Chitarra Acustica – Intervista al liutaio Antonio Giovannini


Mi chiamo Antonio Giovannini, sono nato e vissuto in Trentino fino all’età di 35 anni. Dal 2001 vivo a Caraglio in provincia di Cuneo. Sono sposato e ho 4 figli. Per 34 anni ho fatto l’insegnante.
Circa dieci anni anni fa mi sono appassionato alla liuteria facendola diventare un mio hobby.
Da poco più di un anno, ho deciso di lasciare l’insegnamento e diventare liutaio a tutti gli effetti.
Affascinato fin da piccolo dalla possibilità di lavorare il legno, mi sono dedicato alla scultura. In seguito, da adolescente, ho imparato a suonare il pianoforte e la chitarra. Ho provato a scrivere qualche canzone e da lì, passo dopo passo, ho pubblicato quattro CD e ho scritto e musicato alcuni Musical.
Alcuni anni fa ho provato quasi per scherzo a fondere queste due passioni: modellare il legno e comporre musica. L’idea di poter far “cantare” un pezzo di legno mi affascinava particolarmente e, così, ho provato a costruire una chitarra. Non potevo più fermarmi! L’emozione di suonare uno strumento auto costruito e il positivo riconoscimento dei miei lavori da parte di alcuni amici chitarristi mi hanno spinto a continuare.

La parola d’ordine che mi stimola ad iniziare ogni nuovo lavoro è: SPERIMENTAZIONE. Ho così ideato nuovi sistemi di catenatura della tavola armonica.
Oltre alla resa sonora, mi sono concentrato sull’ergonomia dello strumento, in particolar modo del manico, il punto d’appoggio principale del chitarrista. Ho quindi ideato il manico a sezione asimmetrica. Esso promuove due novità:

Permette alla mano sinistra un maggiore appoggio nella zona inferiore del manico (zona mi cantino) evitando così l’effetto “spigolo” dei manici tradizionali.
Presenta un elevato assottigliamento nella zona superiore con conseguente aumento del confort.
Inoltre, per aumentare la scorrevolezza, i manici Angy sono sempre finiti ad olio (Tru oil, Thung oil o olio di Lino) e non a vernice.
Molti di coloro che usano o che hanno provato una Angy, sono stati colpiti dalla comodità e scorrevolezza del manico. Il commento a caldo di alcuni è stato: “Sembra di suonare un’elettrica!”
Un ultimo dettaglio ergonomico che propongo riguarda un elevato arrotondamento degli spigoli della cassa nel modello “Pure”. Utilizzo, per smussare gli spigoli fasce – fondo e fasce – top, una fresa con raggio di 4 mm. Si ottiene così uno strumento senza spigoli che, a detta degli utilizzatori, permette di “calzare” la chitarra percependo quella comodità che si prova, talvolta, infilando un paio di comodi mocassini oppure pedalando su una bicicletta costruita su misura.


W.M.: Grazie di aver accettato l’invito destinato a questo spazio su WeeklyMagazine. Mi ha molto colpito la costruzione dei tuoi meravigliosi strumenti ed il progetto solidale dedicato alla Fondazione di Madre Teresa di Calcutta.

A.G.: Costruire una chitarra significa sagomare e plasmare una serie di meravigliosi legni che la natura ci dona. Se si parte da un dono ricevuto, mi sembra giusto restituire qualcosa. Ho pensato, quindi, di sostenere un progetto bellissimo: la Casa Madre Teresa. Si tratta di una struttura costruita da una mia cara amica, Daniela Salvaterra, che, circa venti anni fa, toccata nell’intimo da una bambina disabile abbandonata, incontrata durante un viaggio sulle Ande in Perù, decise di fermarsi e dedicare tutta la vita a questi piccoli sfortunati. In poco tempo gli ospiti crebbero di numero e oggi sono circa settanta. Il 30% del prezzo di ogni chitarra (al netto delle spese vive) viene mandato in Perù. Sul mio sito angyguitars.com si può vedere ed ascoltare un video dedicato ad Alexis, uno dei primi ospiti della casa che è già volato in cielo. In questo semplice, ma commovente video ho ripreso esattamente il testo del libretto che Daniela ha scritto per ricordarlo.

