Il contagio del terrore


Dissertazione sulla pandemia della disinformazione e la strategia del terrore con le illustrazioni di Igor Belansky.

Terrore. Terrore. Benvenuti nel tempo del terrore. È un terrore contagioso, un loop perverso che può minacciare la sfera quotidiana: le strade, i locali pubblici, la politica, gli ospedali, le scuole e i tribunali, attraverso i media. Il terrore è stato in questi anni un protagonista assoluto. Violenza, crisi economica, calamità, inquinamento, incidenti e disgrazie collettive, fantasmi politici… Prima fra tutte è poi la paura dell’impronunciabile, la morte: l’ossessione di chi pratica il culto dell’estetica e dell’eterna giovinezza.

Seppure la storia ci insegni che non apparteniamo ad una società particolarmente insicura, rispetto ad altre epoche assai più cruente, più esposte e meno attrezzate, stiamo sostituendo alla realtà una percezione falsata della stessa, soggettivista, edonistica e del tutto emotiva. Abbiamo smesso di osare, di tentare nuove imprese, di rimetterci in gioco. Ci spaventa ogni rischio d’insicurezza ed ogni evento dannoso, doloroso o spiacevole. Con un piede nell’immanenza e un altro nella stranezza, terrorismo e virus sono soltanto due espressioni parallele dello stesso vulnus. Le situazioni sono tipiche. Scene pulp, da videogioco ma a volte vere…Quando vedi tanto sangue per terra inizi a palparti, che in quel sangue non vi sia anche il tuo. Inizi a entrare in un’ansia spasmodica. Cerchi di assicurarti che non vi siano ferite sul tuo corpo, che per caso, senza che te ne sia reso conto, tu sia ferito. A differenza degli altri, di fronte all’atrocità di una fine sempre malvagia, l’attentatore sarà stato indottrinato al punto di non potersi dimostrare temporeggiatore, cinico o pavido. Non come un mero osservatore esterno o un freddo notaio.

Il suo addestramento lo renderà capace di saper contemplare l’anticipazione, la previsione, la sperimentazione oltre, chiaramente, l’azzardo. Tutto è stato ad arte voluto, che sia il di settaggio del conto alla rovescia sul congegno esplosivo, il puntamento preciso dell’arma da fuoco o la manovra del mezzo lanciato nella sua folle corsa. Ma è tutto vero fino in fondo? Il lupo mannaro ad esempio, è un uomo a tutti gli effetti, ma per sua sfortuna, tende a trasformarsi (contro la propria volontà) durante il plenilunio, … Nell’istante immane, non c’è il tempo di pensarci sopra, però. Nessuno lo ha: l’esecutore spietato, il bersaglio prescelto o la folla ignara. Che non si sappia se sia valsa la pena di vivere è evidente, proprio nessuno lo può più immaginare. Ma senza dubbio è valsa la pena di morire? Di intraprendere un’operazione così assurda? La Nera Signora userà la sua falce per colpire duro. Lo farà, non solo per mietere le vittime, ma anche affinché l’atto accaduto sia giustificato. Sia legittimato attraverso la parola (la parola che può creare la distinzione da quello che solitamente chiamiamo il “gesto di un folle”). E qui senz’altro si allude alla notizia, ormai sulla bocca di tutti. Ormai ufficiale. Diffusa da ogni fonte, istituzionale e mediatica, assieme ai messaggi subliminali del caso. Nella funzione di complementare l’efferatezza di un’azione nel suo farsi ideologica. Certamente, il terrorismo può costituire un mezzo tattico. Un’arma di lotta come altre, al servizio di una certa politica, di una certa ideologia. E, in determinate circostanze, il ricorso ad una tattica che può rivelarsi vincente. La nostra attualità non fa che insistere su questo punto. Ma ciò non significa che non esista una fondamentale contraddizione nello stabilire una relazione univoca tra terrorismo ed una data ideologia. Per questo non capiremo nulla finché continueremo a parlare di terrorismo rosso, nero, internazionale o islamico.

