L’ultimo dei Medici


Quella della famiglia fiorentina dei Medici è una storia parallela che si allinea all’arte, alle battaglie, alle guerre di religione e anche alla finanze d’Italia.
Una famiglia di commercianti all’inizio poi di banchieri e persino tre papi diedero lustro ad una dinastia che parte dal XII secolo e finisce nel XVIII. Sappiamo quanto importante sia stato il mecenatismo di Lorenzo il Magnifico e il suo contributo all’arte, alle lettere e alla filosofia, ma le fortune della famiglia furono alterne, con due cacciate da Firenze, il duro scontro con Savonarola e infine la Riforma che vide un Medici, Clemente VII, a trovarsi Roma invasa dai Lanzichenecchi.
L’ultima fase della storia dei Medici li vede in declino impietoso, afflitti da una mania di grandezza che non risparmiava agli abitanti del granducato di Toscana tasse e balzelli, incuranti del tutto dello sviluppo dei propri sudditi, incapaci di gestire una pestilenza devastante, vittime essi stessi di vizi e depravazioni
Al tempo di Cosimo III (siamo sul finire del ‘600) possiamo collocare l’inizio della fine: sposò malvolentieri Margherita Luisa d’Orléans ed ebbe tre figli, ma fu per pura ragione di stato e necessita di un erede; per il resto preferiva appartarsi con paggi e domestici. Tuttavia non fu l’omosessualità latente degli ultimi Medici il segno del loro declino ma l’incuria e l’apatia in cui vivevano, tra il fasto e i lustrini, ed un cattolicesimo esasperato che portò ogni altra forma di conoscenza in subordine alla teologia. In questo periodo furono le consorti blasonate ad instaurare una sorta di matriarcato. I figli di Cosimo non erano migliori del padre, Ferdinando, il maggiore morì cinquantenne di sifilide, la figlia Anna Maria Luisa era sterile. Fu quindi il terzo figlio, Giovanni Battista Gastone de’ Medici, meglio noto come Gian Gastone, l’ultimo dei Medici. Omosessuale dichiarato, incapace di giacere per procacciarsi un erede con la consorte, Anna Maria Francesca di Sassonia, passava le sue giornate a letto senza mai lavarsi, persino la servitù evitava il lezzo che emanava; amava invece farsi insultare e maltrattare da sgherri rimediati nei tuguri più malfamati e con loro divideva il letto.
Nei suoi quattordici anni di regno, nonostante il cattivo stato di salute (per non farsi mancare nulla era anche alcolista), qualcosa di buono cercò comunque di fare, tentando di rimediare al malgoverno paterno, stabilendo la separazione tra Chiesa e Stato, ridando un minimo di vitalità alla cultura e abbassando le tasse. Nonostante tutto era sensibile e intelligente e si dedicò anche ad interessi scientifici (in particolar modo alla botanica), divenendo uno dei più colti principi del suo tempo: conosceva, tra le altre cose, il greco, il latino, lo spagnolo, il francese, il tedesco e perfino l’inglese, lingua quest’ultima ancora poco studiata presso la nobiltà europea.
Quando morì, nel 1737, il granducato passò secondo gli accordi agli Asburgo-Lorena, in pratica agli austriaci i quali, non contenti di aver acquisito un regno, depredarono i preziosi beni artistici di famiglia portandoli in patria. Ad arginare i danni fu Anna Maria Luisa con un gesto finalmente degno dei Medici: un patto in cui donava a Firenze i residui oggetti d’arte.