Historia magistra vitae


Ogni 7 ottobre ricorre l’anniversario della più grande battaglia navale che la storia del mediterraneo ricordi. Essa rappresenta la resa dei conti tra due civiltà e due religioni, sia per lo straordinario schieramento di forze impegnate in mare sia per l’importanza strategica economica e culturale dell’epoca. E’ la battaglia di Lepanto (1571) tra le flotte navali musulmane dell’impero ottomano e quelle cristiane, detta “Lega Santa”, federate sotto le insegne pontificie, composta pressoché da quasi tutti gli stati cristiani sparsi in Europa e nella nostra penisola. Fu una carneficina che sancì la fine della supremazia ottomana nel “mare nostro” e l’inizio della fine delle mire espansionistiche islamiche verso l’Europa che arriverà soltanto con l’assedio di vienna nel 1683 e la pace dopo la guerra austro-russo-turca del 1739. E noi, uomini contemporanei, alle prese con problemi per certi versi simili a quelli di un tempo, siamo pronti a fronteggiare un’eventuale offensiva destabilizzatrice come quelle subite a Parigi, a New York, a Madrid o a Londra? Come gli struzzi o meglio ancora codardi ci apprestiamo a trattare con costoro, rinnegando le nostre gloriose tradizioni nella speranza di non urtare la suscettibilità di quei “signori” che proclamano apertamente la riconquista dell’Occidente con l’inganno e con le intimidazioni. Come abbiamo fatto con il crocifisso, rimosso da alcune scuole e dalle Case comunali della sinistra, così abbiamo fatto con la famosa tela attribuita al Veronese che evoca la battaglia di Lepanto. Qualcuno ricorderà che i primi di aprile del 2007 fu rimossa per ordine dell’ineffabile ex presidente Bertinotti dalla sala di Montecitorio, dove vengono accolte le delegazioni straniere e riposta in un luogo ad essi inaccessibile. Dal versante cattolico Antonio Socci ironicamente si domanda: “Perché la vittoria militare del 25 aprile deve essere ricordata con una festa nazionale e quella di Lepanto imbarazza perfino una tela? Forse perché la prima fu una vittoria (anche) dei comunisti, mentre quella di Lepanto fu una vittoria tutta cristiana sulla minaccia islamica. Dunque via la tela. Così, fa sapere Bertinotti, “si è voluto mandare un segnale di novità e diversità”. L’importanza di questo evento merita un ulteriore cenno retrospettivo che riprendiamo dalle cronache dell’epoca. Il terrore musulmano, allora come oggi, regnava nel Mediterraneo: l’antico Mare nostrum. La sorte dei cristiani di Cipro era simile a quella che i novelli Imam, con le loro prediche, nel chiuso delle madrasse (scuole coraniche), vorrebbero riservarci a noi “infedeli”. Sulla cattedra di Pietro sedeva un teologo domenicano, con il nome di Pio V (il Papa santo del Rosario) il quale, valutando la gravità del momento, comprese che solo una guerra preventiva avrebbe salvato l’Occidente. Con parole gravi e commosse esortò le potenze cristiane ad unirsi contro gli aggressori in difesa della cristianità. La gravità era dovuta al fatto che l’espansione dei turchi si andava sviluppando anche grazie alla complicità di alcuni Paesi cristiani, come la Francia che, in nome dei suoi interessi geopolitici, incoraggiava e finanziava i turchi per indebolire il suo tradizionale nemico: la casa imperiale d’Austria. Tuttavia grazie alle insistenze del pontefice, il 25 luglio del 1570, Venezia e la Spagna si strinsero attorno al Papa concludendo l’alleanza contro i turchi. Subito dopo vi aderirono il duca di Savoia, la Repubblica di Genova e quella di Lucca, il granduca di Toscana, i duchi di Mantova, Parma, Urbino, Ferrara e l’Ordine sovrano di Malta e regno di Napoli.Si trattava di una prefigurazione dell’unità italiana su basi cristiane, vale a dire la prima coalizione