La marcia zoppa della Wagner su Mosca: l’inizio della fine?


«…se uno tiene lo stato suo fondato in sulle armi mercenarie, non starà mai fermo né sicuro; perché le sono disunite, ambiziose, senza disciplina, infedele.» (Niccolò Machiavelli, Il Principe).


Sabato 24 giugno, festa di san Giovanni per il calendario cristiano, la brigata Wagner proveniente dalle zone di guerra in Ucraina, ha attraversato il confine russo ed ha preso il controllo della città russa di Rostov sul Don, dove è collocata la base dell’esercito del sud e da dove partono tutti i rifornimenti per le operazioni nell’est dell’Ucraina. La brigata ha preso possesso della base militare, degli edifici governativi, della radiotelevisione e dell’aeroporto.
Il comandante della Wagner, Evgenij Viktorovič Prigožin ha discusso amabilmente con alcuni generali dell’esercito regolare russo, tra cui il viceministro della difesa, generale Yevkurov e il vice capo di stato maggiore Alexeyev in una calma apparente, come appare da un filmato fatto circolare dalla Wagner in cui Prigožin chiede rispetto e pone domande etiche agli interlocutori (“Vi sembra giusto quello che fate?”), mentre sullo sfondo uno spazzini spazza tranquillamente la strada.
A quanto pare Prigožin ha chiesto a Yevkurov di portare a Rostov il ministro della difesa Shoigu e il capo si stato maggiore Gerasimov, “altrimenti andrò io a prenderli a Mosca”.
Detto fatto, già in mattinata le colonne della Wagner con tutto l’armamento e svariati carri armati trasportati sui camion si è diretta a nord, per percorrere il più in fretta possibile i 500 chilometri che la separavano dal Cremino. A quanto pare, dei 25000 uomini di cui sarebbe composta la brigata, circa 5000 hanno preso parte a questa operazione. Abbattuti alcuni elicotteri russi che tentavano di bloccarli e un aereo da trasporto truppe, non hanno più trovato resistenza fino a Voronež, dove i russi hanno incendiato un deposito di carburanti nel tentativo di interrompere i rifornimenti ai ribelli. Tuttavia la marcia è continuata e le notizie intorno alle 19 di ieri davano la brigata nella regione di Lipetsk, 200 chilometri a sud di Mosca, dopo aver oltrepassato Tula (sede tra l’altro di un grande arsenale). L’arrivo a Mosca sembrava destinato ad avvenire nelle prime ore di oggi, domenica 25 giugno.
Secondo gli analisti a questo punto tutto dipendeva da due fattori: innanzitutto capire se la brigata di Prigožin avrebbe potuto ottenere il sostegno dell’esercito, o almeno di alcuni reparti che possano rinforzare le sue file. Fin qui sembra che ci sia stato almeno un tacito consenso all’azione di Prigožin, dato che alla frontiera con l’Ucraina i militari russi si solo limitati a lasciar passare le colonne indisturbate. L’appoggio dei militari è fondamentale e tutto lasciava supporre che il capo della Wagner stesse preparando da tempo il terreno per questa mossa da cui non sarebbe possibile tornare indietro.
Il secondo elemento che dovrebbe sostenere questo colpo di stato sarebbe l’appoggio della popolazione, senza il quale nessuna rivoluzione ha mai avuto un successo duraturo. La popolazione sta cominciando a vedere con occhio più critico le mosse dello zar, e sta iniziando a prendere coscienza dei rischi economici e politici che il Paese sta correndo. Putin ha garantito che non accadrà quanto era successo nel 1917, quando a causa della rivoluzione d’ottobre la Russia uscì volontariamente dal primo conflitto mondiale, tuttavia è lecito pensare che questa previsione non sarà supportata dalla realtà dei fatti. Anche nel caso in cui Putin riuscisse a mantenere il controllo, ci vorranno settimane per riorganizzare un esercito ormai a pezzi e con il morale sotto le scarpe. E’ presto, troppo presto per dire se Putin sopravvivrà per i prossimi due o tre giorni. I rumors però sono pessimisti: parlano di un presidente bielorusso scappato in fretta e furia in Turchia (ricordiamo che Erdogan ha garantito, per puro calcolo politico, il suo appoggio a Putin, in pieno contrasto con i desiderata degli altri paesi Nato) e di un Putin fuggito con l’aereo presidenziale forse verso una villa nei pressi di San Pietroburgo, ma di cui si sono perse le tracce dopo il decollo, quando il pilota ha disattivato il transponder.