E poco serviranno le varie “diagnosi” sugli “anni di piombo” in Italia, sui fatti che sono seguiti all’11 settembre, o altri simili, per riscontrarvi osservazioni e tesi smentite radicalmente da quanto è poi avvenuto, per vanificare ogni risposta. Seppellire ogni prova e memoria. Capiremo forse il terrorismo, invece, soltanto pensando alla contraddizione ad esso interna, e seguendone il suo sviluppo. È una dinamica che abbiamo già visto e probabilmente rivedremo. Lo ripetiamo: è grazie all’ideologia che il terrorismo può realizzarsi, producendo, attraverso gruppi clandestini rivoluzionari o eversivi, le proprie conseguenze nefaste, basate su violenze indiscriminate e destabilizzanti (uccisioni, sabotaggi, attentati dinamitardi, ecc.), con modalità che possono costantemente ritornare, accadere, ovunque. Questi sono i tratti principali che, in estrema sintesi, rappresentano, nei tempi odierni, la propagazione del terrorismo. Quanto esso possa essere insidioso. Ed ora introduciamo una considerazione sorprendente. Può apparire un mero parto della fantasia, ma così non è, speculando comparativamente su modelli sociali e modelli medici, vi è stato chi ha tentato di stabilire analogie fenomenologiche tra le dinamiche del terrorismo e quelle dei virus più letali. Al riguardo, la constatazione più immediata si fonda sul vissuto delle recenti ed attuali generazioni. Gli episodi che esse avrebbero da narrare. Laddove, ad esempio limitandoci alla nostra storia nazionale, il clima indotto dal terrorismo coinvolse tutti, nello stesso modo di come in forma generalizzata sta impattando le vite dei singoli il coronavirus. Le diramazioni complesse delle formazioni eversive si presentano come i meccanismi di trasmissione di un’infezione virale. Inaspettata e invisibile. Perché? Non è francamente possibile capire se chi ti sta accanto (amico, conoscente o collega) sia un terrorista attivo (un contagiato con sintomi più o meno gravi) od anche solo un fiancheggiatore (un “asintomatico” insomma). In entrambi i casi si determina un radicamento nel profondo del tessuto della società, in modo subdolo ed incontrollabile. Un’altra similitudine è rappresentata dalle possibilità di estensione geografica e penetrazione fra le popolazioni dei due fenomeni. Vi possono essere aree, circoscritte o meno, in qualche modo sostanzialmente indenni all’“espansione” terroristica. Invece altre, su una scala territoriale ampia a livello regionale, nazionale o internazionale, possono esserne toccate. Così, il tenore dei focolai virali può rimanere endemico, evolvere in modo epidemico e, eccezionalmente, causare una pandemia. Inoltre, il carattere regolare e ripetitivo delle epidemie stagionali è legato al fatto che determinati virus sono in grado di evolvere costantemente con un meccanismo di slittamento antigenico. Ed è praticamente impossibile in assenza di tali condizioni. Una “stagione” di terrorismo, altrettanto, dura, si protrae finché riesce a imprimere sulla società le proprie manifestazioni terribili, improvvise e diffuse; è invece storicamente superata quando questo diventa impossibile, qualcosa di atteso e prevedibile. Per esistere, il terrorismo deve ideologizzarsi. Questa ideologizzazione gli fornisce per esistere una ragione, che può costantemente ritornare, accadere, ovunque al ripetersi ad ogni mutazione di ideologia. “Prevenire è meglio che curare” è fuori di dubbio tra i proverbi più popolari. Oserei dire che sia di una attualità sorprendente dal momento che viviamo in una società perseguitata e, talvolta, ahimè paralizzata, dal rischio per qualunque cosa. Al punto che la frase risulta tra le più gettonate negli slogan televisivi e negli articoli delle riviste di ogni genere. D’altra parte, è pressoché impossibile non essere d’accordo su un concetto generale così realistico, espresso con un linguaggio chiaro e inconfutabile, che si può direttamente applicare al tema che stiamo esaminando…Ecco come. Le mutazioni virali, specialmente nei fattori riconosciuti dagli anticorpi, sono i principali obiettivi della risposta immunitaria. È in gioco, qui, la patogenicità dei virus, anche se fortunatamente la maggior parte dei milioni di infezioni si presenta senza particolari complicanze. In effetti, per i pazienti con fattori di rischio chiaramente individuati, il contagio può comportare gravi morbilità e mortalità. La sfida negli ultimi anni è stata, quindi, quella di disporre di strumenti di diagnosi più veloci nell’ultimo decennio, con particolare attenzione ai casi ospedalizzati.

