I fucilieri Latorre e Girone resteranno in Italia. Una sonante vittoria? Forse non proprio


Era il 15 febbraio 2012 quando due fucilieri della nostra Marina Militare, imbarcati sulla petroliera civile Enrika Lexie con compiti di anti pirateria, una funzione poco avvedutamente affidata ai militari piuttosto che a normali contractor civili (NDR: come è per le navi di quasi tutte le altre nazioni), si trovarono invischiati in un caso internazionale finendo per essere stritolati come contenitori di coccio tra vasi di ferro, nelle maglie della ragion di Stato.

La versione indiana dei fatti fu che a circa 20 miglia dalla costa del Kerala fu avvistata un’imbarcazione: scambiando il movimento della nave per un attacco, i fucilieri aprirono il fuoco. Il bersaglio preso di mira, però, era il peschereccio St. Anthony, scambiato per una nave pirata. Sotto i colpi dei militari italiani cadddero due pescatori indiani. La Enrica Lexie, inspiegabilmente rientrata nelle acque del Kerala, fu subito posta in stato di fermo da parte della polizia indiana e Latorre e Girone arrestati con l’accusa di omicidio: dopo alcuni giorni di permanenza a bordo furono trasferiti nel carcere indiano di Trivandrum.

Da questo momento, ci furono vari episodi del tutto inspiegabili (NDR: che portarono anche alle dimissioni del Ministro degli Esteri Giulio Terzi), tra cui il rientro in patria dei fucilieri e il loro successivo ritorno nelle carceri indiane.

Poi, anche a seguito del fiume di denaro in termini di risarcimento che l’Italia ha versato, nel 2014 è ritornato in Italia Latorre (NDR: per ragioni sanitarie) e poi, nel 2106, anche il più giovane collega Girone.

Nel frattempo l’Italia si appellò al tribunale internazionale del diritto del mare, che ha sede all’Aja: l’arbitrato internazionale venne attivato il 26 giugno 2015 con la richiesta di stabilire a quale dei due paesi tocca esprimersi sull’episodio della Enrica Lexie.

A questo punto, in attesa della pronuncia, l’India sospese ogni procedimento giudiziario nei confronti dei fucilieri.

La decisione del Tribunale dell’Aja arriva oggi, dopo ben otto anni e mezzo di traversie, stabilendo che la competenza di giudicare l’operato di Latorre e Girone spetta all’Italia che, a sua volta, ne risponde all’India.

A parte il trascorrere del tempo così dilatato, nonostante sia lapalissiano che la competenza fosse italiana trattandosi di azioni compiute da militari italiani, imbarcati su una nave italiana ed in missione per conto del Governo italiano, non mancano ancora fortissimi dubbi su come siano andate effettivamente le cose.

Il professor Siskalla, anatomo-patologo dell’università di New Dely, durante l’autopsia a uno dei due pescatori estrasse un proiettile calibro 7.62, perfettamente descritto nelle sue misurazioni. I fucilieri di Marina usavano però fucili AR 70 90 che camerano proiettili calibro 5,56. Dovrebbe essere sufficiente questo, se non bastasse la posizione rigida e in alto del braccio di un pescatore, che indica a circa 20 ore prima la morte, la discordanza degli orari, i fori nel peschereccio dal basso verso l’alto e dall’altro, a decretare il la totale e assoluta estraneità dei fucilieri di Marina, i quali respinsero un effettivo attacco di un barchino di pirati alle ore 17 con dei colpi di avvertimento in mare come correttamente riportato sui registri internazionali.

Inoltre il Capitano del peschereccio, durante l’intervista della televisione indiana, tutto agitato, giunto in porto alle 23, riferì come orario del fatto le ore 21, ossia un momento in cui la Lexie era già lontana dal posto ove era avvenuto l’uccisione dei pescatori.

C’è anche da dire, guarda caso, che i piccoli guardiacoste dello Sri Lanka usano vecchie armi sovietiche e camerano proiettili 7.62, insomma munizioni compatibili con le risultanze medico legali e che la Guarda Costiera indiana già in passato aveva avuto scontri a fuoco con pescherecci per gli sconfinamenti di questi ultimi nelle pescose acque del Kerala.

Inoltre l’arresto dei Marò Latorre e Girone forse si deve leggere anche attraverso le maglie delle vicende politiche locali del Kerala, in quel momento in odore di elezioni, ed avverso avverso alla fazione d’opposizione capeggiata dalla italiana Sonia Gandhi, oltre alla opportunità di smentire l’incapacità delle propri Guardia coste a fronteggiare l’irregolare sconfinamento dei pescherecci nelle acque dello Sri Lanka. Non ultimo, infine, il pasticcio inerente una fornitura di elicotteri all’India da parte di Agusta Westland e l’intrigo politico e giudiziario scaturito da un giro di mazzette.

Sia come sia ora arriva la decisione del tribunale dell’Aja, che per un verso dissolve lo spettro di un ritorno dei due militari nelle grinfie della (in)giustizia indiana (NDR: ma non mette ancora tecnicamente fine alla vicenda giudiziaria), dall’altro non pare proprio una vittoria nel senso che la gente comune darebbe alla cosa.

L’Italia, infatti, oltre ai circa 300 mila euro già versati a titolo di risarcimento (non si capisce perché non essendo ancora accertata la verità, se non considerando questi soldi un vero e proprio riscatto per vedersi affidare i due militari come doveva essere sin dall’inizio volendo rispettare le norme del diritto internazionale), è facile supporre che si accollerà ogni ulteriore addebito e pagherà ancora in termini di risarcimenti monetari, confermando la ben poco edificante nomea che è il bancomat dei paesi che si comportano in modo arrogante con lei addossando di fatto la colpa e la responsabilità morale della morte dei pescatori ai fucilieri Latorre e Girone, a cui si riconosceranno le attenuanti per aver agito per una sorta di difesa putativa, cosa per la quale è altrettanto facile supporre possano essere assolti.

Insomma una soluzione politica “all’italiana” dove a restare col cerino in mano acceso e a pagare sembrano essere sempre i più deboli. Da un lato, infatti, restano i pescatori della cui morte non si sono individuati i veri responsabili e dall’altro, senza contare i soldi pubblici spesi per “facilitare” la giustizia tra i due paesi nel senso del rispetto del diritto internazionale, i nostri fucilieri che, pur assolti, hanno già scontato anni di ingiusta reclusione in India e dovranno comunque probabilmente sopportare il peso morale di un ingiusto addebito colposo.