Karl Marx, un’utopia lunga un secolo


Uffa di nuovo il treno zeppo di persone dallo sguardo scoraggiato, a volte se si ascolta con attenzione sembra che si riescano  a percepire i loro pensieri, la stanchezza si sta impadronendo anche di me, ma il mio sesto senso e mezzo alla Dylan Dog mi dice che sta per accadermi qualcosa. Si spengono  delle luci del treno si viaggia a lume di candela. Ma tra gli zombie passeggeri, uno suscita in me curiosità e al tempo stesso un certa antipatia . Mi siedo di fronte a costui dallo sguardo strano dai capelli e barba come un punkbestia , mi scruta e ad un tratto rivolgendosi a me con fare garbato si presenta come Karl Marx difensore del proletariato. Il filosofo economista teologo difensore delle masse sfruttate sembrava smarrito a disagio, non mi faccio intimorire e cerco di farmi dire i motivi di questa sua visita, senza batter ciglia il barbuto pensatore mi risponde con voce autoritaria, vorrei solo sapere cosa è rimasto della mia dottrina quali sono state le conquiste del proletariato a 100 anni dalla rivoluzione russa che più di tutte ha cercato di attuare nella pratica il mio pensiero? Tiro un lungo sospiro, cerco di fare ordine nella mente sono tante le cose da dire. Signor Marx a 150 e più anni dalla pubblicazione del Capitale del Manifesto di tutte le internazionali il suo pensiero continua a influenzare le masse anche quelle che si schierano apertamente contro il comunismo. No signor filosofo perché è entusiasta perché ha sentito il termine influenzare, si ma in modo negativo. Il comunismo era quello che si vedeva là dove si era realizzato. Ma da un certo momento in poi si cominciò a fare finta di no (comunque Berlinguer il principe comunista lo tesso andava a Mosca, si dice a prendere paga). Quello vero era tutt’altra cosa. In Russia nessuno moriva più di fame, non c’erano più servi della gleba, tutti avevano diritto a Casa Istruzione Lavoro Salute, ma non c’era «libertà». Dunque occorreva costruire un comunismo diverso, munito di «libertà», senza però chiamarlo col suo vero nome: socialdemocrazia. Fu su questa ambiguità, sull’enorme quantità di non detto, che i suoi seguaci con una capacità trasformista degna della migliore tradizione italiana ,(ma ciò mi creda è  avvenuto anche negli altri stati dove giovanotti capelloni vicini alle sue idee si sono riciclati nelle strutture della unione europea creando le basi di un mondo senza confini senza identità nazionali senza razze un meticciato di sangue e di idee quello che in fondo si auspicava lei), divenne progressivamente ciò che è oggi, assumendosi quel lavoro sporco che il capitalismo finanziario europeo esigeva da tempo e che Berlusconi non aveva saputo/voluto fare, per sostanziale incompetenza e disinteresse per la cosa pubblica. Fatta questa brevissima premessa è impressionante quale nube di rimozione sia calata nella mia mente sull’argomento “marxismo” che pure ha assorbito le mie migliori e più fresche energie intellettuali per molti anni, tanto che ho qualche difficoltà perfino a mettere a fuoco la vostra domanda. Ma proverò ad essere esaustivo. 
