La grande abbuffata (2a parte)


ECCO COME PRODI HA REGALATO A DE BENEDETTI E CRAGNOTTI LA SME, CHE RIUNIVA TUTTE LE ATTIVITÀ AGROALIMENTARI DELL’IRI

(segue dalla scorsa settimana)
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L’affare Infostrada
Nel 1997, il Governo Prodi svende Infostrada (dello Stato) a De Benedetti per 700 miliardi di lire, da pagarsi a rate in 14 anni. De Benedetti la rivende immediatamente (dopo aver pagato solo la prima rata) alla tedesca Mannesman a 14.000 miliardi (20 volte il prezzo d’acquisto !). Non basta, lo Stato italiano nel 2001, quando ancora c’era il governo di centrosinistra, RIACQUISTA Infostrada dalla tedesca Mannesman a 21.300 miliardi di lire. Con la “privatizzazione” di Infostada fatta da Prodi quindi lo Stato ha sborsato 21.300 miliardi di lire, le quali sono finiti 14.000 nelle tasche di De Benedetti e 14.000 nelle casse della Mannesman, in Germania.
De Benedetti e Mannesman avevano un losco accordo: De Benedetti si fa regalare Infostrada da Prodi, la Mannesman se la compra al suo reale valore di mercato e poi se la rivende al doppio (realizzando 14.000 miliardi) allo Stato, complice un governo di Sinistra.
Il manager di Infostrada, Lorenzo Necci, provò ad opporsi a questo immane ladrocinio ai danni dello Stato, ma fu subito incriminato, incarcerato, sputtanato dai giornali della Sinistra (di cui gran parte di proprietà di De Benedetti e persino scritti da lui !) e poi, ovviamente, assolto. Questo è quello che di solito succede a chi mette i bastoni tra le ruote di De Benedetti.

L’affare Telecom Italia
Nel 1997, sempre Prodi, al governo, svende le azioni Telecom Italia al solito prezzo irrisorio (tanto che subito dopo il loro valore di mercato aumenta di 6 volte) incassando 22.800 miliardi di lire (la Telecom ne valeva enormemente di più). Con questo stesso denaro, poi, il governo di centro-sinistra riacquisterà Infostrada con la scusa che le infrastrutture delle telcomunicazioni devono appartenere allo Stato. Praticamente lo Stato ha dato via un gigante come Telecom, allo stesso prezzo, di un’azienda nana come Infostrada. Bello scambio!
Il presidente di Telecom era Guido Rossi, l’avvocato di De Benedetti (un pò il suo Previti).
Nel frattempo al governo arriva D’Alema, siamo nel 1999, e Roberto Colaninno, attraverso l’Olivetti di De Benedetti, dà la scalata a Telecom. Ancora una volta ci furono losche irregolarità per tenere il prezzo basso, ma la Consob (l’autorità che deve sorvegliare questi reati) era presieduta da Spaventa, amico di De Benedetti, per cui chiuse entrambi gli occhi sull’affare.
Colaninno, tramite una serie di società fantasma con sede alle isole Cayman (noto paradiso fiscale) arriva a controllare Telecom con appena lo 0,3% delle azioni.
Il Financial Times definì la scalata “una rapina in pieno giorno”.
Dalla Telecom fu svenduta la Seat-Pagine Gialle (che ne faceva parte) a una società chiamata “Otto” (del figlio di Armando Cossutta, quello dei Comunisti Italiani, che si vanta sempre di campare come un italiano medio) per 1955 miliardi e rivenduta, insieme a Colaninno, a 16.000 miliardi (8 volte tanto, a quanto pare si divertono a sfotterci: ecco perchè l’avevano chiamata Otto!).
Le società che avrebbero dovuto pagarci le tasse spariscono nei soliti paradisi fiscali alle Cayman.

