Una mortadella e bicchiere di barolo in più o in meno. Il caso Veroni e le cantine del Barolo


E’ consigliata la lettura di questo pezzo soprattutto per gli imprenditori e per coloro che s’impegnano in politica…


Il problema delle cessioni di attività economiche tradizionali italiane a gruppi globali, o anche solo ad aziende non persone giuridiche dello Stato Italiano, presenta cause oggettive, dovute cioè alla dinamica economica contemporanea, e soggettive, dovute cioè alla dinamica interna alle aziende del caso.
L’elenco delle cause che segue non è esaustivo ma riporta le tipologie principali.
Cause oggettive.
1. Remunerazione finanziaria maggiore del valore economico attuale sommato al valore patrimoniale.
Cause soggettive.
2. Aspettative imprenditoriali incerte, dovute a
a. Crisi familiari nei transiti generazionali;
b. Condizioni istituzionali circostanti che deprimono;
c. Incapacità di governo delle condizioni di prodotto/mercato di sovrasistema.
Di fronte a ciò, o ci si rassegna a che il soggetto economico (azienda) trovi una sua ricollocazione in un universo di differente alimentazione economico-patrimoniale (ad esempio un gruppo globale, oppure un’altra azienda, magari non persona giuridica cittadina dello Stato cui l’azienda ora appartiene) con conseguenti differenti aspettative, oppure è probabile che il soggetto economico vada incontro a un decesso.
Quindi, da ciò discende l’elementare criterio del “Primum, vivere”.

Ma…
Siamo sicuri che non ci possano essere altre soluzioni?
Siamo sicuri che la funzione di sopravvivenza e sviluppo non possa essere fornita anche altrimenti, sempre nel rispetto della fisiologia economica, cioè senza improponibili sostegni pubblici, dannosi alla qualità di gestione, cioè in extremis proprio disfunzionali, oltreché banditi dalle regole finanziarie della libera circolazione di beni e servizi?
La mia risposta è: NO!
Per le particolarità del Made in Italy (fatto in Italia) e dell’Italy Driven (determinato dall’Italia), ci sono anche altre strade. Ricordiamo che in Italia la industria ed il comparto macro-artigianale, e potremmo spingerci fino alle nicchie microscopiche, è riconducibile a due caratterizzazioni: 1. La realizzazione manifatturiera di componenti, spesso pregiati, relativi a prodotti finiti di prodotto/mercato governati da altre aziende (per noi soprattutto europee e in particolare tedesche); la padronanza di prodotto/mercato caratterizzati da materie prime e contenuti proprie esclusivamente del territorio, fisico e culturale, italiano. Le altre strade sono di tipo sistemico generale, cioè possiamo dire di Paese, oppure anche di area socio-economica, forse pure di Nazione: richiedono cioè azioni a livello di sovrasistema rispetto alla dimensione aziendale, e non del tipo aiuti e sovvenzioni, che sarebbe sbagliato, ma come azioni di valore sistemico di prodotto/mercato sovraordinato, con impiego di risorse anche statali per la necessaria conformazione di business.
Senza questo, il destino è 1. e 2. sopra.
Ma, RIPETO, la strada ci sarebbe!
È mancata finora e non si vede ancora l’intelligenza politica di percorrerla: purtroppo, questo deficit si chiama ignoranza e scarsa professionalità politica.
La prima speranza è quella di non far salire ignoranti alle posizioni di potere: ogni potere richiede contenuti, e questi si riconoscono in primis nei curriculum vitae.

In assenza di ciò, citerei soltanto 2 casi eclatanti e recenti di realtà economiche “Italy Driven”, per le quali è scattata la norma del “Primum vivere”, cioè la cessione ad altre economie.
Il caso della Veroni, mortadelle soprattutto, dove la proprietà, su un prodotto leader ma afflitto da alcuni elementi di tipo 2. sopra, ha deciso per una via tipo 1.
Il secondo di un’altra grandissima invenzione, cavouriana e quindi sempre italiana: dalle normali, pregevoli uve di Nebbiolo, la caratterizzazione geografica di Barolo (ma anche quella di Barbaresco, finanziariamente, però, meno patrimonializzata…) per competere con l’immagine dei grandi nomi dell’enologia francese, dopo il distacco dall’aura d’Oltralpe per ciò che seguì alla prima Guerra d’Indipendenza, fatta con Napoleone III… Ed ecco la news: “Shopping a Barolo: fondi e stranieri comprano vigneti e i produttori storici si indignano”.

