Il grido di dolore di Jean-Jacques


A seguito della richiesta di alcuni magistrati al Parlamento per poter mandare a processo il Ministro degli Interni Matteo Salvini con l’accusa di sequestro di persona nei confronti dei clandestini a bordo della nave Diciotti, il Movimento 5 Stelle ha mandato in scena una delle peggiori commedie degli equivoci che la mente umana ricordi. Nemmeno fini commediografi e capicomici come Shakespeare o Chaucer furono mai così ingegnosamente abili a rappresentare, in un teatro della Londra dei tempi di Elisabetta Ia, un’opera così vergognosamente insensata e lontana da ogni senso comune.
Stiamo parlando, ovviamente, della decisione presa dai capibastone del movimento di far decidere alla base – ossia agli iscritti – se il vicepremier leghista dovesse essere consegnato al braccio secolare dell’inquisizione giudiziaria o se, al contrario, potesse continuare ad esercitare il suo ministero in pieno diritto. Purtroppo l’inquilino del Viminale non si è reso ben conto che oltre a liberalizzare le pistole sarebbe stato il caso di interdire i ‘pistola’, intesi come persone non proprio furbe, le quali sono forse più delle armi in circolazione.
Già il quesito era contorto e ben poco è servita la giustificazione di colui che poggia la chiappa sinistra sul medesimo scranno di vicepremier, che si tratterebbe del medesimo quesito che successivamente sarebbe stato posto alla commissione parlamentare. In pratica per votare sì occorreva votare no e viceversa. Quindi alla domanda: “Volete voi che Salvini venga processato?” il seguace grillino che non volesse ciò doveva rispondere Sì, mentre il No avrebbe sancito la volontà contraria. Ma allora non sarebbe stato più logico (e serio) porre quest’altro quesito: “Salvini vi sta simpatico?”
Il già farraginoso modo di porre la domanda è stato poi complicato dall’uso di uno strumento informatico per esprimere il voto come la famigerata “piattaforma Russeau”, che come prevedibile non ha retto bene all’assalto di cinquantamila assatanati giacobini e ha avuto più di un collasso durante il “Click Day”.
C’è da pensare che il povero Jean-Jacques sarà ancora lì a gridare dal suo sacello che levassero il suo nome da quell’infernale programma: proprio lui, il più garantista del suo tempo, che dichiarava che sarebbe morto pur di permettere a chiunque non la pensasse come lui di esprimere il proprio pensiero, elevato a icona del pressapochismo metastabile e del furore montagnardo di un popolo dal comportamento più uterino di una comare di Windsor.
Sì, perché il popolo della rete, come ama definirlo il fondatore del M5S, altro non è che un campionario di persone più o meno normali, unite da un’idea (forse) e guidata dalle emozioni più che dalla logica. Di indubbia morale, lungi da noi il dubitarne, ma sicuramente impreparati a un compito di questa portata. Siamo certi che nessuno di loro ha avuto modo di leggere le carte processuali, i verbali delle indagini svolte dalla magistratura inquirente, né tantomeno le leggi che i magistrati hanno ritenuto offese dal comportamento di Salvini.
Comportamento che, peraltro, è stato per loro stessa confessione condiviso da Conte e da Di Maio, i quali in questo modo si sono dichiarati corresponsabili, tanto che la richiesta di revoca dell’immunità parlamentare avrebbe dovuto riguardare l’intero esecutivo.
Qui però, a dispetto di quanto asserito dai soliti noti e sinistri personaggetti (Saviano, Kyenge, e chi più ne ha più la smetta) non si tratta di voltare la frittata chiedendosi come mai i pentastellati abbiano abiurato alla loro morale che vorrebbe dimissionario e sotto processo chiunque riceva un’accusa, anche se falsa. Si tratta invece di chiedersi perché persone che governano questo Paese non riescano a capire che il popolo non può e non deve essere chiamato a esprimersi su questioni di questa portata, che non conosce e non può votare in modo sereno e cosciente.
Quando Napoleone, appena nominato Primo Console, cercava di riorganizzare la Repubblica, il consigliere Cabanis gli disse: “E’ indispensabile che la classe ignorante non eserciti più alcuna influenza sulla legislazione né sul governo. Tutto dev’essere fatto per il popolo e in nome del popolo, niente deve essere fatto attraverso il popolo e sotto la sua pressione inconsulta”.
Non molto tempo fa abbiamo avuto modo di vedere dove il voto popolare sta rischiando di condurre il Regno Unito e come quello stesso popolo che ha deciso la Brexit si sia pentito entro ventiquattr’ore del voto che aveva espresso e di cui pagherà ora in modo irrevocabile le conseguenze grazie alla superficialità di governanti anch’essi, probabilmente, votati alla cieca.
Bisogna stare attenti a dare troppo potere a chi non lo sa dosare. E questo, si badi bene, non vuole essere uno schiaffo alla democrazia, semmai un sostegno all’arte del buon governo. La democrazia occidentale dei nostri tempi ha fallito, come già dicemmo in un precedente articolo. Quel metodo collegiale di governo nato in Grecia quando Atene era poco più di un club privato non può funzionare in una società multirazziale esposta a mille influenze e a mille culture differenti. La barra deve essere retta con fermezza da pochi, ai quali venga comunque interdetta la possibile deriva assolutistica. Il voto popolare è a volte pericoloso e questo un governo avveduto lo deve prevedere, per evitare di recare danno ad innocenti, come spesso accaduto da Socrate in avanti.
L’ultima volta che il destino di un uomo venne messo in mano al popolo in un modo molto simile a quello ordito dai grillini, il mondo si ritrovò con un Gesù in meno e con Barabba in più.