Una guerra civile chiamata resistenza


«Sono appena passate le sei, qualche soldato, fermo sui marciapiedi davanti agli edifici del Ministero della Guerra e dello Stato Maggiore, saluta; ma gli altri, i più, restano come sono, berretto di traverso, viso torvo, mani in tasca. Annusano la fuga dei capi.» (Testimonianza del Generale  Giacomo Zanussi, Ufficiale addetto del Capo di Stato Maggiore Mario Roatta, in fuga assieme al suo superiore, riportata in Arrigo Petacco, La seconda Guerra Mondiale, Armando Curcio Editore, Roma, p. 1171).

Nella foto la Corvetta “Baionetta” che imbarcò il Re Vittorio Emanuele III e il Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio.

L’Italia ha perso la sua sovranità nel 1943 sia per il modo in cui si è arresa, guadagnandosi il disprezzo di tutto il mondo e l’auto-disprezzo, sia pur dissimulato, del suo stesso popolo, sia per la successiva guerra civile, ipocritamente ribattezzata Resistenza, che ha distrutto tutta l’opera della Prima guerra mondiale e del suo dopoguerra, cioè l’opera di effettiva unificazione del popolo italiano e di fondazione di un patto di mutua solidarietà fra popolo e classe dirigente. L’8 settembre 1943, con la logica premessa del 25 luglio, ha segnato il ritorno alle Italie anteriori al 1861, coi loro particolarismi e i loro egoismi, e soprattutto con le loro classi dirigenti ben decise a reggersi in sella a qualsiasi costo, anche al prezzo del tradimento più ignominioso, accettando il ruolo sub-coloniale di chi governa, ma solo di nome, per conto di un potere estraneo, senza alcun riguardo per l’interesse effettivo del proprio popolo. La fuga di Pescara di Badoglio e Vittorio Emanuele III è la rappresentazione di tale divorzio fra la classe dirigente e il popolo: l’una preoccupata solo di sé stessa, l’altro abbandonato al peggiore dei destini.

Questa premessa e necessaria per capire come siamo arrivati alla situazione attuale. La Repubblica del 1946 nasce su un colossale inganno e una sistematica mistificazione, per nascondere a tutti, ma specialmente al popolo italiano, che l’Italia ha perso la sua sovranità, e più precisamente che la sua classe dirigente l’ha venduta in cambio del privilegio di restare formalmente al potere, ma in conto terzi. Perciò, da quel momento, è stata fatta una capillare e incessante opera di falsificazione della storia: i peggiori sono diventati i migliori, e viceversa. Meglio un potere in conto terzi, che nessun potere: così essa ha ragionato, e così ragionano ancor oggi i Gentiloni, i Renzi, i Zingaretti, i Di Maio, i Grillo, e tutti gli altri che non vale neppur la pena di nominare tale è la loro inconsistenza sul piano della storia e della competenza, specialmente i ministri dell’Economia e dei dicasteri ad essa collegati di questi ultimi due decenni.

Il fondo giunge nel 2020 con l’arrivo del Tacchia, il Conte avvocato sconosciuto ai più, uno storico (competente più dei numeri di topolino che di storia) che non sa fare 2 conti, un ministro della giustizia pessimo e una ministra della scuola (NDR: noi preferiremmo dire “ministro”) che dicono sia addirittura la brutta copia di una attricetta degli anni ’80.