PsicologicaMente – Così connessi, così distanti: la Cyberdipendenza


Questa settimana vorrei dedicare lo spazio della nostra Rubrica alla cyberdipendenza o dipendenza da internet. Si tratta di un nuovo disturbo comportamentale di cui si parla davvero troppo poco considerato che al giorno d’oggi rappresenta un fenomeno in fortissima espansione, diffuso in particolar modo tra i giovanissimi e gli adolescenti.
La cyberdipendenza (Internet Addiction Disorder – IAD) è una dipendenze comportamentale tra le più recenti anche se, già nel 2011, ben 10 anni fa, il Telefono Azzurro ed Eurispes affrontarono il problema nell’ambito di una “Indagine conoscitiva sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia” presentata a Roma e svolta su un campione di 1.523 ragazzi e 1.100 bambini. Si trattò di un’inchiesta dalla quale emersero dati abbastanza preoccupanti: il 23,6% dei ragazzi tra i 12 e i 18 anni erano stati vittime di cyberbullismo, una percentuale di ragazzini al di sotto degli 11 anni aveva già esperito il gioco d’azzardo on-line, il 4,9% degli adolescenti aveva cercato consigli per il suicidio ed il 68,7 % non riusciva a staccarsi da internet quando richiesto.
Inutile dire che, ad oggi, la situazione è nettamente peggiorata.
Ma andiamo per ordine.
Il termine Internet Addiction fu coniato nel lontano 1995 dallo psichiatra americano Ivan Goldberg che, riformulando i criteri della dipendenza da sostanze, propose alcuni indici di riferimento per poter inserire questa nuova patologia nel DSM-IV (manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali). La dipendenza dal web venne qualificata come un “uso maladattivo di internet, che conduce a menomazione o disagio clinicamente significativi”. Tale patologia si manifesta con l’insorgere dei seguenti effetti, i quali possono ricorrere in qualunque momento per un periodo di 12 mesi:
1. scarsa tolleranza, ovvero bisogno di aumentare, rispetto ad un uso normale, la quantità di tempo e di collegamento a internet per raggiungere l’eccitazione desiderata;
2. manifestarsi di crisi d’astinenza con tutte le conseguenze del caso: fasi di agitazione psicomotoria; ansia; pensieri ossessivi riguardanti ciò che sta accadendo su internet; fantasie o sogni su internet; movimenti volontari o involontari di battitura a macchina con le dita…
3. disagio o menomazione nell’area sociale, occupazionale, o in qualche altra importante area di funzionamento.
La letteratura psichiatrica, poi, individua cinque tipologie di cyberdipendenti:
La Cyber-Relational Addiction ovvero la tendenza a instaurare relazioni amicali e amorose sul Web. Questo causa l’idealizzazione delle persone ed una progressiva perdita del contatto con la realtà per abbandonarsi ad una dimensione amorosa o amicale virtuale. Sono spesso utilizzati siti di incontri, le chat e i newsgroup.
I Net-Compulsions: i comportamenti compulsivi messi in atto tramite Internet, ovvero: gioco d’azzardo, commercio in rete, partecipazione ad aste on-line.
Va da sé che è frequente la presenza di gravi problemi finanziari per le persone affette da questi tipi di dipendenze.
La Information-Overload cioè la ricerca compulsiva di informazioni on-line.
Il Cybersexual-Addiction, l’uso compulsivo di siti pornografici o comunque dedicati al sesso virtuale. E’ una delle tipologie più frequenti. Le principali attività sono flirtare e instaurare relazioni amorose, ma non sempre si tramutano in conoscenze e relazioni reali.
Infine il Computer-Addiction, ovvero l’utilizzare il computer per giochi virtuali, soprattutto giochi di ruolo, in cui il soggetto può costruirsi un’identità fittizia. Il soggetto può avere un’identità parallela, esprimersi liberamente per ciò che è grazie all’anonimato, oppure “indossare” vere e proprie maschere, in ogni momento intercambiabili.
