al Conservatorio “D. Cimarosa” di Avellino. Il maestro è noto anche per la sua intensa attività musicale in Italia ed all’estero. Di recente ha partecipato ai Latin Grammy Awards con il suo ultimo CD “Aires de España”, unico chitarrista italiano ad accedere alla prestigiosa manifestazione e ad accedere sempre ai Latin Grammy alla fase finale nel 2019 con un suo CD e DVD dedicati a Leo Brouwer.
Artista eclettico e virtuoso della chitarra, decine le collaborazioni con artisti e musicisti del panorama internazionale, svolge anche l’attività di produttore grazie al suo ruolo di fondatore e direttore artistico della GuitArt, storica realtà editoriale e discografica dedicata al mondo della chitarra.

W.M. Maestro grazie per la sua disponibilità, può parlarci dei suoi inizi chitarristici e musicali?

G.P. Grazie a lei, per l’attenzione che rivolge alla mia attività. Vengo al dunque…
L’attrazione verso le suggestioni e le risonanze che la chitarra inevitabilmente trasmette a chi se ne avvicina in me è avvenuta, intorno ai 9/10 anni, subito dopo è iniziato un percorso tradizionale, mi sono diplomato in Conservatorio con il massimo dei voti e la lode, con menzione d’eccellenza all’Accademia Internazionale Superiore di Alto Perfezionamento “L. Perosi” di Biella e nel frattempo mi sono laureato con il massimo dei voti e la lode in lettere e filosofia ottenendo una menzione della Junta de Andalucia per la mia tesi in storia della musica sull’opera per chitarra del compositore sivigliano Joaquín Turina.
Decisivi nel mio percorso artistico il contatto durante la mia formazione e la collaborazione nella mia fase di maturità artistica con personalità, tra le altre, molto diverse come Eduardo Caliendo, Marco De Santi, Angelo Gilardino, Leo Brouwer, Paco Serrano…

W.M. Da quale repertorio si sente particolarmente attratto?

G.P. Ho attraversato come spesso accade, diversi fasi, forse ne attraverserò anche altre e questo vuol dire che si è immersi in un processo, più che di cambiamento, direi di movimento, cosa che reputo stimolante. Mettersi in discussione sempre – lo dico anche ai miei studenti – è un modo per alimentare la fiamma delle proprie passioni.
Ad ogni modo mi ritengo “onnivoro” musicalmente parlando, anche se con una predilezione verso gli estremi opposti del repertorio tradizionale, ossia la musica antica, dell’area spagnola e il repertorio moderno e contemporaneo.
Devo però anche dire che le suggestioni che mi trasmettono il contatto con alcune espressioni strumentali profonde del cante jondo (intendo il repertorio più autentico e profondo del flamenco) ormai da più di vent’anni, influenzano in maniera decisiva tante scelte e progetti che ho avuto e che ho.

W.M. Attualmente ricopre la cattedra di chitarra al Conservatorio di Avellino. Qual è il percorso didattico che consiglia a chi vuole ambire ad una profonda conoscenza tecnica/musicale della chitarra?

G.P. I Conservatori italiani, rappresentano senza dubbio un’eccellenza del panorama musicale italiano, hanno tantissimi pregi e sicuramente diversi difetti … alla fine però è un po’ come la sanità pubblica, si critica tanto, a volte giustamente, ma si finisce per affidarsi quasi sempre a questa che specialmente in alcuni campi di eccellenza, resta una garanzia.
Ad ogni modo, ripeto continuamente ai miei studenti che è importante confrontarsi, viaggiare, scoprire, misurarsi con altre realtà. Non ho nessun problema se un mio studente, contemporaneamente al percorso che segue con me, frequenta anche altri docenti, corsi o master class. L’unica cosa che cerco di far capire, che poi è necessario fare una sintesi del meglio (e non tutti ci riescono) e tracciare la propria traiettoria. Tra l’altro essendo una persona “irrequieta” artisticamente parlando, credo che non potrei pensarla diversamente. Aggiungo anche che ormai l’identificazione degli studenti con le “cosiddette” scuole non esista più e questo credo sia una cosa positiva, se permane un’autonomia di vedute da parte degli studenti è un bene per la crescita del livello generale.

