Chitarra classica – Intervista al musicologo e chitarrista Stefano Picciano


Musicologo e chitarrista, Stefano Picciano conduce ricerche nell’ambito della storia della musica con particolare interesse per la storia della chitarra. È autore di diverse pubblicazioni, tra le quali “Alirio Díaz, tra musica popolare e musica colta” (Ut Orpheus, 2011), la prima biografia di Miguel Llobet (Ut Orpheus, 2015) e il libro, di recente pubblicazione, intitolato “Andrés Segovia in Italia” (Curci, 2020), che ripercorre tutti i concerti tenuti dal maestro spagnolo in ambito italiano. L’autore ha presentato i suoi libri in occasione di importanti convegni e in numerosi conservatori italiani, ricevendo inoltre un invito a presentare la biografia di Miguel Llobet a Barcellona, nell’ambito del festival intitolato al maestro catalano. Ha scritto numerosi saggi ed articoli su riviste specialistiche (Amadeus, Musica, Il Fronimo, Seicorde) e recentemente ha inaugurato una serie di video e podcast su YouTube, mettendo a tema la storia della musica e i più importanti maestri della chitarra.

W.M.: Ti ringrazio per la disponibilità concessa a WeeklyMagazine. Puoi parlarci della tua attività? In particolare, ci racconti quando è iniziata la passione per la musicologia?

S.P.: L’origine di questa strada va collocata in un aneddoto particolare: qualche anno prima del diploma in Conservatorio, un giorno lessi la notizia di un corso di perfezionamento tenuto da Alirio Díaz. Dopo alcune esitazioni, presi il telefono d’un tratto e chiamai per iscrivermi. L’incontro con Alirio Díaz – che da quel momento avrei seguito per diversi anni – è stato decisivo e ha posto i miei passi su una strada che continuo a seguire. Ero andato da lui con l’idea di orientarmi verso il concertismo, ma paradossalmente proprio in quella circostanza si è aperta davanti a me una strada che con il tempo sarebbe risultata ancora più affascinante: quella della ricerca nella musica. Rimasi a tal punto affascinato dalla sua personalità che – dovevo allora laurearmi – gli chiesi di poter fare la tesi di laurea su di lui. Accadde un giorno, dopo pranzo: gli domandai di parlargli in privato, lui mi condusse nel giardino, mi ascoltò e apparve contento e disponibile. Da quel momento, durante le lezioni o a pranzo, mentre raccontava di tanto in tanto si fermava e mi diceva: “Questo annotalo, poi lo scriverai…”. Fu un rapporto decisivo, quello con Díaz: un uomo innamorato della chitarra, certo, ma ancor più della bellezza in un senso più ampio e generale: dalla musica alla letteratura, alle arti figurative, alla poesia, fino alle cose più semplici e quotidiane.

W.M.: E così è stato pubblicato il libro su Alirio Díaz, un libro molto apprezzato. In proposito, il figlio del maestro, Senio Díaz, ha detto: “Un eccellente lavoro. Raramente l’estetica musicale di Alirio Díaz è stata messa in luce con altrettanta intelligenza e capacità di comprensione”. Ci parli di questo lavoro?

S.P.: L’aspetto più interessante è stato il fatto che quelle pagine sono nate nella prossimità con il maestro, così che ho potuto verificare in modo immediato e diretto le mie ipotesi nel dialogo con lui. Fu l’occasione di scoprire come quegli aspetti che di lui mi avevano affascinato trovavano la loro origine nell’ambiente della sua infanzia, un contesto caratterizzato da una grande povertà economica ma da una altrettanto importante ricchezza spirituale. È l’ambiente in cui risuonano quelle melodie popolari che Diaz poi farà diventare preziose pagine del repertorio chitarristico, sia attraverso le trascrizioni delle musiche di Vicente Emilio Sojo, sia nei suoi arrangiamenti di canti popolari, dando a quelle melodie una veste armonica capace di innalzare l’espressione specifica e particolare al livello di una dimensione universale.

W.M.: La biografia di Miguel Llobet, allievo del grande Francisco Tárrega, è un’opera molto importante in quanto è la prima biografia del maestro catalano ed infatti è stata salutata dalla critica come “un volume che costituirà per molto tempo a venire un punto di riferimento”. Ci parli di questo lavoro?