Nel 2000, come di solito succede nelle migliori rapine quando i complici fanno a botte, Colaninno e De Benedetti litigano per il malloppo, e Colaninno viene massacrato da Repubblica, Espresso e gli altri 30 giornali di De Benedetti. Nel 2001, De Benedetti si allea a Marco Tronchetti Provera, il quale strappa il controllo di Telecom a Colaninno, acquistando la quota di controllo in Olivetti. Ma quando Tronchetti Provera arriva in sella alla Telecom si accorge di essere stato fregato: dalle casse mancano 25.000 miliardi.
Telecom Italia è ormai una società con debiti fino al collo, ormai è stata munta e ri-munta fino all’osso e gli stessi miliardi che comparivano nel bilancio sono in realtà aria fritta: l’unica possibilità di salvarsi è rivendere tutta la baracca allo Stato.
Ad aprile 2006, sale al governo Romano Prodi, il quale fa il solito accordo sottobanco con Tronchetti Provera (e il socio De Benedetti) per il RIACQUISTO della Telecom (come successe per Infostrada), ma stavolta qualcosa non va per il verso giusto.
I due squali alleati, De Benedetti e Tronchetti Provera, iniziano a litigare per chi deve avere la fetta più grossa, per cui, come al solito, Espresso e Repubblica cominciano a infangare Tronchetti Provera per mesi.
Prodi, ovviamente deve scegliere da che parte stare e sceglie il più rassicurante De Benedetti (non vuole fare la fine di tutti quelli che si mettono contro Repubblica ed Espresso!). A quel punto Tronchetti Provera pubblica il progetto segreto di Prodi sul riacquisto della Telecom e scoppia lo scandalo che indigna i giornali di mezzo mondo, anche se ben presto messo a tacere in Italia dai giornali di De Benedetti che fanno scoppiare lo scandalo delle intercettazioni telefoniche contro Tronchetti Provera.
Prodi a quel punto si salva agli occhi dell’opinione pubblica con la solita storiella del “non ne sapevo nulla”, la colpa è tutta del mio collaboratore Rovati (amico di Prodi da una vita, abitano persino nello stesso palazzo), cui seguono prontamente le dimissioni.
La stampa estera arriva a dire: “ma che razza di paese è l’Italia? dopo una cosa del genere non solo Prodi non si dimette, ma non si apre neppure un’inchiesta giudiziaria?”
Rovati, calmate le acque, ha già ripreso il posto accanto a Prodi.

L’affare Alitalia
A gennaio 2007, il Governo Prodi inizia la vendita di Alitalia. Tra i concorrenti c’è una cordata formata da De Benedetti (poteva mancare?) e la banca Goldman Sachs, protagonista cruciale di quasi tutte le privatizzazioni italiane. Prodi ha lavorato per anni per la Goldman Sachs, la quale lo ha sempre ricoperto d’oro per le sue preziosissime “consulenze” (e ci credo!). Alla Goldman hanno lavorato fino a pochi mesi fa praticamente tutti gli amici e collaboratori di Prodi: Mario Draghi (vicedirettore della Goldman Sachs), e Mario Monti, Claudio Costamagna, presidente della Goldman Sachs, è quello che ha pagato tutta la campagna elettorale di Prodi alle elezioni 2006. In cambio a breve Prodi lo nominerà direttore generale del Tesoro.
Sempre per la Goldman Sachs, direttore Massimo Tononi,
ora sottosegretario al Governo Prodi. Non c’è che dire, siamo in buone mani ! Dato che tutto il vertice Goldman Sachs adesso è al Governo è fin troppo evidente come il piano segreto Prodi-Rovati di acquisto Telecom era in realtà un piano della Goldman Sachs.
Il copione è sempre lo stesso degli ultimi 25 anni e di tutte le altre privatizzazioni.
De Benedetti si aggiudicherà come sempre il bando (realizzato ad hoc per lui dai suoi amici che occupano tutti i vertici dello Stato e della Goldman Sachs) a un prezzo irrisorio, per poi rivendere il tutto subito a un gruppo straniero (probabilmente Air France) a un prezzo 10-20 volte più elevato.
Perchè il bando è truccato? Semplice: perchè pur svendendo il 30% delle azioni lo Stato si terrà delle azioni speciali, le Golden Share, con le quali eserciterà il controllo di Alitalia.
Ora, nessuna società o imprenditore può essere così folle da comprare un’azienda in piena crisi e per giunta senza averne poi il pieno controllo sulla gestione.
Nessuno, eccetto chi, da sempre tiene il Governo al guinzaglio. Subito dopo che De Benedetti metterà le mani sul patrimonio dell’Alitalia potranno succedere, come da copione collaudato, due cose:
1) o il governo Prodi si affretterà a togliere i vincoli in modo che De Benedetti potrà rivendere liberamente l’Alitalia al miglior offerente straniero realizzando immensi guadagni, oppure
2) se questa prima strada non è percorribile, lo Stato si offrirà prontamente di RICOMPRARE le azioni svendute, pagandole cifre astronomiche. E se qualche sprovveduto manager di Alitalia avesse qualcosa da ridire farà la fine del povero Lorenzo Necci (di cui sopra).