Questo ha permesso di valutare meglio l’impatto dei virus e di capire meglio la loro patogenicità. A livello nazionale e sovranazionale, europeo ed extraeuropeo, in base alla collaborazione fra i servizi di intelligence, sono state negli anni predisposte, sempre più avanzate misure, di prevenzione e contrasto del fenomeno terroristico, nelle sue varie forme, introducendo una complessa attività informativa. Passi enormi sono stati compiuti, anche se il pericolo può incombere in ogni momento e la segnalazione tardiva, intempestiva, talvolta è solo quella che fa scattare l’allarme. L’allarme a cui, nella perversa logica di chi manovra le trame oscure, deve seguire il panico sociale, con le sue circostanze, per cui non appena si esce di casa – giovani o anziani non fa alcuna differenza – si è colti un senso di malessere diffuso, soprattutto, ma non solo, se si risiede in una grande città. Guardare, e riguardare, con diffidenza e sospetto, come anche avviene nel caso di una epidemia minacciosa, il passante, il malintenzionato, l’untore di turno, che si avvicina. In particolare, quando si è costretti a sostare alla fermata dei mezzi pubblici o quando si sale sugli stessi. La saga della paura…Non si vede l’ora di tornare a casa, l’unico posto in cui ci si sente realmente al sicuro.