Molto interessante, no? Il caso del Barolo e della mortadella sono potenzialmente quelli delle 1000 e 1000 varietà gastronomiche del territorio italiano: una piccola striscia di terra estremamente diversificata e rigorosamente caratteristica. Il mercato mondiale, le sue pregiate e molteplici particolarità le può gratificare moltissimo nel prezzo.
Ma cosa accade poi? Che ai prezzi di mercato acquisiti, gli italiani sarebbero costretti a bere cabernet sauvignon cileno, australiano o californiano e il Barolo delle Langhe (così come le suddette 1000 e 1000 specialità localissime italiane) potrà andare solo su certe tavole. Che fare, dunque?
Risposta difficilissima.
Negare la legge elementare della domanda e dell’offerta è perdente. L’idea di preservare contingenti di prodotto all’uso locale mi sembra illusoria.
Vediamo un ragionamento: la quadrivoluzione (globalizzazione, antropocene, mediatizzazione estrema e ginecoforia) dice che siamo di fronte a un fenomeno naturale, un poco come le migrazioni… i prodotti finiti si spostano dove sono meglio valorizzati, così come le persone dove l’aspettativa di sopravvivenza e di benessere è migliore.
Ius soli e ius terroir sono principi deboli: la geografia in tutti i suoi aspetti conta sempre meno, il mondo è tutto di tutti, sempre di più, e se un prodotto è scarso o di alta qualità, il suo mercato è mondiale e il suo prezzo consegue. Può non piacere, ma è così.
Certo che i fondi d’investimento, apolidi, sono i migliori vettori e velocizzatori di questo processo… e posso confermare che di diritto italiano o lussemburghese non cambia: operano su una dimensione economica globale e quadrivoluzionaria, che è identica. Perché identico è il tema del prodotto/mercato.
E quindi?
Verrebbe da dire, agli italiani, con tristezza: buon cabernet sauvignon…! Magari due bicchieri di più, così, per… dimenticare!
Perché, così finirà se non si sveglia la Politica, ma deve svegliarsi sana, intelligente e preparata. Perché per costruire quelle Aree di Destinazione Turistica che salverebbero capra e cavoli, ci vuole competenza, integerrima onestà e amore per la “Italia che è davvero” in questa epoca neo-diluviana.
La competenza è quella di conoscere il settore turistico “vero”, non l’HRC (Hotel, Ristoranti, Caffetteria) dei votarelli d’urna: quello dei flussi mondiali promossi da tour operator Globali, e che portano turisti che guardano sì il Colosseo, ma anche la spazzatura per strada e i ritardi degli autobus, che gradiscono l’intrattenimento serale identitario italiano magari in lingua inglese e che son pronti ad acquistare prodotti tipici e abbigliamento originale italico.
Senza consorzi pubblico-privati ben organizzati tutto ciò non si fa. E l’ha ben capito il Sindaco della più grande centrale turistica del mondo per intensità e attrazione: Venezia. O si fa così, come vorrebbe la civiltà umana del terzo millennio (ipotesi 1), o non si fa nulla e si lascia il prodotto turistico alla legge della domanda e dell’offerta, primitiva (ipotesi 2). Con esiti parallelamente primitivi: blocchi, chiusure, disagi, anziché programmazione, gestione dei flussi e piena valorizzazione dell’esperienza di chi arriva…
Ipotesi 1: il patrimonio si moltiplica.
Ipotesi 2: si continuerà a vendere il patrimonio.
Cioè, con 1 mortadelle e barolo in più, e più ricche e migliori, oppure con 2 sempre meno e peggiori.
Cos’è meglio, cari lettori?