W.M.: Ci parli dei tuoi inizi di liutaio?

A.G. E’ partito tutto in modo molto particolare. Ricordo che da bambino provai a tendere dei fili di ferro su un pezzo di legno grezzo che, ovviamente, emise un suono indefinito e quasi impercettibile. Una decina di anni fa, un amico mi raccontò di suo fratello alle prese con la costruzione di una chitarra elettrica. La cosa suscitò in me uno stimolo che decisi di non sopprimere e così, pochi giorni dopo, mi ritrovai a cercare suggerimenti online che riguardassero i metodi costruttivi delle chitarre acustiche. Acquistai il legname necessario e mi cimentai in questa impresa che, in assenza di attrezzature idonee, mi occupò per diversi mesi. Alla fine nacque la numero uno, una Jumbo in Acero marezzato molto “pacchiana” nelle finiture. La feci provare ad un paio di amici che mi restituirono un responso non buono, ma sufficiente per infondermi la voglia di continuare… Suonava comunque molto meglio del pezzo di legno di molti anni prima! Arrivò, così, la seconda, la terza ecc. Dopo aver ultimato la quinta chitarra mi resi conto che qualcosa non mi convinceva totalmente. Mi chiedevo che senso avesse riempirmi la casa di strumenti troppo simili ad una marea di chitarre esistenti. Così, durante le vacanze natalizie, in Trentino, davanti ad una calda stufa accesa, provai a tracciare alcuni schizzi lasciandomi guidare da una buona dose di intuizione mixata con le poche conoscenze di fisica che possedevo. Il mio obiettivo era quello di sperimentare nuove catenature della tavola armonica, il cuore della chitarra stessa. Nacque così il brevetto DNA che caratterizza ormai ogni mia chitarra.

W.M.: A quali progetti costruttivi ti sei ispirato?

A.G.: Facendo seguito a ciò che ho detto sopra, si può intuire che non amo copiare progetti esistenti. Mi accorsi, però, ben presto che osare troppo, andava a cozzare contro i gusti della quasi totalità dei chitarristi. Decisi, cosi, di emulare, almeno per quel che riguardava la forma della cassa, gli stili delle chitarre più famose: Martin, Gibson ecc.

W.M.: Qual è la tua filosofia costruttiva?

A.G.: La cosa più importante è soddisfare le esigenze del chitarrista. Lo stimolo per continuare mi arriva sicuramente dai feedback dei clienti.
Mi sto accorgendo sempre di più che molti chitarristi prediligono strumenti esclusivi, con dettagli che li rendano unici. Infatti, i due aspetti più graditi delle mie chitarre sono il sound che deriva dalla catenatura DNA ed il manico a sezione asimmetrica che, a detta degli utilizzatori, ne migliora l’ergonomia. Questo tipo di manico (che utilizzo su tutte le chitarre) è più assottigliato nella parte superiore (quella in cui si muove il pollice) mentre è più generoso nella zona inferiore per permettere un appoggio più morbido al palmo della mano. Spesso, i chitarristi, quando provano una Angy, non si accorgono di questa asimmetria, ma rilevano una particolare comodità del manico stesso.
Un altro aspetto della mia filosofia è quello di offrire un prezzo equo. Personalmente ritengo poco corretto gonfiare troppo i prezzi potendo sfruttare magari un momento favorevole dell’azienda, ma, al contrario, anche svilire un lavoro di alta qualità artigianale proponendo prezzi esageratamente bassi. A questo riguardo, qualche anno fa, venni a sapere che, una mia chitarra veniva proposta, usata, in un negozio di strumenti musicali ad un prezzo cinque volte superiore a quello che avevo incassato da nuova. Probabilmente, io l’avevo sottostimata e, qualcun altro, aveva fatto il contrario. Per questo, cerco sempre di confrontarmi con i clienti stessi per cercare di non commettere errori.