Oggi mi pare Carl tranne il metodo, abbia sbagliato praticamente tutto, ma per fortuna tu mi chiedi di limitare la mia risposta ad un aspetto solo: “gli errori del capitalismo”. Ma  hai davvero parlato degli “errori” del capitalismo? A me pare che tu abbia parlato molto dei meriti del capitalismo: ci sono pagine nel “Manifesto del partito comunista” che sono un vero e proprio inno alla trasformazione della vita umana e all’abbattimento dei vecchi regimi feudali realizzati dal capitalismo, hai parlato invece di “limiti storici” di esso, di contraddizioni che si sarebbero via via  esasperate a seguito del suo trionfo e che avrebbero imposto un superamento di questo modo di produzione e la realizzazione del comunismo? ritenevi questo passaggio “scientifico”, assolutamente inevitabile: per questo un partito di intellettuali avrebbe acquisito questa verità inevitabile (Gentiloni, Boschi, Renzi, ma ancor prima coloro che hanno gettato le basi per la proletarizzazione di massa Prodi, Amato, Scalfaro, Scalfari etc se sono questi gli illuminati dovresti sceglierti i tuoi scagnozzi un po meglio), ma eccomi ad uno degli errori che fai, qualcuno crede che il punto principale della tua critica al capitalismo sia l’alienazione del lavoro , forse oggi guardandoti intorno  dovresti riconoscere  che si tratta più di un limite dell’industrializzazione che del capitalismo. Ma Carl dopo 10 minuti a subire mi fa: non hai visto Ford, che mi ha dato ragione alla grande? Si l’ho visto ma non hai visto neppure Togliattigrad o le fabbriche dell’Unione Sovietica che ti davano torto. Ma veniamo alla teoria del pluslavoro, cioè del tempo non pagato del lavoratore attraverso il quale il capitalista costituisce il suo profitto, il plusvalore. Questo è il punto meno convincente, eppure centrale, del tuo pensiero: come non accorgersi pero che il plusvalore è anche remunerazione del fattore imprenditoriale, essenziale nella produzione e senza il quale l’attività economica stessa dell’impresa non potrebbe costituirsi? Caro Carl il pluslavoro esisteva anche nelle società socialiste a economia statale: solo che veniva utilizzato per scopi sociali ma ciò non ne ha impedito il collasso: pare che l’animale uomo si dedichi molto più volentieri a fini egoistici che a quelli sociali, l’economicismo radicale viene smentito dagli stessi sviluppi del marxismo: secondo Popper, infatti, proprio dopo la rivoluzione russa, Lenin si trovò privo di idee veramente valide su cui costruire l’impalcatura economia sovietica e realizzare concretamente la rivoluzione, segno questo che l’abbattimento delle vecchie forme di produzione non conduce necessariamente all’instaurazione di nuove forme e che la struttura economica non è prioritaria rispetto alle idee, ma che sono queste invece ad assumere una posizione di maggiore rilevanza. Marx su una cosa concordo, quando parli della prevalenza del capitale sul fattore umano, e direi che qui hai centrato il problema ed hai avuto ragione; forse hai avuto ancora più ragione di quanto potessi pensare perché ai nostri giorni il cosiddetto fattore economico sganciato da ogni riflessione sul fattore umano sta diventando una forma di isteria accademica propedeutica ad un suicidio di massa. Insomma, Marx le hai colte bene le contraddizioni del capitalismo, ma il capitalismo è stato più furbo di te le ha trasformate, ogni punto di debolezza (o quasi) in una nuova forza. Passiamo ad esaminare il concetto di Stato ed individuo, concetti a te estranei tanto che nella prefazione a Per la critica dell’economia politica del 1859, affermi molto chiaramente che le diverse forme dello stato non possono essere comprese per se stesse o sulla base dell’evoluzione generale dello spirito umano, ma possono essere effettivamente chiarite solo nel momento in cui vengono ricondotte alle loro radici economiche, cioè ai rapporti materiali di esistenza mentre nel Capitale definisce lo stato come il luogo della violenza concentrata ed organizzata nei confronti della società civile e prospetta un processo che deve necessariamente condurre all’estinzione dello stato stesso e alla sua riduzione a quella che è la sua vera radice, appunto la società civile: è la vita materiale degli individui, cioè il modo di produzione e la forma delle relazioni, che costituisce la base reale dello stato, quindi non è il potere dello stato che crea questi rapporti, ma sono i rapporti stessi che creano lo stato. Il mondo non è questo mondo materiale