S.P.: Il mio interesse per Miguel Llobet risale agli anni dei miei studi. Ero affascinato da questo autore e mi meravigliava il fatto che, nonostante l’importanza del personaggio, su di lui non era stato scritto quasi nulla, così che la sua biografia era conosciuta solo in modo estremamente frammentario. In particolare, mi sembrava opportuno attuare il tentativo di una messa a fuoco generale della prospettiva storica, individuando il ruolo dei maggiori maestri e restituendo ad ognuno la sua importanza. La straordinaria figura di Andrés Segovia, infatti, forte di una carriera senza precedenti e di un particolare fascino che investe il suo itinerario, ha probabilmente messo in ombra il ruolo di altri maestri – primo fra tutti Miguel Llobet – che hanno tracciato invece la strada su cui anche Segovia, poi, avrebbe messo i suoi passi.
L’infanzia, il rapporto con Francisco Tárrega, numerosissime tournée in Europa e in America, il lungo soggiorno a Parigi, la genesi delle opere… c’era un mondo da scoprire! Per due anni ho catalogato tutti gli articoli dei quotidiani in cui compariva il suo nome e ho ricostruito passo per passo il suo itinerario biografico. Poi sono andato a Barcellona, avendo ottenuto la possibilità di consultare l’archivio lì conservato: tenere tra le mani i manoscritti autografi delle sue opere, le sue lettere, i documenti biografici, le centinaia di cartoline che lui inviò a casa durante i suoi viaggi… è stata la fase più entusiasmante del lavoro.

W.M.: A Barcellona è conservata anche la chitarra Torres di Llobet?

S.P.: Un giorno, mentre ero immerso nella lettura dei manoscritti, è passato vicino a me uno dei custodi del museo con una chitarra tra le mani… non è stato difficile riconoscere la Torres del 1859, la chitarra personale di Llobet! Così, l’ho fermato e, spiegandogli le ragioni della mia presenza lì, gli ho domandato di poter vedere lo strumento. Con grande cordialità mi ha dato tra le mani la chitarra, così ho trascorso un quarto d’ora inaspettato e bellissimo, eseguendo alcune opere di Llobet sulla sua chitarra, uno strumento dal suono dolcissimo.

W.M.: Oltre ad essere stato un eccellente chitarrista, Miguel Llobet è stato anche compositore. Ci ha lasciato delle preziose pagine tra cui i suoi preludi, opere spesso dimenticate nei programmi da concerto. Qual è a tuo parere l’importanza della produzione musicale di Llobet?

S.P.: Llobet eredita da Tárrega una nuova estetica, che finalmente abbandona gli stereotipi a cui la letteratura chitarristica si era fino allora riferita per incentrarsi in modo più preciso sulle caratteristiche dello strumento. Ricevendo questa eredità, Llobet porta la chitarra verso una inedita valorizzazione della dimensione timbrica, esaltando al massimo grado le caratteristiche delle singole corde. È l’ingresso della chitarra nel Novecento: durante i dieci anni che Llobet trascorre a Parigi, la chitarra risuona nel milieu musicale di quella che allora era la capitale dell’arte, venendo ammirata dai maggiori compositori dell’epoca: Claude Debussy, dopo aver ascoltato le esecuzioni di Llobet, definisce la chitarra “un clavicembalo espressivo”.
Quella di Llobet non è una fitta e copiosa produzione, ma una serie di pagine per lo più brevi e preziosissime; pagine semplici ed essenziali, lavorate nel minimo dettaglio, in un atteggiamento umile che però dona alla letteratura dello strumento musiche di valore inestimabile. Llobet pare mostrarci un atteggiamento di amore per il dettaglio, di dedizione per il particolare a mio parere molto affascinante. L’importanza del singolo accordo, della tenue risonanza, persino del silenzio. È una bellezza sussurrata, che non si impone, che si offre all’attenzione dell’ascoltatore con discrezione.

W.M.: È interessante questo invito a scoprire questi brani in ogni loro dettaglio e particolare.

S.P.: Bisogna accorgersi del fatto che è sempre possibile riscoprire quello che suoniamo già, che conosciamo – o crediamo di conoscere – già: riscoprire tutta la bellezza di un passaggio, di una battuta, riscoprire tutta la bellezza di quell’opera, che – magari dopo anni che la suoniamo – ci appare d’un tratto nuova! Segovia stesso diceva: “Bisogna ascoltare ogni nota e sentirla. Ogni nota è piena di poesia”. Da un punto di vista didattico, infatti, credo che tutto il fascino del compito del maestro stia nel far riscoprire quello che si suona già, traendo fuori tutta la bellezza che sta dietro ogni singola nota. È possibile ritrovare una nuova profondità – magari di solo poche battute, poche note – una nuova possibilità espressiva di un passaggio, che viene allora riscoperto in tutta la sua espressività, in tutta la sua bellezza.

W.M.: Un altro tuo importante lavoro è la pubblicazione su Segovia, in particolare sulla sua attività concertistica in Italia, paese a cui era legatissimo.

