14 Luglio: Italia la crisi delle crisi


Il cittadino chiama. Il politico risponde?
Ci sembra che quella che stiamo vivendo sia la crisi delle crisi, se qualcosa non interviene a cambiarla c’è il rischio di default o di una rivoluzione. Dalla testa, dalla bocca, dal cuore della gente, che conta sempre di meno, grandi domande che richiedono grandi risposte. Di nuovo, con penna che disegna ma anche scrive, Igor Belansky sfida un silenzio assordante. Se il cittadino chiama, il politico risponde?
Con un disegno e l’opinione di Igor Belansky


14 Luglio, la data fatidica.
Francia. All’estremo di una sopportazione che viene da lontano, la popolazione di Parigi insorge e viene assaltata la prigione della Bastiglia, simbolo del potere assolutista del re: da questa data si fa convenzionalmente cominciare la Rivoluzione francese. Un anno, 1790, per festeggiare l’evento si svolge la Fête de la Fédération; questo evento è festeggiato dal 1880 come la Festa nazionale francese. Da tutto ciò si evince che il popolo francese ha avuto voce in capitolo nello scrivere la storia del proprio paese.
Italia. Anche a Roma, una fatidica giornata. Queste le comunicazioni del Presidente del Consiglio, Mario Draghi, al Consiglio dei Ministri, dopo che il M5s non ha partecipato al voto sul dl Aiuti (comunque approvato): “Voglio annunciarvi che questa sera rassegnerò le mie dimissioni nelle mani del Presidente della Repubblica. Le votazioni di oggi in Parlamento sono un fatto molto significativo dal punto di vista politico. La maggioranza di unità nazionale che ha sostenuto questo governo dalla sua creazione non c’è più. È venuto meno il patto di fiducia alla base dell’azione di governo. In questi giorni da parte mia c’è stato il massimo impegno per proseguire nel cammino comune, anche cercando di venire incontro alle esigenze che mi sono state avanzate dalle forze politiche”.

Dunque, Supermario si prepara per salire al Colle, per rassegnare le dimissioni al Capo di Stato, Sergio Mattarella. Quando ne scende, l’impressione che lascia è che uno spiraglio ci sia ancora. È il Parlamento il teatro naturale dove decidere la sorte del Premier. Una responsabilità doppia: per Draghi, il quale dovrà spiegare le ragioni per cui si dimette a cospetto delle Camere, e quindi dinanzi al Paese, e per i partiti che reggono la maggioranza di unità nazionale, che dovranno dire, con assoluta chiarezza, se intendono voltare pagina, togliendogli la fiducia.

Per queste ragioni, Mattarella ha respinto le dimissioni di Mario Draghi, esortandolo a presentarsi in Parlamento “per rendere comunicazioni, affinché si effettui, nella sede propria, una valutazione della situazione che si è determinata”. Sperando che possa metterci una pezza e tirare fino alla scadenza naturale della legislatura, a marzo 2023. Se tutto andasse a catafascio, l’alternativa del voto anticipato in autunno sarebbe dietro l’angolo, magari attraverso la formazione di un governo tecnico per la gestione delle procedure elettorali.

Mercoledì dunque Draghi, in base ad una prassi che gli addetti ai lavori definiscono della “culla” sarà prima al Senato e poi alla Camera. La decisione non è ancora ufficiale ma la sua intenzione sarebbe di chiudere in un solo giorno la verifica parlamentare. Tempi stretti e decisioni nette dovrebbero quindi essere le caratteristiche di questa verifica, che così lascerebbe poco spazio ai dubbi, alle richieste, ai veti incrociati e alle pretattiche dei partiti per il loro posizionamento, considerate tutte le ipotesi in campo.

Fino ad allora, comunque non mancheranno i rumors, le dichiarazioni ufficiali, le smentite, le trattative ufficiali e segrete, le telefonate avvenute e saltate, forse anche per sbaglio qualche considerazione sulla situazione generale. Insomma, tutto quello a cui siamo abituati nell’oserei dire vergognoso teatrino della politica italiana.

Ma, mentre sul Paese incombe la più grave mai vista da tempo delle congiunture, la crisi delle crisi, la tempesta perfetta, ci stiamo accorgendo di cos’è dagli effetti sulla nostra pelle e sulle nostre tasche, tanto che nemmeno vien voglia di parlarne in dettaglio, il cittadino comune che cosa dice?

Da qualche numero, i lettori hanno scoperto che c’è uno di noi che ha rotto il silenzio, o meglio ha avuto il coraggio di uscire da quello che a Genova si chiama “mugugno”, per proporre con il suo linguaggio semplice le sue opinioni. Igor Belansky questa volta lo ha fatto usando la penna per disegnare, lo vedete dall’immagine in anteprima, che si spiega da sé, e per scrivere quanto segue:

“Con i gravi problemi che ci sono in Italia, i 5 Stelle hanno ben pensato di fare cadere il governo. Questo governo non era perfetto. Adesso siamo senza governo. Le elezioni sono un ‘incognita. Se le cose stanno così, non mi sembra che alcuni politici siano in grado di essere considerati tali. E’ un sogno, ma spero che alle prossime elezioni chi non è capace di fare il politico non venga eletto”.

Non sarà certo l’avviso di tutti, le considerazioni appariranno a tratti scontate (però quelle di certi grandi intellettuali, o presunti e/o sedicenti tali, come poi sono?). Ma c’è la totale incertezza che ci pervade in questo momento e la nota di auspicio dell’ultima frase. Un appello che suona come una campana a morto per una prassi del malcostume politico che da troppo tempo è in vigore, che penzola sulla nostra testa. Se andiamo bene a scandagliare queste parole, che provengono dalla pancia del popolo, non vi troviamo un po’ la consapevolezza che i partiti sono terrorizzati dal parere del popolo e lo vogliono evitare?

Quindi, sta soprattutto al Quirinale indicare percorsi ponderati.

Chissà come andrà a finire nei prossimi giorni? Intanto, abbiamo tutti scoperto che Draghi non è il Giolitti che ci volevano propinare, oggi ha la fragilità politica di un Luigi Facta. Senza un vero atto di responsabilità, se fosse soltanto un mero tentativo di prolungare artificialmente la legislatura, i partiti che lo appoggeranno perderanno ogni credibilità innanzi alla Nazione. Anche gli altri all’opposizione non staranno meglio.

Fino a che punto il presidente della Repubblica sa che, in assenza di soluzioni convincenti rispetto ai drammi che affliggono il Paese, sarebbe chiamare immediatamente gli italiani alle urne? Che non sarebbe più il tempo di forzature tecnico-istituzionali…

E per analogia al caso storico francese, citato in apertura, arriveremo a tra un anno, al 2023: soltanto allora i fatti ci dimostreranno se il popolo italiano avrà realmente avuto o meno voce in capitolo in tutta questa balorda faccenda. Ne abbiamo viste mai tante, se la gente si stufa può anche davvero poi fare la rivoluzione.