A questo punto è facile immaginare come fenomeni dissociativi e paranoidei si manifestino sovente come corollari delle dipendenze da Internet.
Il controllare la vita degli altri tramite il web, l’abbandonare le amicizie reali e i propri svaghi (ad esempio lo sport…) per trascorrere il proprio tempo on-line, la mancata percezione del tempo che passa, il vivere una realtà virtuale, il crearsi una vita parallela oppure l’aver bisogno di uno schermo per potersi esprimere liberamente, denotano personalità con forti problemi interpersonali e che manifestano grandi difficoltà nell’instaurare relazioni autentiche oltre a non godere di una buona autostima.
Bisogna certamente precisare che il problema non sono i social-network in sé per sé. L’avere un profilo Facebook, Twitter o Google, non è automaticamente sinonimo di una cyberdipendenza.
Piuttosto bisogna interrogarsi su quali rapporti, quali amicizie, quali scambi si hanno nella vita reale, quante e quali persone in carne ed ossa con cui uscire per una passeggiata o mangiare un gelato, a cui telefonare se si ha bisogno di aiuto o a cui confidare qualcosa. Bisogna chiedersi se le relazioni amorose che si instaurano siano autentiche e intime, ricche di momenti di condivisione con il partner e non solo caratterizzate da scambi di email e chattate. Bisogna interrogarsi sulla circostanza che Internet sia diventato PARTE della nostra vita o rappresenti esso stesso LA nostra vita.
Chiusi in camera o con gli auricolari perennemente infilati nelle orecchie, impegnati a mandare messaggi su un telefonino o postare foto sui social, gli adolescenti oggi sembrano non aver nulla da dire agli adulti, quindi ci si chiede da dove venga questa mancanza di dialogo: mancano idee o mancano orecchie che ascoltano?
Il filosofo e scrittore Umberto Galimberti durante una lectio magistralis sul silenzio dei giovani, nell’ambito del festival “Educa” ha sottolineato che soprattutto le nuove generazioni sono le vittime designate ed ha efficacemente descritto la condizione dei ragazzi derivante dall’uso sconsiderato di internet.
Il Professor Galimberti, ed io non posso che essere completamente in accordo, spiega che i ragazzi: «Sono perfettamente consapevoli di essere in una dimensione nichilista. Hanno una capacità ironica enorme e l’ironia è una forma di salvezza. Non si rassegnano come invece ci rassegnavamo noi una decina di anni fa, ma sono poco educati perché la scuola non educa. Vivono di notte perché di giorno la loro voce è ignorata, nessuno li coinvolge, li chiama, li fa sentire risorse invece di problemi. Pur di non assaporare la loro insignificanza sociale preferiscono rifugiarsi nella notte o peggio bevono, si drogano, finiscono per dormire fino a mezzogiorno non perché dia loro piacere, ma perché così si creano un’anestesia dall’angoscia verso il futuro che preferiscono non guardare, rimanendo nell’assoluto presente».
A questo punto ci si domanda però se Internet, che pare averli isolati, non doveva essere una porta aperta sul mondo, un modo per unire, dialogare oltre le distanze fisiche. Non è così oppure l’errore sta in un utilizzo sbagliato da parte nostra?
In effetti internet di per sé è uno strumento ricco di potenzialità positive, il problema è che, nel giro di una generazione, ha anche trasformato categorie antropologiche che erano radicate nell’uomo dall’origine dei tempi. S pensi alle categorie del tempo e dello spazio, due capisaldi dell’esistenza umana fino a non molti anni fa ma che oggi vengono sconvolti dal mondo virtuale.
Il tempo? tutto si è velocizzato: ricevi un messaggio e devi subito rispondere, e la risposta non può attendere il tempo della riflessione ma viene data sull’egida dell’istinto e della mera emozione.
E lo spazio? non esiste più. Oggi i giovani interagiscono con tanti nuovi “amici virtuali” anche oltreoceano e proprio come se li avessero vicini.