L’Ing. Carlo De Benedetti, con la complicità di Romano Prodi, ha saccheggiato il denaro pubblico dello Stato italiano e ha regalato la ricchezza degli italiani, praticamente tutti i principali enti pubblici, a gruppi privati stranieri, causando danni incalcolabili agli italiani.
Ma nonostante queste colpe, controlla l’informazione stampata con più di 30, tra quotidiani, settimanali, giornali e riviste nazionali e locali (Repubblica, Espresso, gruppo Rizzoli RCS tanto per citarne alcuni), oltre ad essere alleato all’intera editoria di Sinistra.
Quando andate in edicola o in libreria, sappiate che l’85% di quello che vedete è edito da De Benedetti o dai suoi alleati di una vita.
Questo monopolio dell’informazione gli ha permesso (e gli permette tuttora) di distogliere l’attenzione sui suoi loschi affari e di concentrarla tutta sul suo rivale di sempre, Berlusconi.
Oggi, Repubblica e l’Espresso sono tra i giornali più letti, e gran parte dell’opinione pubblica italiana è convinta che Berlusconi sia la causa di tutti i mali d’Italia, mentre ignora del tutto o quasi, persino chi sia, Carlo De Benedetti.
Quanto alle altre beghe di Prodi, nel 1988 Nomisma (la sua società di studi ricerche e consulenza economica) è in cattive acque. La salva il gruppo Ferruzzi-Gardini, diventando azionista dell’istituto di ricerche di Prodi. Anche la rivista di Nomisma <> sta per chiudere. Il gruppo Ferruzzi la salva acquistandola. Essere intimi di Prodi comporta facilmente avere rapporti con De Mita. Con chi concorda Gardini lo sgravio fiscale di 1000 miliardi per Enimont? Gardini rompe con la famiglia Ferruzzi e nasce l’astro di Carlo Sama. Rispunta Prodi. Sama presenta un progetto di rilancio della città di Ravenna. Il progetto non è suo, lo ha comprato da Nomisma, cioè da Prodi. Quando il gruppo Ferruzzi Montedison è sull’orlo del collasso, Sama cerca un piano di salvataggio. Si rivolge alla Goldman Sachs, cioè a Romano Prodi che ne è diventato consulente dopo l’uscita dall’IRI. Nel maggio 1993 Ciampi richiama Prodi all’Iri. Sui giornali si cominciò subito a parlare di un progetto Prodi per la fusione Ferruzzi-SME. Prodi è sempre un buon amico, presenta Sama a Maccanico, ex presidente di Mediobanca ed allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Infine la cessione della Cirio-Bertolli-De Rica da parte di Prodi (IRI) a Sergio Cragnotti, uomo Ferruzzi, finanziere con i capitali dei Ferruzzi. Ovviamente nessuna inchiesta giudiziaria sui rapporti Gardini-Prodi e quindi Sama-Prodi. Nemmeno l’escussione di Prodi come persona informata dei fatti. Prodi il fornitore di progetti, di piani di sviluppo o di salvataggio, ottimo amico di Gardini dice di non sapere nulla sul disastro Ferruzzi Enimont.
Chi a questo punto si chiedesse – retoricamente – se questo è un Paese serio, sappia che, al di là dell’ovvia risposta, c’è chi ha provato nel corso degli anni a smuovere le cose, a rimestare questo enorme calderone di maleodorante feccia, senza comunque cavarne un ragno dal buco. Alla faccia di chi dice che i poteri forti non esistono!
La speranza che questo disgraziato popolo rialzi la testa e si riappropri del proprio orgoglio, della propria cultura e della propria dignità è sempre viva, sebbene agonizante. Certo è che ogni popolo è, deve essere, artefice della propria libertà e del proprio destino. Ci vuole ben più di una manifestazione in piazza per cambiare questo status quo, ma non è detto che prima o poi succeda. Solo in questo modo gentaglia come quella descritta farebbe la fine che merita.
Si badi bene che anche persone compromesse col vecchio sistema avevano limiti che non potevano, in coscienza, superare. Bettino Craxi nelle sue memorie ci offre un ritratto di Romani Prodi con interessanti spunti di riflessione per capire quali leve abbiano spinto i “privatizzatori”.
“Nel vecchio sistema il signor Prodi era il classico sughero che galleggiava tra i gruppi pubblici e i gruppi privati con una certa preferenza per questi ultimi ed un annoiata ma non disinteressata partecipazione ai palazzi dei primi. Qualcuno ricorderà l’esemplare trattazione dell’affare SME. Un affare costruito per gli amici, noncurante del pubblico interesse, giustificato poi con ragioni a dir poco risibili. Altri ancora ricorderanno il servilismo manifestato verso i maggiori gruppi privati conterranei e non, mentre sedeva al vertice della maggiore holding industriale pubblica (l’IRI). Ha servito male l’interesse pubblico nell’industria cosi come dello Stato. Passi per chi è convinto di poter imporre l’ennesima operazione di vertice usando i gas lacrimogeni di un’informazione manipolata e capace di tutto. Passi per una frazione politica alle corde, subalterna alle lobbies finanziarie ed industriali decise a fare di tutto pur di avere mano libera in lungo e in largo. Passi per l’italiano stupido al quale con un po’di agitazione propagandistica si può far credere Roma per toma. Ma non dovrebbe passare per gli altri, per chi conosce la storia di questi anni. Il signor Prodi in tal senso, come leader politico, non è nient’altro che il classico bidone.”
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Fonti:
Paolo Barnard – attivismo.info
Carlo Cambi – La Verità
Michele rallo – La Risacca (TP)
“Bettino Craxi. Una storia tutta italiana” di Enzo Catania
www.docplayer.it/105360168-La-crociera-del-britannia.html
www.dagospia.com/ecco-come-prodi-regalo-a-de-benedetti-e-cragnotti-la-sme-da-quella-svendita-sono-derivati-i-181970
www.it.wikipedia.org/wiki/Vicenda_SME
su google digitare: “Prodi and Be Benedetti”