in realtà si scoprirà poco dopo che Lukashenko era a Minsk e stata trattando segretamente per conto del suo mentore Putin. Infatti, alle 19,30 il secondo colpo di scena della giornata: Prigožin a 200 chilometri da Mosca dichiara di volersi fermare per non spargere sangue russo! Dichiarazione quanto meno assurda per un uomo che non si è mai tirato indietro nelle varie carneficine commesse in Siria, Libia e Ucraina. Subito dopo ecco l’ordine ai suoi: torniamo in Ucraina. Contemporaneamente la Wagner si appresta a lasciare Rostov.
Cosa avrà ottenuto il capo della Wagner per fare una retromarcia così eclatante? Al momento della pubblicazione di questo numero di WeeklyMagazine non abbiamo notizie certe a riguardo. Solo le prossime ore ci potranno dire cosa in realtà è accaduto. Di certo Prigožin deve avere ottenuto ciò che più gli premeva, ossia un maggiore appoggio per le sue azioni offensive contro Kiev. Anche questo appare un controsenso, dato che tra le varie dichiarazioni dichiarate in questo concitato sabato Prigožin ha accusato Putin di avere iniziato una guerra inutile e ingiusta, perché in Ucraina non ci sono nazisti e perché il massacro di civili è una cosa indegna (senti, senti!). Ha anche rincarato la dose dicendo che lo zar è stato ingannato da false informazioni dei suoi consiglieri, desiderosi di guadagnare una medaglia o qualche prebenda. Tuttavia da buon mercenario pare che voglia tornare a combattere per chi lo paga.
Non si hanno più nemmeno notizie di Putin che dopo gli strali lanciati dalla Tv moscovita contro Prigožin (“Ci hanno pugnalato alle spalle, ma difenderemo il nostro popolo e il nostro Stato. Non si ripeteranno gli eventi del 1917”) sembra sparito. Il suo portavoce Peskov ha dichiarato che lo zar è al Cremino e sta lavorando come al solito. Benissimo. Questa potrebbe essere la certezza che invece è scappato. Zelenskji si dice certo della fuga del suo nemico e che questa sia comunque l’inizio della sua fine.
In effetti Putin esce malconcio da questa vicenda. Si è fatto mettere sotto i piedi da un suo sottoposto e la sua immagine in poche ha perso moltissimo del carisma che aveva. La marcia zoppa di Prigožin sancisce comunque il fallimento di Vladimir Vladimirovich Putin e potrebbe davvero rappresentare l’inizio della sua fine politica.
In questa fase l’Occidente farà comunque bene a stare al balcone a godersi lo spettacolo. Se l’insurrezione per qualche motivo dovesse riprendere, dichiararsi a favore degli insorti sarebbe un boomerang catastrofico: i russi sono molto nazionalisti e nel momento in cui vedono minacciata la sovranità nazionale tendono a stringersi intorno ai loro comandanti, mentre se il conflitto rimanesse confinato all’interno della Russia le cose potrebbero andare diversamente. Sarebbe una questione tra russi, un affare interno. Insomma, quella guerra civile che Prigožin ha dichiarato di avere iniziato e che poi ha improvvisamente messo in modalità di attesa.
Nell’incertezza del momento, di una cosa siamo sicuri: che la storia non sia finita qui.
Innanzitutto l’obiettivo dichiarato di Prigožin era il vassoio con le teste di Gerasimov ma soprattutto di Shoigu. Al momento non si sa che fine faranno i due massimi incompetenti militari russi, però possiamo prevedere che essi, piuttosto che cadere da un piedestallo molto alto e farsi quindi molto male, cercheranno di disarcionare il loro capo, quel Putin sul cui futuro oggi scommetteremmo ancora meno che su quello della segretaria del Pd.