Tempo di otium


Strade affacciate su un meraviglioso mare blu, piene del brusio di allegri vacanzieri, splendide donne agghindate che passeggiano sorridenti, attente a captare gli sguardi altrui sui propri look, ville maestose o anche più modeste, ma sempre da ammirare, a contornare lo scenario di spensieratezza, prestigiose spa pronte ad accogliere clienti danarosi e a riservar loro attenti trattamenti termali, un clima di naturale euforia a segnare il momento del riposo e della leggerezza delle ferie, per taluni, il desiderio di trasgressione, tipico di contesti simili,ad alimentare i nascenti progetti di divertimento.
Una bella foto panoramica scattata a uno stralcio di Porto Cervo, del litorale versiliano o comunque di una prestigiosa e modaiola località balneare in questi infuocati giorni agostani? Forse sì, ma anche una descrizione estremamente realistica di Baia o Pozzuoli o Stabia o Capri negli anni che vanno dal I secolo a.C.al II d.C., quando tali mete erano ambitissime  da parte dei turisti provenienti da Roma che ivi correvano a ritemprarsi dalle fatiche invernali e dai grattacapi lavorativi.
L’esigenza di evadere dal quotidiano per una pausa di benessere e riposo era sentita già secoli fa  nell’Urbe, metropoli dei suoi tempi e centro  politico ed economico dell’impero, in un primo momento  esclusivamente da aristocratici e politici, poi da imprenditori e commercianti, che sceglievano le rinomate perle del nostro litorale per costruirvi le loro case di villeggiatura in cui trasferirsi  con codazzo di schiavi e ancelle, affrontando  un tragitto lungo e poco agevole che i più facoltosi aggiravano con la navigazione.
Il clima mite, il beneficio delle acque sulfuree e dell’aria, le suggestioni che il litorale flegreo e il mare del golfo offrivano ai discendenti di Enea, col richiamo al mitico viaggio del loro capostipite e dei suoi compagni di navigazione, Miseno su tutti, resero tale territorio sempre più frequentato, insieme anche alla costiera amalfitana e agli approdi della penisola sorrentina. I villeggianti romani poterono così godere di un mare, oltreché unico al mondo, finalmente e grazie ad Ottaviano Augusto, anche libero dai pirati.
Lucrezio, Virgilio, Plinio il giovane, Ovidio, dedicarono ampi spazi delle loro opere ad angoli di questi luoghi o ne rivestirono la natura e la storia di magia poetica. Per Cicerone, Marziale e Properzio,in particolar modo la cittadina di Baia, era invece un coacervo di lussuria, dove anche le donne dai più integri costumi si trasformavano in maliarde e fedifraghe senza scrupoli.  
Così, accarezzati dalla brezza del pelago, sollazzati nel corpo e nello spirito, rinvigoriti dal buon cibo e dall’eccellente vino, prodotti di un humus incredibilmente fertile, i vacanzieri  trascorrevano giornate di puro relax in una terra che consideravano anche loro.
Il concetto di villeggiatura è qui disgiunto da quello più ampio di turismo, che presenta anche risvolti culturali oltre che di puro svago, per rappresentare il momento dell’anno in cui i “negotia” passavano decisamente in secondo piano rispetto agli “otia”e in cui anche parlare di affari diventava un momento piacevole. In questo senso, l’accezione di significato del termine ozio si rivela molto simile a quella che esso ha acquisito col tempo nel nostro parlare quotidiano, fino a trasformarsi in sinonimo di inerzia fisica e intellettiva.
Stare in ozio, in realtà, voleva dire vivere in uno stato di armonia con se stessi, occuparsi di faccende che non creassero ansie e preoccupazioni, avere il tempo utile per riflettere e meditare, svolgere le attività meno faticose che meglio contribuissero allo sviluppo del pensiero e al raggiungimento della serenità interiore. Praticare l’ozio era una manifestazione di libertà, in quanto scelta personale che portava a vivere secondo le proprie predisposizioni, lontano da individui o disturbatori, dalle lusinghe della vita pubblica e in uno stato di pace alimentato della soddisfazione di vivere nel modo desiderato. Lo spirito veniva allenato tramite la lettura delle opere dei grandi autori del passato, il cui operato doveva sempre essere tramandato come esempio, e con la scrittura, dimostrazione pratica dell’insegnamento acquisito. Si trattava di un ozio letterario e filosofico, un esercizio della mente e dell’anima equiparabile a un periodo trascorso in una clinica della bellezza, in un angolo lontano dalle presenze estranee imposte dalla società, dal lavoro e dalle convenzioni , in modo non solo da ritornare a occuparsi dei negotia più rinvigoriti, ma anche da affrontare i nemici di tutti i giorni, persone e situazioni, con maggiore conoscenza e capacità di difendersi.
L’otium era una pratica propria di scrittori e intellettuali se intesa essenzialmente come “litterarium”, ma tutti, nei modi e nelle quantità consentiti dalla propria condizione sociale, vi potevano ricorrere come ad una sorta di terapia ricostituente del fisico e dello spirito.
E le nostre moderne vacanze riescono ancora a sortire lo stesso effetto? Tornati alle nostre occupazioni, dopo il periodo di ferie, riusciamo ad affrontare la vita di tutti i giorni con rinnovato spirito tale da farci sentire finalmente ed effettivamente liberi dentro?