che appare alla superficie, in cui l’uomo è un individuo separato da tutti gli altri e per sé stante, ed è governato da una legge naturale, che istintivamente lo trae a vivere una vita di piacere egoistico e momentaneo. L’uomo è individuo che è nazione e patria, legge morale che stringe insieme individui e generazioni in una tradizione e in una missione, che sopprime l’istinto della vita chiusa nel breve giro del piacere per instaurare nel dovere una vita superiore libera da limiti di tempo e di spazio: una vita in cui l’individuo, attraverso l’abnegazione di sé, il sacrifizio dei suoi interessi particolari, la stessa morte, realizza quell’esistenza tutta spirituale in cui è il suo valore di uomo. Una siffatta concezione della vita mi porta a una negazione  di quella dottrina che costituì la base del tuo socialismo cosiddetto scientifico o marxiano: la dottrina del materialismo storico secondo il quale la storia delle civiltà umane si spiegherebbe soltanto con la lotta d’interessi fra i diversi gruppi sociali e col cambiamento dei mezzi e strumenti di produzione. Che le vicende dell’economia – scoperte di materie prime, nuovi metodi di lavoro, invenzioni scientifiche – abbiano una loro importanza, nessuno nega; ma che esse bastino a spiegare la storia umana escludendone tutti gli altri fattori, è assurdo: io credo ancora e sempre nella santità e nell’eroismo, cioè in atti nei quali nessun motivo economico lontano o vicino  agisce. Gli uomini Carl non sono  comparse della storia, che appaiono e scompaiono alla superficie dei flutti, mentre nel profondo si agitano e lavorano le vere forze direttrici, è nego anche la lotta di classe, immutabile e irreparabile, che di questa tua concezione economicistica della storia è la naturale figliazione, e soprattutto  nego che la lotta di classe sia l’agente preponderante delle trasformazioni sociali. Per me lo Stato non è una organizzazione a fini puramente materiali, come quello di garantire un certo benessere e una relativa pacifica convivenza sociale, nel qual caso a realizzarlo basterebbe un consiglio di amministrazione; Lo Stato così come lo concepisco è un fatto spirituale e morale, poiché concreta l’organizzazione politica, giuridica, economica della nazione, e tale organizzazione è, nel suo sorgere e nel suo sviluppo, una manifestazione dello spirito (G.G.) Lo Stato è garante della sicurezza interna ed esterna, ma è anche il custode e il trasmettitore dello spirito del popolo così come fu nei secoli elaborato nella lingua, nel costume, nella fede. Lo Stato non è soltanto presente, ma è anche passato e soprattutto futuro. È lo Stato che trascendendo il limite breve delle vite individuali rappresenta la coscienza immanente della nazione. Le forme in cui gli Stati si esprimono, mutano, ma la necessità rimane. È lo Stato che educa i cittadini alla virtù civile, li rende consapevoli della loro missione, li sollecita all’unità; armonizza i loro interessi nella giustizia; tramanda le conquiste del pensiero nelle scienze, nelle arti, nel diritto, nell’umana solidarietà; porta gli uomini dalla vita elementare della tribù alla più alta espressione umana di potenza che è l’impero; affida ai secoli i nomi di coloro che morirono per la sua integrità o per obbedire alle sue leggi; addita come esempio e raccomanda alle generazioni che verranno, i capitani che lo accrebbero di territorio e i geni che lo illuminarono di gloria. Quando declina il senso dello Stato e prevalgono le tendenze dissociatrici e centrifughe degli individui o dei gruppi, le società nazionali volgono al tramonto. Caro Carl ma la cosa che mi fa più rabbia e che il marxismo, si pensa e si dice comunemente, è morto: materialmente non esiste più, teoricamente ha mostrato ad abundantiam tutti i suoi limiti, i suoi errori, le sue semplificazioni arbitrarie, la sua incapacità di comprendere e descrivere correttamente i fenomeni della modernità, non parliamo poi d’interpretarli. Fino agli anni Sessanta e Settanta era quasi impossibile leggere un libro sulla storia di Roma antica, o un saggio sulla letteratura di consumo, o una recensione cinematografica, senza doversi sorbire un certo numero di citazioni di filosofi marxisti e persino di leader comunisti, come Lenin e Stalin, chiamati a fare da garanti sulla bontà di determinate affermazioni e a certificare l’esattezza di certi ragionamenti; oggi non si sente quasi più nominare neppure Marx ed Engels medesimi, neppure quando si legge