Aiutiamoli a casa loro


Proprio in questi giorni impazza la polemica della chiusura dei porti italiani alle navi ONG.
Salvini, lo aveva promesso nel corso della lunga campagna elettorale, ha suscitato un putiferio impedendo alla nave Aquarius di attraccare sulle coste del Bel Paese scaricando il suo carico umano.
Inutile dire che i fautori dell’accoglienza hanno “pittato” il Ministro degli interni come un essere senza cuore, un mostro capace di voltare lo sguardo e non provare rimorso alcuno alla notizia dell’annegamento di alcuni migranti, tra cui dei bambini, avvenuto negli scorsi giorni.
L’accusa, dura e eccessiva, arriva dalla Ong Proactiva Open Arms che addebita a Salvini, ma all’intera nazione italiana, il peso dei 100 migranti morti ieri sera in un naufragio al largo delle coste libiche.
Ma il gommone è andato in difficoltà in area SAR (NDR: Search And Rescue) libica. Spettava dunque a Tripoli, e non a Roma, coordinare le operazioni di salvataggio.
Accuse all’Italia, quelle della ONG, dunque inspiegabili sia sul piano del soccorso che su quello delle premesse. Come se non fossero stati i trafficanti a caricarli e stiparli su una barca troppo piccola e con un motore malandato ma il Ministro degli Interni italiano e, con lui, noi tutti.
É chiaro che la questione è delicata ma non può certamente essere posta in modo così specioso e non é certamente l’Italia di Salvini a causare questo maledetto traffico di esseri umani.
Di certo non è più possibile accogliere tutti e proprio in considerazione di tale impossibilità, ma anche se si pensa che nessuno vuol lascia a cuor leggero la propria terra, da alcune parti si solleva il grido “aiutiamoli a casa loro”.
Proprio su questa idea, tra l’altro per nulla nuova o rivoluzionaria, Martino Ghilotti analizza il “modello Rwanda”, raccontando come gli aiuti siano diventati uno strumento di sviluppo essenziali in un paese appena uscito da una sanguinosa guerra civile e tra i più poveri del mondo.
Il suo eBook, scaricabile dalla piattaforma Amazon, racconta l’importanza degli aiuti come strumento di sviluppo di una basilare economia di autosostentsmento in mancanza della quale si generano ingenti flussi migratori.
Il Rwanda, paese appena uscito da una sanguinosa guerra civile e tra i più poveri del mondo, si presta benissimo nel dimostrare che tale vis é praticabile e, addirittura, auspicabile.
Altrettanto emblematico é il caso del Camerun dove il Movimento Dehoniano Europeo, onlus che si ritiene spirituale emanazione dei Sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù, ha costruito con successo oltre trenta pozzi da cui attingere l’acqua.
In Camerun, spiegano i Padri Dehoniani, i dati sulla mortalità infantile sono allarmanti. Ogni giorno milioni di bambini al di sotto dei tre anni muoiono e si ammalano perché non hanno accesso ad acqua potabile e sono costretti a bere acqua inquinata e avvelenata da cianuro, dal cadmio, dal piombo, dal mercurio, sostanze nocive utilizzate dai ricercatori d’oro e di pietre preziose. La costruzione delle fontane nel distretto permetterà di combattere la sete e l’irrigazione dei campi consentirà la creazione di lavoro per gli abitanti del villaggio.
Il Movimento Dehoniano Europeo, che ha lungha esperienza missionaria nei paesi dell’Africa sub sahariana e può quindi parlare con autorevolezza del problema, crede fermamente che l’unica via d’uscita, per interrompere la catastrofe umanitaria dei viaggi della speranza verso i Paesi europei, sia creare condizioni di vita e lavorative dignitose nei paesi d’origine o garantire un inserimento lavorativo a chi chiede asilo nel Paese ospitante.
Nonostante ciò ed a dispetto delle esperienze fatte in Rwanda e in Camerun, il modello ideologico sino a ieri prevalente in Italia, casomai proposto da chi non ha mai davvero operato sul campo, é invece stato incentrato solo sulla base di un sistema assistenzialista passivo da attuare in Italia e non ai fini di un volano di sviluppo da proporre nei paesi origine dei flussi migratori.
Parlare di “aiuti in loco” non significa, quindi, scaricare il problema e la coscienza ma, anzi, prendere atto che l’attuale modello di accoglienza si é rilevato incapace di dare risposte efficaci e iniziare a fare qualcosa di veramente concreto a favore di queste genti vittime di un moderno schiavismo che maschera la violenza di una deportazione di fatto come aiuto umanitario.