S.P.: Un giorno, mentre facevo alcune ricerche sulla chitarra nel primo Novecento, mi capitò tra le mani la recensione di uno storico concerto di Andrés Segovia nel 1932. Non si trattava del primo concerto tenuto dal maestro spagnolo in Italia (il debutto risale al 1926), ma la breve recensione destò il mio interesse, suggerendomi la possibilità di una più approfondita ricerca sui concerti di Segovia in Italia. Non immaginavo, allora, che genere di lavoro avrei intrapreso, ma uscii dall’archivio con l’idea di tornare sul tema. Ho così iniziato una lunga ricerca in archivi ed emeroteche: da una parte, vi era il tentativo di recuperare i programmi di sala negli archivi dei teatri e, a volte, presso privati; dall’altra, ho cercato le recensioni e le cronache di ogni singolo recital. Segovia, dal debutto fino agli storici concerti del 1985, tenne in Italia circa duecento concerti.

W.M.: Quali sono stati gli aspetti più significativi di questa ricerca?

S.P.: Un tema importante è quello della meraviglia che le sue esecuzioni destano: c’è l’espressione di una meraviglia che ritorna costantemente, quando per esempio si scrive che «coloro che hanno assistito alle interpretazioni del Segovia son passati da sorpresa a sorpresa» oppure quando, in modo analogo, la stampa dichiara: «dalle sue mani uscirono cose mai udite». Si tratta in realtà della stessa meraviglia che anni prima caratterizzava i concerti di Miguel Llobet: nella storia della chitarra vi è questa graduale presa di coscienza per la scoperta delle possibilità artistiche dello strumento. Ma senza dubbio Segovia portò avanti la missione di una nobilitazione della chitarra con un’energia e un’intraprendenza che i suoi predecessori non ebbero. È impressionante osservare i ritmi della sua attività: solo l’amore per una bellezza inesauribile può spingere un uomo a compiere un itinerario simile.

W.M.: Qual è l’aspetto più importante che sta dietro la scrittura di una biografia?

S.P.: Un punto rilevante è scoprire in che modo la biografia può illuminare l’ascolto e lo studio delle opere. La dimensione storica – biografia, contesto storico, genesi delle opere – si pone come fattore essenziale per un rapporto adeguato con l’opera: priva di consapevolezza storica ogni esecuzione perde inesorabilmente spessore, divenendo come una fotografia senza profondità di campo. Dunque il lavoro dello storico e il testo che egli scrive permettono di entrare in rapporto con l’opera in modo più completo, più chiaro, permettono di osservarla meglio, di conoscerla, di scoprirla in tutta la sua bellezza.

W.M.: Seguo con notevole interesse le tue pubblicazioni su YouTube, dedicate alla storia della chitarra e della musica. Si tratta di interessanti riflessioni, aneddoti e racconti per chitarristi, appassionati e amanti delle sei corde.

S.P.: L’idea è nata con la serie intitolata “Note chitarristiche”, che consiste in brevi video sulla storia della chitarra e sui suoi maestri. Per mantenere una qualità tecnica elevata, tuttavia, la realizzazione di video – tra riprese, montaggio ed editing – richiede tempi piuttosto ampi, e per questo ho voluto realizzare un podcast che, in semplice formato audio, permette pubblicazioni più frequenti ed agili. Siamo del resto in un tempo in cui, dopo tanta esaltazione dell’immagine, sembra verificarsi la tendenza ad un ritorno alla voce narrata, come si nota dalla ampia diffusione dei podcast. Sul mio canale YouTube è possibile dunque trovare sia i video sia i podcast sulla storia della chitarra, e anche altre playlist con riflessioni sulla musica e sull’arte.

W.M.: Come potresti descrivere il valore fondamentale della ricerca nella storia della musica?

S.P.: Credo che la ricerca nella musica si svolga dinnanzi a questo orizzonte: sottrarre all’oblio – per così dire – tutta quella bellezza che rischia di rimanere sconosciuta e mostrarla alle persone. Siamo in un’epoca in cui la dimensione estetica perde terreno, finendo per essere considerata – persino in ambito educativo – come un fattore secondario rispetto ad altri aspetti apparentemente più utili. In realtà, è importante domandarsi che cosa è davvero utile alla vita dell’uomo, per capire quale ruolo può avere la bellezza – anche quella musicale – nel contesto odierno. Là dove la bellezza viene spesso percepita come un ornamento, un optional, dovremmo chiederci se essa non sia invece qualcosa che riguarda profondamente la natura dell’uomo, qualcosa che in qualche modo lo richiama a sé stesso, e dunque un aspetto non secondario, ma decisivo per l’uomo, per la sua educazione, per la coscienza che egli ha di sé: il problema è capire che cosa c’è, per l’uomo, dietro al rapporto con la bellezza.