un libro di analisi economica, o politica, o sociale. Se ne dovrebbe concludere che l’ubriacatura è passata, che i baccanali sono finiti; e che una pletora d’intellettuali a suo tempo folgorati sulla via di Damasco dalla lettura del Capitale, hanno smaltito la sbronza e sono passati ad altre esperienze e ad altre letture. Le cose, però, non stanno affatto così; o meglio, questa è solo l’apparenza del fenomeno. La sostanza, però, è un’altra: e cioè che il marxismo, proprio come ideologia che pretende di spiegare la realtà, è più vivo che mai, e perfino se possibile più aggressivo, più intollerante e totalitario di quanto non lo fosse allora; di quanto non lo fosse allorché gli intellettuali sfuggiti ai gulag sovietici, come Solgenitsin, i quali avevano il torto di spiegare ai loro “colleghi” progressisti dell’Europa occidentale cosa fosse, in realtà, il comunismo, venivano ignorati o liquidati, con disprezzo, come “reazionari”, o, addirittura, come “fascisti” (qualunque cosa volesse dire tale espressione, adoperata trent’anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale e del fascismo stesso). Ma come, si dirà, ancora vivo e vegeto? Non è possibile; lo vedono tutti che è morto e sepolto, e che gli hanno fatto, in gran silenzio, il funerale. Nemmeno i Cinesi ci credono più, ossia nemmeno gli ultimi che non si decidono ad abbandonare la bandiera ma solo la bandiera del marxismo. Figuriamoci gli altri. E invece il comunismo marxista è ancora vivo e vegeto, e proprio lì dove meno lo si potrebbe immaginare: nel cuore del mondo capitalista; e, in modo particolare, nei Paesi europei che vantano una forte tradizione cristiana, specialmente cattolica. Italia in testa. Che cosa è accaduto, dunque? È accaduto che il marxismo, nell’atto di morire, soffocato dal cumulo dei suoi crimini e da quello, se possibile, ancor più grande dei suoi errori, ha trovato il modo di trasmigrare in un’altra ideologia: quella cristiana, appunto; e particolarmente, quella cattolica. Per essere più precisi ancora: quella cattolica di sinistra, progressista, neomodernista. Vi è trasmigrato armi e bagagli, senza aver fatto alcuna autocritica, senza aver riconosciuto né le colpe, né gli errori, di cui s’era macchiato, ma conservando inalterata la sua arroganza, cioè la sua pretesa di avere in tasca una lettura onnicomprensiva del reale. Onnicomprensiva e infallibile: cioè una lettura squisitamente teologica. I cattolici hanno il loro Dio, Gesù Cristo; i marxisti avevano e hanno il loro: che non sei tu, tu sei un semplice profeta; e morto un profeta, se ne può fare un altro ma l’Idea comunista, l’idea dell’Uguaglianza, dell’instaurazione della Giustizia sulla terra. C’è un film del 1998, Fallen (titolo italiano: Il tocco del male) nel quale il regista americano immagina che un demone, dopo essersi impadronito di un uomo, trasformandolo in un serial killer, incominci a perseguitare il poliziotto che ha fatto condannare quest’ultimo, e che lo faccia trasmigrando da un corpo all’atro, ogni qual volta si vede smascherato o in pericolo, perfino in punto di morte: ottenendo, così, di fatto, una autentica immortalità, che lo rende praticamente indistruttibile. Vana, contro un simile avversario, elusivo e sfuggente, risulta qualsiasi arma, qualunque strategia: anche se individuato, anche se colpito, anche se ucciso, egli riesce sempre a “passare” in un altro essere umano, a impadronirsene fulmineamente e a trasformarlo in un docile automa ai suoi ordini, pronto a contrattaccare, a distruggere qualsiasi nemico, fosse pure il più astuto e il più intrepido. Come è, appunto, il caso dell’agente John Hobbes, che, infatti, finirà per sacrificarsi invano, poiché Azazel riuscirà a trasmigrare all’ultimo istante in un semplice animale, un gattino che si trovava lì vicino, e così a restare in circolazione, perpetuamente affamato di anime da possedere e da spingere al male. Ebbene : l’ideologia marxista si è comportata esattamene come nel film citato. Quando era morente, o, forse, quando era già morta la struttura sociale e culturale nella quale s’era stabilita, il suo demone ha fatto un rapido salto mortale e si è spostato in un altro ambito, quello della cultura cattolica di sinistra(vedi il caso Bertinotti altro tuo discepolo), nella quale si è immediatamente radicato e ora vi si trova benissimo, trionfante e pressoché inamovibile tanto da regalarci papa Francesco papa favellaro. L’evoluzione del marxismo dopo di te è stata