Cialtroni e cialtronerie


Il dottor Roberto Burioni è salito agli onori della cronaca con l’arrivo della pandemia, come immunologo ed esperto di malattie infettive, dopo un violento scambio di opinioni con Red Ronnie in quale aveva definito il vaccino “una follia”. Personalmente ritengo che discutere con Red Ronnie abbia la stessa utilità di lavare la testa a un asino: si butta via acqua, tempo e sapone.
D’altro canto ho avuto esperienza di parecchi dibattiti televisivi in cui Burioni non si è comportato in modo adamantino, sostenendo spesso tesi discutibili (almeno per una parte degli spettatori) senza accettare il confronto con opinioni sicuramente autorevoli come ad esempio quelle del compianto premio Nobel prof. Montagnier. Volendo continuare coi paragoni zoologici, era un po’ come assistere ad una partita di scacchi con un piccione, il quale alla fine se ne andava impettito dopo aver sbattuto a terra tutti i pezzi (le opinioni altrui) e dopo averci scagazzato sopra.
All’inizio della pandemia, Burioni ha per alcuni giorni monopolizzato l’opinione pubblica con le sue battaglie a favore della vaccinazione ma nel tempo ha sovente espresso opinioni che andavano al di là delle pure conoscenze scientifiche, attirandosi gli strali non solo dei no-vax, ma di buona parte del pubblico che da principio lo aveva seguito sui social media e in televisione.
Ultimamente, con il regredire definitivo dei contagi, era sparito dalla scena pubblica, per ricomparire in questi giorni con questa delirante affermazione, pubblicata lo scorso 9 marzo su Twitter alle ore 18,39:
“Qualunque affermazione scientifica si basa sui dati disponibili. Se i dati sono incompleti o addirittura falsi è ovvio che l’affermazione stessa può risultare scorretta o falsa, ma la colpa è di chi ha omesso o falsificato i dati, non di chi ha fatto l’affermazione.”
Quindi, caro dottore, lei dice che se uno fa un’affermazione sulla base di dati non verificati (o falsi) non avrebbe nessuna responsabilità delle proprie dichiarazioni?
Analizziamo meglio: supponiamo che io legga in un giornale che un illustre scienziato ha rubato ad un collega e pubblicato a suo nome i risultati di uno studio che gli ha fruttato fama e denaro, e supponiamo che io pubblichi questa notizia, anche citando la fonte di cui però non mi sono accertato della veridicità. Secondo Burioni non avrei nessuna responsabilità di quanto scrivo, in quanto – sono parole sue – “la colpa è di chi ha omesso o falsificato i dati, non di chi ha fatto l’affermazione”. Sarebbe come dire che il reato di diffamazione non esiste più!
Io mi sono fatto persuaso (come diceva Montalbano) che Burioni, dopo le recenti accuse all’ex-ministro Speranza e all’ex-premier Conte (di cui diremo tra poco), abbia iniziato a sentire aria di anal intruder perché qui non sta solo dicendo una fesseria: sta probabilmente parandosi il culo in attesa del siluro che gli tireranno sotto la linea di galleggiamento. Quando? Non è dato a sapere e non è d’altronde una previsione certa. Dipende in massima parte da come si svilupperà l’inchiesta di alcune procure sui fatti di Bergamo e Alzano Lombardo, sulla mancata applicazione della zona rossa per troppi giorni e della mancata redazione del piano pandemica nazionale.
Stesso discorso, mutatis mutandis, possiamo fare per l’illustre professor Bassetti, altro “Solone” pluriinvitato nei vari talk-show ai tempi del nuovo colera. Un altro di quelli che possedevano il Verbo e la Verità assoluta il quale dopo le tante apodittiche affermazioni minacciose e perentorie pro-vax si è visto più volte contraddire da colleghi forse più modesti ma certamente più avveduti che lo hanno messo in ombra finché le stesse reti televisive lo hanno messo in soffitta. Adesso se ne esce con una frase che vuole allo stesso tempo essere una scusante e una giustificazione: “Qualunque scelta fu fatta in buona fede navigavamo al buio in un mare in tempesta. Non possiamo giudicare quei giorni con gli occhi di oggi ma dobbiamo farlo con gli occhi di allora che erano quelli di un Paese che per primo affrontava il Covid”.
Della serie: scusateci per i morti, noi eravamo in buona fede. Forse il tanto celebrato infettivologo dimentica che esistono vari gradi di omicidio nel codice penale, tra cui il colposo e il preterintenzionale, meno gravi certamente dell’omicidio volontario e di quello premeditato, tuttavia puniti come reati gravi. In ogni caso quando c’è in gioco la pelle dei cittadini non si può tirare a indovinare, dovrebbero saperlo bene anche le persone responsabili delle trasmissioni televisive e, perché no, i gestori dei social media, che troppo spesso in nome di una troppo sbandierata libertà giocano col prossimo a guardie e ladri, accorgendosi poi, magari, che i ladri erano loro.
Come ad esempio quella signora che a capo di un ministero ha rubato ai contribuenti 38 milioni di euro per acquistare inutili banchi a rotelle a un prezzo assolutamente pazzesco, di gran lunga superiore a quello di mercato. Non ci credete? Guardate cosa costa uno di quei carretti su Amazon, poi mi direte. O come l’altro fenomeno messo dagli amichetti suoi a gestire l’emergenza, che con altri politici disonesti e faccendieri lestofanti hanno lucrato milioni su inutili – se non dannose – mascherine.
Molti commentatori (e questo mi dispiace) si stanno affrettando a dire che in fondo che colpa avevano i politici, che si dovrebbe mettere una pietra sopra e non ha senso rivangare un passato in cui ciascuno ha fatto il meglio che poteva data l’emergenza i atto.