In effetti questi “amici” non ci sono realmente ma questa forma di “comunicazione nell’assenza” risulta prediletta rispetto al classico confronto vis a vi.
Certamente avere l’altro dinnanzi a sé impegna, è difficile, ecco che i ragazzi aggirano il problema messaggiandosi, “incontrando” l’altro per il tramite di uno schermo, il loro modo di comunicare è virtuale e questo influisce anche sulla maniera in cui intendono, ad esempio, i rapporti amorosi.
Un tempo i padri si affannavano, o almeno ciò era auspicabile, ad infondere le loro conoscenze ed esperienze ai figli, oggi non è più necessario perché non c’è continuità dal mondo reale a quello virtuale. La visuale che padri e figli hanno difronte a loro è enormemente divergente.
L’unica alternativa, allora, è accomodarsi, ascoltare i giovani, ma evitando di dire loro cosa fare esattamente: bisogna solo mostrare curiosità nei confronti di questo loro mondo, forse così facendo i figli parleranno anziché nascondersi e ritrarsi.
Mi capita spesso di rapportarmi con genitori che mi chiedono aiuto nel rapporto con i loro ragazzi. Tra i tanti consigli che mi sento di dare spesso il migliore suggerimento è quello di porsi nella condizione di non chiedere aiuto, perché questa richiesta è di per sé già un grande errore. Per riprendere le parole dell’illustre Galimberti a questi genitori direi: «Con tuo figlio dovevi parlare dai 2 ai 12 anni, quello è il tempo per parlare con loro. Madri e padri non hanno mai parlato con i loro figli: i padri non lo fanno e le mamme si preoccupano soprattutto dei problemi fisici (“mangia”, “metti la maglia” dicono loro) ma non parlano mai in termini psicologici, non chiedono loro “sei felice?”. Se non parli coi figli non puoi pensare che dopo i 12 anni, tempo in cui si abbandona lo scenario parentale per quello sociale, si possa instaurare un dialogo o vengano loro da te a raccontarti qualcosa. Dopo è tardi, a quel punto funziona solo l’esempio e nemmeno questo da parte di molti genitori, è poi così buono. Prima molti genitori tengono una condotta silente e poi una condotta non sempre edificante, il connubio è devastante».
Ma, considerati i volti dei poveri papà e mamme difronte ad un simile discorso, ammetto che si tratta di una visione difficile da accettare. E allora il consiglio non può che essere semplicemente di parlare ai ragazzi, descrivere loro il mondo esattamente come è, senza profilare vane speranze, comprendendo che non ci si può salvare illudendoci con descrizioni ottimistiche e che sovente non corrispondono alla realtà.
È un mondo dove tutte le promesse di futuro, salvezza, progresso e riscatto sociale sono figure che, diciamolo pure, non si rivelano portatrici di significati profondi ed effettivi e questo i giovani lo avvertono e lo subiscono e si rifugiano nel virtuale dove almeno la realtà possono crearla secondo il rispettivo gusto, ed è questo lo spreco più grande!
Pensiamo che la maggiore potenza creativa dell’essere umano interviene tra i 15 ed i 30 anni: i grandi del passato hanno fatto le più grandi scoperte nei loro vent’anni, allora che razza di società è quella che non sollecita, non utilizza il massimo della potenza ideativa dei giovani?
Questi giovani vanno ingaggiati, bisogna iniziare a ridare loro voce, ruolo e scopo a partire dall’interno delle famiglie, passando per le scuole e giungendo ai contesti lavorativi.
Nondimeno è necessario accorgersi dei loro malesseri, non ignorarli, non abbandonarli dietro i loro schermi, fornire loro tutto il supporto possibile, accompagnarli o farli accompagnare da una guida nel loro difficile percorso di crescita che, dobbiamo prenderne atto, diventa sempre più complesso.

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Dott. Massimiliano Loreto
Psicologo, Psicoterapeuta
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