politica e militare italiana che la storia ricordi. Invece adesso il nostro buon Papa venuto d ‘altra parte del mondo con il suo baglio marxista sudamericano si inchina alle moschee e sembra voltare le spalle all’Europa. Con ciò non si vuole incitare alla guerra di religione o di civiltà ma ricordare all’opinione pubblica che il nostro passato non ci consente di abbassare la guardia per nessuna ragione, fosse anche di sopravvivenza finché circolano indisturbati in Occidente, ed in Europa in particolare, fondamentalisti che si spacciano per pacifici salafiti o addirittura maestri sufi. Perché rischiare la clandestinità quando sul vecchio Continente vi sono giovani provvisti di passaporto comunitario liberi di circolare indisturbati e pronti a tutto? Sono i figli degli immigrati di seconda generazione ai quali il nostro buon Del Rio vorrebbe dare la cittadinanza, forniti di una nuova identità, istruiti alla dissimulazione sotto stretto controllo delle scuole coraniche degli Imam più estremisti. I servizi segreti francesi precisano che provengono dalle madrasse di Damaj, un sobborgo dello Yemen in una vallata prossima al confine con l’Arabia Saudita, frequentate da migliaia di aspiranti terroristi provenienti da tutto il mondo anche dall’Europa, principalmente dalla Francia e dalla Gran Bretagna paesi aperti al multiculturalismo ed allo ius soli. Da quel sobborgo, non sospetto fino ad oggi, vengono preparate le “più intransigenti reti jahdiste armate” da inviare in Iraq, in Afganistan e dove c’è un qualunque focolaio di “resistenti”. Al momento si contano sulle dita della mano, ma quanto prima, secondo queste informazioni, saranno centinaia, pronti a scorrazzare in lungo e in largo sul nostro Continente. Se questo è il quadro dello spostamento progressivo del fronte del terrorismo internazionalista islamico dovremmo unirci non in un principio di falsa accoglienza buono solo per il capitale che ha gettato le basi per diminuire i salari (vedesi la mano d’opera siriana in Germania o secondo l’italico DEF per cui i clandestini dovrebbero essere utilizzati per lavori socialmente utili) ma unirci in nome di una religione comune ma più di tutto in nome di una cultura comune che affonda le sue radici nella filosofia greca, nel diritto romano e nel cristianesimo. Non facciamoci più abbindolare dai buonisti al soldo della grande finanza, l’islam ieri come oggi è una ideologia religiosa che non si è mai affidata per affermarsi alla ragione o alla libera adesione ma si è sempre imposta con la guerra o con il pagamento di un tributo (vedesi ancora la condizione dei cristiani in Iraq o Iran). E’ la religione che ha oscurato Avicenna e Averroè, che fa della ragione un peccato, ma il peggio e che sta coinvolgendo con il suo eterno immobilismo tutto l’occidente. Come fare per arginare tutto questo? Viene in mente San Tommaso ed il suo realismo cristiano. Si guardi al suo discorso sugli ebrei e l’esclusione degli altri popoli a trattare degli affari della propria Patria. Ma anche Papa Benedetto XVI che durante il suo discorso a Ratisbona si scagliò contro quelle teorie che vogliono tutte le religioni poste sullo stesso piano. Se noi cristiani nel corso del tempo siamo riusciti a scindere religione e attività politica l’Islam no perché sono entrambe ancora facce delle stessa medaglia. L’islam non riuscirà mai a inserirsi nello spazio di libertà della società pluralistica finché non farà i conti con il suo passato e con il suo modo di essere. Ma non sembra esserci la necessaria volontà.

Nota dell’Autore:
Ad un caro amico (F.N.), che è stato la luce nella mia notte, ricordo ciò che disse Seneca:
“Un timoniere di valore continua a navigare anche con la vela a brandelli. Forza e Onore!”.