L’invenzione del “lockdown totale” e del “distanziamento sociale” … La paura del contagio è atavica, umana, originaria, quanto illogica e a volte superstiziosa… quella del terrorista viene tradotta con un’accusa etica, carica di valenza ideologica e di fanatismo. Ma non c’è alcuna base scientifica, ideologica o fanatica nella paura; è solo una diffusa, elementare, protettiva paura della contaminazione o della violenza, dei relativi agenti possibili e presunti. Altro elemento la riduzione del rischio. In Medicina, lo sviluppo di farmaci antivirali può anticipare o completare efficacemente l’arsenale terapeutico, che può anche includere un vaccino, quale soluzione definitiva, per attenuare gli effetti più o meno gravi, sino alla mortalità, associati ad un’infezione. Acceso è stato il dibattito. Coronavirus, la guerra dei virologi: scienziati star della tv tra anatemi e smentite. Terrorismo, domande sempre vere e risposte spesso sbagliate. L’efficacia di provvedimenti di legge, nei termini della certezza della pena, come pure ad esempio l’introduzione di una disciplina che incentivi la desistenza ed il ravvedimento (con la denuncia dei complici) dei militanti (i pentiti), da un lato… La sensibilizzazione attraverso scuola e cultura, il contenimento di malcontento e disagi morali ed economici della popolazione, al fine di intercettare la possibilità di adesioni da persone più fragili, bisognose o emarginate a frange eversive, dall’altro… Combinazioni che possono far sì che fasi terroristiche, che sembrano impossibili da sradicare tanto sono compenetrate nella società, che durano anni con un’escalation progressiva sempre più accentuata, che hanno la propria acme in stragi immani, lentamente inizino a declinare. Pur continuando a manifestarsi con attentati di minore entità… A partire da questi fattori, una società che sviluppi propri anticorpi, ossia un vero e proprio “vaccino”, avrà alla fine la certezza di sconfiggere un movimento clandestino. Allorquando esso mostri già di per sé un principio di consunzione, per effetto del progressivo isolamento ideologico delle varie cellule eversive. Si potrebbe così affermare che, tra le aree civili più esposte alla sedizione, si venga a creare una sorta di “immunità di gregge”. Insomma, analizzando fenomeni terroristici e virali si possono intravedere molteplici similitudini formali. Evidenziate con maggiore sensibilità nel momento di restrizione collettiva che abbiamo recentemente attraversato, che può rivelarsi un’esperienza traumatica e molto impegnativa per chiunque… Sia che si tratti di attacchi panico, di ansia persistente od entrambi, la cifra sta ancora nella capacità tutta umana di superare ogni difficoltà, risolvere ogni enigma, che rende il mondo in cui viviamo incomprensibile, imprevedibile. Ma se non vogliamo una società vigliacca che ha paura anche della propria ombra e rinuncia a vivere pur di salvare la vita, non si tratta solo di punire i colpevoli e gli untori, perché siamo in presenza di un processo generato da più cause e con più attori. Occorrono gesti concreti, che vanno al cuore dei problemi. E se ripensassimo la vita pubblica all’insegna del noi, dell’appartenenza, del vivere comunitario anziché sempre e solo la protezione dalla paura? Le società non reggono sulla paura ma si sfasciano. Si, prevenzione, attenzione, capacità di isolare i focolai e gestire l’emergenza, ma non basta. È spaventosamente difficile rinunciare ai nostri sofisticati meccanismi di difesa individuale e collettiva. Timore, ansia, paura, panico, terrore, …Dunque si tratta di reagire, rispondere con efficacia, senza farsi illusioni. Non sarà sconfitto definitivamente, oggi il terrorismo esorcizzato dalle commemorazioni ufficiali e dall’arte della retorica, che tempestano i media. Con parole che disumanizzano, uccidono, fanno scomparire il nemico invisibile, riducendolo semplicemente alla categoria dei non umani, dei mostri della natura. A volte, il terrore viene ingentilito e indossato a rovescio: dietro la retorica della speranza talora si nasconde la bestia nera della paura. Una sana, realistica disperazione è invece il miglior vaccino contro la paura. Non possono esservi soltanto dei criminali, creature diaboliche che uccidono senza ragione, senza lo sforzo di tentare di capirne gli impulsi, la logica interiore. La visione del mondo, la storia che narrano a sé stessi.

Descrivere il nemico significa prima di tutto pensare al nemico. Cosa cui è ovviamente tenuto chiunque abbia un nemico, seppure abbia perfetta consapevolezza di essere dalla parte della giustizia, anche se si è sicuri della cattiveria, della crudeltà e dell’errore di quel nemico. Esiste quindi un limite intrinseco. Un tema su cui varrà la pena di meditare profondamente: occorre riuscire a trasmettere alle generazioni successive alla nostra il desiderio e la voglia di conoscere il fenomeno del terrorismo. Ovviamente, la speranza è che, sempre oggi, si riesca pure ad abbattere l’ultima temibile insidia che si è palesata al nostro cospetto delle nostre certezze, il Covid 19. Che sia sufficiente una battaglia comune di pochi mesi (e non di anni), con l’augurio che, dopo, le nostre vite possano riprendere i ritmi consueti, permettendo ad ognuno di noi di riassaporare quei gesti – che sino a ieri elargivamo in forma scontata – quali strette di mano ed abbracci. Riuscendo finalmente così a comprendere sino in fondo il loro grande significato, perché, in realtà, noi tutti siamo interconnessi fisicamente e spiritualmente. E rimarrà ancora una di quelle domande alle quali non siamo in grado di fornire una risposta sicura… Un giorno, i giovani che stanno vivendo questa realtà riusciranno a far comprendere alle generazioni future come si viveva in Italia (e nel Mondo) ai tempi del coronavirus?