W.M. Spesso si reca in Spagna. Ci racconta un po’ di come e quando è iniziata questa sua esperienza?

G.P. Il contatto profondo con la Spagna o meglio con l’Andalucia, che è una regione culturalmente e artisticamente molto peculiare della Spagna, è nato grazie alla conoscenza con Leo Brouwer. Proprio in un viaggio a Cordoba con i colleghi del GuitArt Quartet per conoscere di persona Brouwer nel 1999 e stringere con lui una lunga amicizia e collaborazione artistica, dopo aver ricevuto personalmente e inaspettatamente – perché non ci conoscevamo ancora – una sua cartolina nel Natale dell’anno precedente. Quel viaggio segnò nella mia vita l’inizio di un cambiamento profondo a partire dalla conoscenza di una bella e affascinante cordobesa che è poi è divenuta mia moglie e che ho sposato nella Mezquita Catedral di Cordoba qualche anno dopo. Da lì in poi è stato un crescendo di conoscenze, collaborazioni artistiche, ma più di tutto nella simbiosi con questa terra, ho ritrovato le mie radici ancestrali, scherzosamente dico sempre di essere la reincarnazione di un gitano andaluso.

W.M. Della sua intensa attività artistica in Italia ed all’estero, ricorda qualche episodio particolare o un aneddoto da raccontare ai lettori di WeeklyMagazine?

G.P. C’è ne sarebbero tanti in verità, forse uno bello e poetico che ricordo sempre e aver dormito una notte nello studio della casa di Brouwer all’Havana, dove compose uno dei suoi “bestseller”, Paesaggio cubano con pioggia. La sera venne a piovere e affacciandomi sul giardino tropicale della casa, il tintinnio della pioggia mi evocò in maniera inequivocabile questo pezzo che ho suonato tante volte, un’emozione unica e un’esperienza che ti fa capire in maniera assoluta quanto sia importante vivere certe esperienze anche per interpretare un’opera musicale.

W.M. Che tipo di chitarra utilizza? Preferisce l’abete od il cedro? Ha qualche liutaio di riferimento?

G.P. Ho avuto una collezione enorme, oltre quaranta strumenti, tantissimi gioielli della liuteria, principalmente spagnoli. Erano frutto di un’idea e un progetto che avevo da ragazzo, far scoprire il suono di questi strumenti attraverso una mostra che avrebbe girato il mondo con un concerto che avrei fatto per farne ascoltare il suono. Pazzie giovanili, mi sono poi reso conto che era un progetto organizzativamente enorme e difficile da sostenere, ho deciso così poi di cedere quasi tutta la collezione, che annoverava strumenti come una delle ultime Ramirez appartenute a Segovia, Santos Hernandez, Domingo Esteso, Manuel e Josè Ramirez I, II, III, Rafael Galan, Emilio Pascual etc.
Da qualche anno sono invece innamorato e suono delle chitarre che costruiscono per me gli eredi del mitico Miguel Rodriguez di Cordoba, i Graciliano Perez. Sono straordinari e hanno trovato una chiave per me unica e affascinante, una chitarra con una pulsazione flamenca, ma un colore e profondità classica, la sintesi perfetta per il mio modo di essere.

W.M. Quali sono i suoi progetti futuri?

G.P. Ho tante idee e progetti, ma credo sia giusto parlarne quando prendano forma.

W.M. Ha consigli o suggerimenti che darebbe ad un giovane chitarrista che volesse intraprendere la carriera del concertista?

G.P. Seguire il proprio istinto, non quello degli altri. C’è una corsa all’omologazione da parte dei giovani di oggi, noi da giovani rischiavamo di più. Se oggi va di moda suonare un brano, lo sforzo e l’ambizione mi sembra sia quello di fare a gara a suonarlo tutti nello stesso modo … è un paradosso autoreferenziale che accade nel mondo della chitarra e che non porta da nessuna parte. Alla fine si finisce per sparire nella miriadi di esecuzioni esistenti. Il mio consiglio è rischiare, risalire la corrente al contrario è l’unica speranza per poter diventare forti e dire qualcosa…

W.M. Maestro la ringrazio del tempo dedicatoci e del contributo dato alla nostra rivista.

G.P. Grazie a lei e complimenti per la divulgazione che fa attraverso questi incontri.