PsicologicaMente – La ristrutturazione cognitiva


“Non esiste nulla di buono o cattivo, ma è il pensiero che lo rende tale” (W. Shakespeare).

Cari lettori, quest’oggi vi propongo un argomento che scaturisce dalla riflessione sull’approccio che sarebbe meglio adottare innanzi ad ogni nuovo paziente.
Valutavo che, tra i tanti, uno dei compiti di un bravo terapeuta è quello di illustrare sin da subito, alla persona che prende in cura, in che modo ed attraverso quali tecniche si attuerà la relazione di aiuto, e questo affinché si senta coinvolta e si renda ella stessa fautrice della sua “guarigione”.
Proprio per tale motivo non è raro che mi trovi a parlare ed a spiegare in cosa consiste la “ristrutturazione”.
Si tratta di una tecnica che si concentra sui nostri pensieri, attraverso la quale si insegna alle persone a trasformare i pensieri disadattivi con pensieri di diversa natura che le aiutino a ridurre il loro status di sofferenza e di stress.
In effetti, la ristrutturazione è una delle principali tecniche cognitive di condotta che un terapeuta deve inerire nel suo repertorio, si basa sul principio per cui: se si cambiano certi pensieri, si possono cambiare le emozioni che ad essi si associano, e questo ci consentirà di stare meglio.
La definizione di “ristrutturazione cognitiva” nasce all’interno della terapia cognitiva classica, i cui fautori sono stati Ellis (con l’ABCDE) e Beck.
Entrambi sottolinearono l’importanza, ai fini di una terapia efficace e risolutiva, di ristrutturare il vecchio pensiero del paziente, quello mosso da credenze irrazionali e schemi maladattivi al fine di rendere la sua mente tabula rasa per accogliere un pensiero, viceversa, positivo.
I due studiosi indicarono uno schema da seguire nell’ambito del percorso terapeutico.
Primo passo, quando il soggetto viene in seduta per la prima volta, è quello di indagare il problema, quindi si esplicita la situazione (A), poi si isolano le emozioni e i comportamenti del paziente (C) e i suoi pensieri (B), tutto ciò viene poi ulteriormente approfondito per capire quali sono quelle distorsioni cognitive che egli adopera maggiormente (catastrofizzazione, terribilizzazione, doverizzazione, intolleranza alla frustrazione, autosvalutazione), si indaga ancora su come e dove le ha apprese o imparate nel corso della vita, infine si delinea e si restituisce al paziente il modello di personalità che sembrerebbe appartenergli.
Concluso questo iter passiamo ad approfondire le informazioni anamnestiche del paziente, ed alla somministrazione dei vari test che ci permetteranno di circoscrivere i sintomi sulla base delle varie categorie diagnostiche.
Inutile dire che bisogna considerare che i disturbi non si possono delineare in modo netto ed insindacabile, essi sono sfumati tra di loro e posso presentare un livello di gravità che varia sulla base di molteplici elementi, pertanto sarà necessario restituire questa evidenza al paziente e nel modo più realistico possibile.
Si giunge così a quella che si potrebbe definire la parte più bruciante ed ostica del procedimento, ovvero la disputa cognitiva e quindi la ristrutturazione effettiva e definitiva.
Questo passaggio consiste in una vera e propria opera di convincimento e demolizione, che noi chiamiamo “disputa”, e che presuppone la necessità di scandagliare e mettere in discussione le credenze irrazionali del paziente attraverso stili differenti:
– disputa logica: perché deve essere così? sulla base di cosa?
– disputa empirica: è possibile fare dei paragoni, degli esempi? è stato sperimentato? che prove abbiamo per dire questo?
– disputa pragmatica: a cosa è finalizzato questo ragionamento? valutiamo i vantaggi e gli svantaggi di questo pensiero…
– disputa invertita sul controllo: cosa accadrebbe se non facesse questa cosa/ ragionasse così?
Insomma l’obiettivo della disputa è far comprendere nel migliore dei modi al paziente che i pensieri sono solo e soltanto pensieri, appunto, ed ,in quanto tali, sono ben lontani dalla realtà.
Soprattutto sarà importante veicolare il messaggio per cui convincimenti così invasivi tendono ad imporre un imperativo che causa una sofferenza emotiva non giustificata ed, in ogni caso, sproporzionata e dispendiosa.
L’obiettivo da raggiungere sarà lasciare che il paziente interiorizzi la disputa avvenuta durante la seduta per renderlo poi in grado di attuarla allorché sarà solo e dovrà contrastare quel rimugino costante ed ansioso ovvero quella profonda depressione che lo tormenta, quel pensiero di perfezionismo e controllo che lo limita nel quotidiano.
Quindi, cosa avviene dopo la disputa? Dovrebbe potersi realizzare la ristrutturazione cognitiva, cioè un radicale cambiamento di rotta dei pensieri e delle credenze irrazionali in favore di pensieri più adattivi e funzionali, che permettano al paziente di gestire e diminuire significativamente la sintomatologia clinica.
Quale meccanismo si innesca nel paziente? Egli impara a dirimere il suo rimugino, il suo negativismo e pessimismo, proprio quando si accorge che sta diventando predominante, si sottopone le stesse domande che gli fa il terapeuta e cerca di mutare questi pensieri in altri più positivi.
Contemporaneamente il paziente potrà allenarsi a mettere in atto ciò che ha imparato in seduta al fine di controllare le emozioni negative, ad esempio pensiamo alla respirazione ed al rilassamento di Jacobson nel caso di una cattiva gestione dell’ansia.
E’ il nostro corpo che, naturalmente e per il tramite della mente, crea pensieri, anche quelli negativi, e questo poiché, laddove si innesca una situazione di instabilità, sono le emozioni negative a segnalarlo ed a lanciare un allarme.
Tutti noi impariamo ad essere ansiosi e depressi a seguito del fatto che ci convinciamo che lo siamo e quindi ci comportiamo da tali, pertanto sarà necessario allenare mente e corpo nel senso contrario. Ecco il motivo per cui la terapia cognitivo-comportamentale è una terapia evidence-based: va a lavorare e ad insistere sulla componente cognitiva e somatica del disturbo.
Quindi “ristrutturare” significa cambiare il modo di percepire le cose e gli avvenimenti della vita, attribuirgli un senso diverso e favorevole.
Sono le nostre credenze che influenzano la nostra visione ed interazione col mondo.
E’ un pò come fotografare sempre lo stesso soggetto, proviamo a cambiare luce ed angolazione, quindi anche il punto di osservazione e ci troveremo difronte scenari insospettabili e che ci meraviglieranno nel senso positivo del termine!
Cari lettori, questo odierno è l’ultimo articolo prima delle tanto agognate ferie estive, vi lascio con questo augurio di positività e di trascorrere al meglio queste vostre vacanze: sia che partiate sia che restiate, godete ogni attimo e cogliete il giusto senso delle cose.
Arrivederci a Settembre!

Notazioni Bibliografiche:
• “ Fondamenti di cognitivismo clinico.”, C. Castelfranchi, F. Mancini, Bollati Boringhieri.
• “Guida alla ristrutturazione cognitiva.” A. Nisi, Positive Press.
• “Il Colloquio in psicoterapia cognitiva”, Ruggiero, Sassaroli, Raffaello Cortina.