W.M.: Che tipologia di legni utilizzi per i tuoi strumenti?

A.G.: Anche per quanto riguarda i legni vado un po’ controcorrente. Prediligo le essenze italiane non protette perché abbondanti sul nostro territorio. Oppure provo a sperimentare utilizzando legni considerati “poveri” come Noce, Acacia italiana, Pero, Ciliegio, Rovere. Se devo essere sincero, fatico a comporre la classifica dei legni migliori. Sono convinto che, a giocarsi la qualità finale dello strumento, siano in primo luogo i dettagli costruttivi, più che le essenze. Qualche anno fa, per esempio, un liutaio molto conosciuto nel panorama italiano, mi sconsigliò decisamente il Noce nazionale. Lo utilizzai comunque per le fasce e il fondo di una chitarra commissionatami da un amico. Ebbene, dopo averla provata, decise di vendere chitarre costose e, in questi tre anni, mi conferma periodicamente la sua predilezione per questo strumento.
In questi ultimi anni sto anche utilizzando due legni molto esclusivi:
– Il primo è il Maggiociondolo. Si tratta di un albero che cresce sulle nostre montagne, solitamente tra i mille e milleottocento metri di altitudine. E un legno molto elastico che, spesso, travolto dalle valanghe invernali, si piega ma non si spezza. E’ anche parecchio duro e il suo colore è molto simile a quello dell’oro. Qualcuno lo ha definito il “Palissandro europeo”. Purtroppo, però, è un albero che spesso cresce a cespuglio, o, in ogni caso, tende a ramificare dal basso. E’ quindi molto raro trovare esemplari dal diametro sufficiente per fasce e fondo di chitarra. Fortunatamente ho degli amici che vivono a stretto contatto con i boschi di alta montagna. Ogni tanto, molto gentilmente, mi donano dei ceppi interessanti di questa essenza. E’ nata così la Angy Alchimia. L’ho chiamata così perché nel Medioevo, il Maggiociondolo, oltre ad essere utilizzato per la costruzione di archi, era anche considerato un legno magico: tanto affascinanti i suoi fiori molto somiglianti al Glicine, ma di un colore giallo vivo, quanto velenosissimi i suoi frutti, simili a fagioli nel loro bacello.
– La seconda essenza esclusiva è un Abete molto particolare. Si tratta di un albero tagliato sul confine tra Italia ed Austria, sul versante nord della val Ridanna a quasi duemila metri di altitudine. Tutti questi elementi hanno fatto sì che questo abete sia cresciuto molto lentamente. Ebbene, nonostante il suo diametro alla base fosse di una cinquantina di centimetri soltanto, quando ho contato gli anelli di accrescimento, ho potuto con stupore constatare la sua età: circa 240 anni! Lavoro questo Abete con una certa riverenza ed un po’ di soggezione. Ho deciso di utilizzare i set che ho ricavato da questo Abete per una linea esclusiva che ho chiamato Angy “Centuries-old”. L’età di questo Abete è raccontata anche dalle finiture delle Centuries-old: la rosetta ricorda un orologio antico con incastonate le fasi lunari ed il cartiglio interno ne richiama gli ingranaggi. Su alcune versioni la paletta ricorda le forme di una clessidra stilizzata e, per finire, sul profilo laterale della paletta stessa, su una targhetta, è intarsiata la data di nascita dell’Abete: 1781. Per ovvie ragioni, la Centuries-old, è una serie a tiratura limitata. Il mese scorso, un cantante e chitarrista molto apprezzato nel panorama della musica italiana, ha scelto una Centuries-ol Dreadnought relic per le registrazioni dei suoi nuovi brani. E’ stata una bella soddisfazione.

W.M.: Ci parli del tuo brevetto “Dna”?