Non ha senso? Quindi un ministro che dichiara di sapere che le mascherine non proteggono, ma basta fare una legge ad hoc, non dev’essere ritenuto responsabile?
Per i dettagli vi rimandiamo a Il Giornale dello scorso 7 marzo, comunque in sostanza i fatti sono questi: Governo, Iss e Cts sapevano che sarebbe scoppiata l’emergenza sui dispositivi di protezione individuale, ma non hanno impedito che il Paese ne regalasse almeno due tonnellate alla Cina. Non solo. Secondo l’ipotesi dei pm di Bergamo che hanno indagato anche su Giuseppe Conte e Roberto Speranza per epidemia colposa, l’esecutivo si sarebbe concentrato sul numero di mascherine e dispositivi da acquistare e utilizzare, anche in ospedale, sottovalutando pericolosamente il rischio che non fossero efficaci.
Nell’informativa c’è un sms che non lascia scampo. Speranza si offre a Silvio Brusaferro di fare una norma che possa convertire mascherine «inadatte alla componente sanitaria». Eccole, le famose «mascherine di comunità» acquistate dal commissario all’Emergenza Domenico Arcuri, senza marchio CE ma sdoganate in sfregio alle leggi grazie a un’interpretazione del DPCM Salva Italia e finite nei supermercati e nelle farmacie, oggi al centro di più di un’inchiesta per le commissioni miliardarie che alcuni faccendieri mascalzoni avrebbero intascato.
Eppure le mascherine c’erano. Le aveva previste il piano pandemico, colpevolmente inapplicato. Dai verbali della task force già desecretati sappiamo che il 15 febbraio Luigi Di Maio inviava da Brindisi 17 tonnellate materiale sanitario, di cui almeno due della Cooperazione italiana, verso la Cina. Mentre a Bergamo i medici morivano, Speranza e Di Maio si preoccupavano di salvare i cinesi. Lasciando agli italiani mascherine farlocche.
Oggi Speranza, Conte e un’altra quindicina di indagati iniziano a sentire gli scricchiolìi delle loro seggiole, non più così salde come pensavano. Ciascuno cerca un salvagente per non essere inghiottito dalla marea di guano che sta pian piano salendo. Speranza cerca rifugio dalla Schlein e torna all’ovile ridicolo, mimetizzandosi tra un Bersani e un d’Alema. Insomma, sia l’ex ministro della Salute che il suo ex-premier sentono il pepe nel baugigi e iniziano a preoccuparsi e con loro non dormono sonni tranquilli gli altri personaggi coinvolti nelle indagini tra cui, udite! udite!, i due predecessori di Speranza, Grillo e Lorenzin.
Non tradiremo certo la nostra fede garantista e lasceremo che sia la magistratura a decidere chi ha fatto cosa, tuttavia un dubbio ci assale: vuoi vedere che quando si dice che le competenze sono importanti in tutti i campi questo comprende anche i politici? Dunque, vediamo un po’: Roberto Speranza è laureato in Scienze Politiche, mentre Beatrice Lorenzin, che da Forza Italia al PD ha attraversato quasi tutto il Parlamento, ha come titolo di studio il diploma di maturità classica.
Nulla da dire invece sulla dottoressa Giulia Grillo che a suo vantaggio, oltre al fatto di non essere parente di Beppe, vanta una laurea in Medicina e Chirurgia, la quale però non la salva dal coinvolgimento in un’indagine che, volenti o nolenti, dovrà trascinare nella melma molte persone e ci si può solo augurare che coloro che ne usciranno sani e salvi siano veramente gli innocenti.
In conclusione, è con rammarico e non certo con soddisfazione che posso dire che quanto affermato negli ultimi tre anni si è rivelato esatto. Dalle colonne di WeeklyMagazine più volte è partito il messaggio: “signori, attenzione che il boomerang prima o poi ritorna”. Purtroppo è antipatico dire: ve lo avevamo detto, eppure è andata proprio così, e con buona pace dei giornalisti lecchini qualcuno dovrà pagare per tutti quegli errori. Il fatto è che il codice penale parte dal presupposto – sbagliato – che tutti gli uomini di fronte alla Legge siano uguali. In realtà non è così. Però, badate bene, non stiamo parlando di coloro i quali si ritengono al di sopra della Legge, reputandosi dei padreterni cui tutto è dovuto. Parliamo del fatto che la Legge dovrebbe punire lo stesso reato con sanzioni più o meno gravi in base alla categoria alla quale appartiene in quanto a quoziente intellettivo e a stato mentale. E, come conseguenza sociale, anche il cursus vitae e le carriere degli individui dovrebbero attenersi a quelle categorie, che ritengo vengano espresse con una maestria ineguagliabile da Leonardo Sciascia ne “Il giorno della civetta”, e precisamente nel brano in cui il mafioso don Mariano esprime il suo rispetto per il capitano Bellodi, protagonista del romanzo:
«…Io ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l’umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà. Pochissimi gli uomini; i mezz’uomini pochi, ché mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini. E invece no, scende ancor più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi.
E ancora più giù: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito. E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre…»
Ecco, se certi gaglioffi venissero pesati con un simile metro prima di metterli a sedere nella Stanza dei Bottoni e prima che possano fare danni incommensurabili allora, forse, almeno avremmo una Giustizia più giusta, una politica più onesta e un’umanità più felice.

Vittorio M. Bobba
10 marzo 2023

Fonti:
il giornale.it
Leonardo Sciascia: Il giorno della civetta