Chi non lavora non fa l’amore


1970, Adriano Celentano, assieme alla moglie Claudia Mori, interpreta una delle sue canzoni più famose e dal forte impatto sociale, “chi non lavora non fa all’amore”. Era l’epoca degli scontri sociali, delle ideologie vive, e ben nutrite dal sangue dei giovani caduti sulle opposte fazioni, il sogno del sessantotto, che aveva unito per pochi giorni una generazione, era già diventato l’incubo, dei diritti senza doveri, del 6 politico e del libero amore. La chiesa, dopo millenni, con la chiusura del Concilio Vaticano secondo si era spostata in direzione antropocentrica, (l’antropocentrismo, dal greco anthropos, uomo, e kentron “centro”, è la tendenza a considerare l’uomo, come centrale nell’Universo). A colpire la fantasia dell’ascoltatore è il rapporto fra il lavoro ed uno dei piaceri dell’esistenza, un rapporto per giunta di causa/effetto, nel contesto della canzone era la moglie che redarguiva il marito avvertendolo che si sarebbe sottratta al “dovere coniugale” fintanto che perseverava nell’astensione dal lavoro. Insomma una punizione per la mancata produttività. In fondo, nulla di nuovo, variante del classico adagio: prima il dovere poi il piacere. Ciò che era però evidente in quegli anni, oggi si fa più nebuloso, cosa sia oggi lavorare, non è più intuitivo, infatti, molti lavori oggi non sono più associati alla manualità, per molte persone la manualità consiste solo nello spingere i tasti di un pc o di un cellulare. Nuovi lavori, nuove tragedie, mia figlia sul web ha trovato un video di tale Jessy Taylor una sedicente “influencer” ventunenne distrutta ed in lacrime per essere stata cancellata da Instagram, nel video fra un singhiozzo e l’altro, lancia un messaggio: «Smettetela di cancellare il mio account, non sono niente senza i miei followers, non posso fare un lavoro vero». Ad onor di cronaca la presunta influencer Jessy Taylor almeno in Italia era del tutto sconosciuta, è certo che dopo averla vista piangere nel famoso video in tanti si stanno iscrivendo al suo canale Youtube, e fra i più smaliziati si insinua il dubbio di una genialata per conquistare velocemente un target in realtà mai avuto. Ma al di là della veridicità del caso specifico, i cosiddetti influencer guadagnano cifre esorbitanti. Blogmeter, nota azienda di social media intelligence, ha stilato un elenco dei 10 influencer più pagati nel mondo. La regina indiscussa dei guadagni è una donna, la 34enne Iraniana di nascita, ma americana d’adozione, Huda Kattan, “beauty influencer”. Nel 2010 apre il suo blog, oggi vanta ben 25.6 milioni di follower, posta circa 9 contenuti al giorno, numeri da capogiro, se pensate che un singolo post di Huda può rendergli sino a 18 mila dollari. La medaglia d’argento va al californiano 23 enne Cameron Dallas, che per ogni endorsement guadagna 17mila dollari. Nel Belpaese nella classifica dei personaggi più influenti web al primo posto troviamo Chiara Ferragni (NDR: in foto), ideatrice del blog e brand The Blonde Salad e moglie del rapper Fedez. Un post su Instagram della celebrità italiana rende circa 13 mila euro. Al secondo posto Gianluca Vacchi, diventato famoso su Instagram semplicemente per la sua ricchezza, e lo stile di vita sfrenato. Terzo posto per il fashion blogger Mariano Di Vaio, che ha da poco lanciato anche un e-commerce, Nohow, a seguire in ordine sparso, Lodovica Comello, Frank Matano, Lorenzo Ostuni (Favij) Clio Zammatteo (Clio MakeUp). Il tutto quando nel nostro continente abbiamo un tasso di disoccupazione giovanile del 22%, con punte del 38% e nel nostro paese, politiche scellerate dei governi degli ultimi 20 anni hanno portato al progressivo smantellamento dei diritti sociali ottenuti dai lavoratori “veri”, di questi giorni un caso nella città di Lucca, di camerieri assunti al “Grigio” per 3 euro l’ora per 220 ore al mese. Del Resto la maggioranza dei nostri parlamentari un lavoro vero non l’ha mai avuto, la categoria più rappresentata, è quella dei politici di professione e degli amministratori locali, che conta per il 29%. La classe politica italiana è stata capace di esprimere, almeno fino alla prima metà degli anni ’70 del Novecento, uomini di notevole levatura culturale, intellettuale e, in certi casi, anche spirituale: uomini che hanno onorato i rispettivi Partiti, e che hanno profuso nel loro impegno un grado di passione, e competenza quali mai più sono stati mantenuti dalle generazioni successive. Classe politica che nella stragrande maggioranza dei casi proveniva dai Gruppi Universitari Fascisti, o dal mondo del lavoro “vero”. Oggi chi ha un lavoro “vero” spesso non può permettersi di fare l’amore, o almeno può permetterselo solo come “svago” occasionale, impossibilitato da un sistema socioeconomico a farsi una famiglia, quei pochi spiccioli che gli restano da stipendi da fame, servono per acquistare il nuovo “indispensabile superfluo” sponsorizzato dagli influencer. Il pianto della giovane Jessy Taylor è il pianto di un’intera generazione, che deve scegliere fra un lavoro vero, sottopagato ed un lavoro da aguzzini che si arricchiscono sfruttando il sangue e sudore delle masse lavoratrici, si fa un gran parlare ogni anno il 27 gennaio di campi di concentramento, non accorgendoci che stiamo disegnando per i nostri figli un mondo dove la maggiore aspirazione e diventare Kapò.