A.G.: Il DNA è il mio brevetto che si riferisce alla catenatura della tavola armonica. La mia idea era quella di provare a liberare il più possibile il perimetro della tavola armonica stessa dalle catene portanti (x-bracing). Per raggiungere questo obiettivo ho provato a piegare le catene in una sorta di DNA. Il risultato sonoro è stato subito apprezzato e, quindi, dopo un periodo di rodaggio e molti test caratterizzati da piccole modifiche, oggi, la catenatura DNA equipaggia ogni chitarra Angy.

W.M.: Ci parli delle varie tipologie di chitarre che costruisci?

A.G. Per quanto riguarda le chitarre acustiche, come ho già detto, propongo vari modelli che si rifanno principalmente alle Martin: 0, 00, 000, Dreadnought. Su richiesta di clienti ho realizzato anche il modello”Germoglio”, una chitarra acustica dalle dimensioni simili a quelle di un ukulele e una chitarra baritona. Da un anno a questa parte, cercando di soddisfare le richieste di alcuni clienti, ho creato una linea (Angy Pure) che potesse essere alla portata di molte tasche. Ho cercato di essenzializzare al massimo le finiture pur mantenendo intatti i dettagli costruttivi. Sono così riuscito a proporre una chitarra ad un prezzo leggermente superiore ai mille euro. E’ stata un idea apprezzata… Quest’anno ho avuto il mio bel da fare a costruire Angy Pure.
Ultimamente, su richiesta di alcuni amici, ho lanciato anche la Angy Nylon. L’idea era quella di proporre una chitarra classica dalle misure simili all’acustica (capotasto, diapason, action, forma del corpo), per permettere al chitarrista sul palco di passare da una tipologia all’altra senza incontrare differenze eccessive. Solitamente, queste chitarre, sono preferite per il live e quindi nascono già amplificate.

W.M.: Le chitarre acustiche sopportano una tensione importante per la tensione delle corde di metallo, il piano armonico con il tempo potrebbe deformarsi, per il tuo progetto hai già previsto qualora questo inconveniente dovesse verificarsi?

A.G.: In senso longitudinale (parallelo alle corde stesse) il DNA garantisce una tenuta ottima, maggiore dell’x-bracing, in quanto, le catene sono poste proprio in tal senso (longitudinale, appunto). La tenuta trasversale è, invece, garantita da una serie di listelli a raggiera che vanno scemando a pochi millimetri dal perimetro. Le prime Angy equipaggiate con il sistema DNA hanno ormai 8/9 anni e dimostrano una rassicurante stabilità. Ovviamente, tutto questo, se la chitarra è conservata con cura, prestando particolare attenzione all’umidità relativa dell’ambiente. L’umidità relativa ideale si aggira fra i 40/60%. L’aria secca è sicuramente quella più pericolosa per tutte le chitarre in legno massello… Ma questo è un discorso lungo e articolato che andrebbe ampiamente trattato.

W.M.: Ultimamente è nata la prima Angy elettrica, ce ne parli?

A.G.: Dopo essermi confrontato per mesi con chitarristi, ho costruito la prima Angy elettrica. Nonostante tutto, ho vissuto quest’esperienza come una sorta di tuffo nel vuoto. Il mondo elettrico non l’avevo mai esplorato e, di fronte alla infinita varietà di pick-up, ponti, selettori ecc. mi sono trovato spaesato. Dopo averla ultimata l’ho fatta provare ad un amico, bravo chitarrista, collezionista di Stratocaster. Ero pronto a tutto, anche ad una solenne bocciatura, ma con mio grande stupore, lo strumento è stato parecchio apprezzato. La scorrevolezza del manico e l’ergonomia generale sono state le caratteristiche maggiormente gradite. Sull’onda dell’emozione, in questi giorni ho rivisto leggermente la forma del corpo e della paletta e, prossimamente inizierò la costruzione della numero 2.

W.M.: Siamo alla fine di questa intervista, grazie per la disponibilità. Un caro saluto.