forse l’esempio più brillante del potere delle ideologie di sopravvivere alle smentite della realtà: l’ideologia è stata riformulata in modo da non tenere conto della realtà, e diventasse essa stessa il criterio per decidere ciò che è “vero” e ciò che non lo è. Per tutto il XIX secolo e il primo ventennio all’incirca del XX, “sinistra” significava essere dalla parte dei ceti popolari, dei democratici, dell’allargamento del suffragio, delle riforme sociali. A partire dal colpo di stato bolscevico avvenuto in Russia nel 1917 e falsamente noto come “rivoluzione d’ottobre”, il significato di questa parola ha cambiato completamente segno passando a indicare, oltre ai suoi alleati, una delle più feroci autocrazie della storia, una tirannide che non ha concesso ai suoi sudditi alcun diritto e alcuna libertà, oltre e tentare di espandersi per l’intero pianeta come un cancro. Sarebbe sbagliato pensare che i bolscevichi abbiano tradito le tue idee; in effetti non hanno fatto altro che applicarle alla lettera, attribuendo al popolo lavoratore la proprietà teorica dei mezzi di produzione e a se stessi il controllo effettivo di essi e della vita sociale e politica di un Paese, abolendo tutti gli strumenti di mediazione sociale e politica, si crea cosi caro nemico una nuova autocrazia dotata di potere illimitato, mentre al popolo non restano né diritti né strumenti per soddisfare i propri bisogni, però è vero che in tal modo il plusvalore scompare. Una controprova del resto è facile da farsi: dovunque “la ricetta” di Marx è stata applicata: dalla Russia alla Cina, alla Jugoslavia, a Cuba, al Vietnam, alla Cambogia (ve li ricordate i Khmer rossi?), all’Etiopia, all’Angola, al Mozambico, ha dato dovunque gli stessi risultati. Per i marxisti , l’emergere fra le due guerre mondiali dei movimenti fascisti che forse hanno creato un primo vero socialismo, fu un fenomeno imprevisto e inspiegabile, si inventarono la tesi strampalata del “cane da guardia del capitalismo”. Possibile che milioni di uomini in tutto il mondo fossero plagiati o prezzolati? Il fatto è che prendere atto della semplice verità avrebbe avuto conseguenze auto-distruttive sulla loro ideologia e loro stessi, perché quei milioni di uomini appartenenti in massima parte alle classi lavoratrici, si rendevano conto benissimo di ciò che loro non volevano vedere: che il “paradiso dei lavoratori” che costoro avevano realizzato in Unione Sovietica e che minacciavano di estendere al mondo intero, era un inferno spaventoso soprattutto per la gente del popolo, priva di libertà e di diritti, e stremata fino alla fame, e intendevano impedire con ogni mezzo che questa mostruosità proseguisse oltre. In questo articolo mi potresti accusaredi avere uno stile espositivo “arruffato”, di passare per così dire di palo in frasca, come adesso, che siamo passati da considerazioni di carattere molto generale a questioni storiche in un certo senso più spicciole, ma onestamente non so come si possa procedere altrimenti, perché qui occorre mettere in rilievo un fatto assolutamente centrale che viene negato basandosi su di una serie di distorte interpretazioni “ad hoc” dei fatti storici: dei due “socialismi” che nell’epoca fra le due guerre mondiali  ce n’è uno che il sistema capitalista ha percepito come un pericolo alla sua egemonia, questo non è stato quello marxista-comunista-bolscevico-sovietico, ma quello fascista, che esso ha combattuto con ogni mezzo. La coalizione antifascista che nel 1945 stritolò l’Europa, facendole perdere non solo l’egemonia planetaria di cui aveva sin allora goduto, ma la sua stessa indipendenza, trasformando gli stati europei in colonie russe o americane, non era come ci è stato dato a credere, un’alleanza momentanea fra nemici fondamentali. Capitalismo e bolscevismo erano e sono due facce della stessa medaglia; è stato piuttosto il periodo della Guerra Fredda, del resto intervallato da lunghe fasi di distensione, a essere qualcosa di anomalo. Lo dimostra il fatto che oggi, dopo la caduta dell’Unione Sovietica, il capitalismo finanziario internazionale affama-popoli e la cosiddetta sinistra si ritrovano accomunati dagli stessi obiettivi: il mondialismo, la globalizzazione, la scomparsa di nazioni, etnie, culture e stati nella concretizzazione di un’utopia cosmopolita che è nel contempo il perfetto “mercato”. Potremmo spingerci più in là e pensare che se il pugno di profittatori che sta dietro l’alta finanza mondiale ha scelto fin da subito, dei due socialismi antagonisti della prima metà del XX secolo, di puntare a favorire quello di tipo bolscevico-sovietico, è perché era ben conscio che alla fine esso, nonostante la sua apparente potenza e baldanza, avrebbe finito prima o dopo per implodere, per crollare sotto il suo stesso peso, come difatti è successo. Nello stesso tempo, la diffusione di questa ideologia fra le masse popolari, costituiva il più efficace sbarramento contro una rivoluzione socialista-nazionale. La mortale sterilità del “socialismo” marxista che alla fine ha portato al collasso perfino un gigante come il colosso sovietico, è – ritengo – qualcosa di intrinseco a questa ideologia: la teoria e la pratica dell’egualitarismo che è il contrario  della vera uguaglianza che significa uguaglianza di opportunità per ciascuno di dimostrare le proprie differenti capacità. Uguaglianza di opportunità e selezione: qualità, non quantità: quando ci si allontana da ciò, non si può approdare ad altro che a una nuova casta di burocrati onnipotente quanto inefficiente e a garantire per la gran massa della popolazione la miseria in un solido tandem con l’oppressione e l’assenza di diritti. Su quale sia la situazione che si presenta oggi, a una generazione di distanza dal crollo dell’impero sovietico, non sembra che la chiarezza abbondi, e di certo non lo si può ritenere un caso, dato che chi detiene le leve dell’informazione è in ultima analisi anche chi detiene le leve del potere. Occorre dire che all’epoca della Guerra Fredda in qualche misura liberal-capitalismo e comunismo si bilanciavano impedendosi reciprocamente di arrivare alle conseguenze più estreme che avrebbero spinto i sudditi di un blocco a buttarsi nelle braccia dell’altro. Oggi, questo precario equilibrio si è rotto.
Consideriamo che comunismo e capitalismo non sono mai stati due sistemi che si possano considerare a prescindere da un determinato contesto storico, in qualche modo autosufficienti e auto-fondanti, ma due forma di attacco alla struttura tradizionale dell’Europa; da un lato il sovvertimento politico mirante all’eliminazione di tutte le gerarchie e di tutte le forme in cui si manifestava la cultura tradizionale, dall’altro il sovvertimento economico con la concentrazione della ricchezza nelle mani del ceto più parassitario della società.  A fronte di ciò il socialismo nazionale fascista, quel che oggi del tutto impropriamente viene denominato “destra sociale” (perché in effetti NON E’ destra), si presentava/si presenta come una forza ricostruttiva tesa a riannodare il legame organico fra i membri di una società che va concepita più come un’unità, un’impresa comune che come un’arena deputata allo scontro degli interessi contrapposti.
Ciò premesso, siamo in grado di comprendere quel che sta avvenendo oggi. Non è un caso che in un tempo che può apparire lungo sul metro delle nostre esperienze individuali, ma che agli occhi di qualche storico futuro potrà apparire una rapida successione, e di certo è una concatenazione logica quasi fosse e probabilmente è la realizzazione di un piano a lungo studiato, al crollo dell’Unione Sovietica siano seguiti, oltre a una politica estera americana tesa a estendere in tutto il mondo “la democrazia”, cioè un sistema di stati vassalli agli stessi USA, la creazione della UE, una pseudo-unione europea il cui unico “potere forte” è costituito dalla BCE, cioè  un’organizzazione bancaria PRIVATA cui è affidato il controllo della moneta, l’introduzione dell’euro, cioè la rinuncia degli stati nazionali europei alla sovranità monetaria, e infine la crisi programmata che sta distruggendo le economie occidentali e in primo luogo europee a partire dal 2008. Si direbbe che la coalizione che ha schiacciato l’Europa nel 1945, provvisoriamente divisa in due campi contrapposti ai tempi della Guerra Fredda, si sia oggi riformata e abbia ripreso la sua distruzione con metodi certo meno cruenti dei bombardamenti che durante il conflitto mondiale uccisero milioni di vittime inermi, ma forse in prospettiva meno rimediabili e più definitivi delle distruzioni di allora. Estremista Carl? No semplicemente la mia idea di Stato, rivoluzione è uscita sconfitta dal 2 conflitto mondiale abbiamo 70 anni di ostracismo ed emarginazione ma nonostante tutto Carl non abbiamo sentimenti di rivalsa come voi comunisti ma semplicemente urliamo ai 4 venti l’unica via possibile per il benessere del popolo tutto e non solo di una parte di esso.